Brulotti

Per la critica del lavoro

Günther Anders

Per proletariato s'intendeva, cent'anni fa, quella massa di persone che dovevano vendere il loro tempo di lavoro e la loro forza di lavoro, e che non erano proprietari dei loro mezzi di produzione e della maggioranza dei loro prodotti. Oggi noi (anche quando, come salariati o stipendiati, possediamo un'automobile, un frigorifero, ecc.) siamo non proprietari in un senso molto più pauroso. Poiché non siamo proprietari dello scopo del nostro lavoro e degli effetti del nostro lavoro. Con ciò non voglio dire soltanto che, nel nostro lavoro, non vediamo davanti a noi il prodotto finito, la sua finalità e il suo impiego; ma che essi non possono e non devono interessarci in alcun modo. Che si lavori in una fabbrica di dentifrici o in campo di sterminio o in un cantiere per l'installazione di missili atomici (in Turchia, a Okinawa, in Italia o a Cuba), è sempre proibito, o passa addirittura per ridicolo chiedersi se ciò che si è prodotto sia approvabile o riprovevole, e non ci viene più nemmeno in mente di chiedercelo. Poiché la grandezza delle industrie e la divisione del lavoro fanno sì che il prodotto finito e il suo impiego non balenino più nemmeno per un istante agli occhi dei lavoratori. Questa circostanza ci toglie perfino la libertà di chiedere. Lasciamo sempre la morale nel guardaroba della fabbrica, per indossarla di nuovo nel dopo lavoro. Che cosa significa questo?

Brulotti

Contro il primo Maggio

Domenico Zavattero

Scrivete pure, compagni giornalisti, pronunciate pure, compagni oratori, articoli apologetici e conferenze smaglianti sul primo Maggio.
Astenetevi pure, compagni operai; astenetevi pure dal lavoro; io parlo, io scrivo contro il primo Maggio.
E vorrei essere lavoratore del braccio, per non abbandonare l'officina in codesto giorno.
Questa mia dichiarazione vi suonerà orribile. Voi, abituati a considerare questa data da un punto di vista tutt'affatto sentimentale — e falso — sarete tentati a considerarmi un nemico della classe operaia.
Come se per esserle amico si dovesse consacrare con la nostra annuenza una festa di sbornie!
Ed i miei nemici si varranno della cosa per mettermi in cattiva luce ai vostri occhi.
Ma io non mi sento davvero di seguire l'andazzo comune.

Brulotti

Lo sventramento di Firenze

Trivio dei Tumultuosi

Nel 1885, un’amministrazione comunale preoccupata per le gravide tensioni sociali, sollecitata da imprenditori avidi e con l’ausilio di un giornalista servo e bigotto, diede inizio alla distruzione dell’antico centro storico di Firenze, nel nome del “progresso” e della lotta al “degrado”. Stessi pretesti, stessi metodi di oggi. Quei fatti lontani nel tempo — drammaticamente attuali — vengono qui rievocati.
I motivi per cui abbiamo organizzato questa mostra sono semplici. Pur vecchia di ormai due secoli, la storia dello è terribilmente attuale. Essendo assai istruttiva su cosa sia sempre stata l’urbanistica, ovvero la programmazione degli spazi pubblici secondo una concezione mercantile e poliziesca dell’esistenza umana, fa capire bene cosa si nasconde anche oggi dietro le dichiarazioni dei burocrati che amministrano le città. La devastazione compiuta dal vecchio «piano di riordinamento del centro storico» annuncia quella dell’odierno «piano di indirizzo territoriale».
Lo sventramento di Firenze non si è concluso alla fine dell’Ottocento — continua ancora oggi. Sta a noi fermarlo.

Brulotti

Il flagello (lo sport)

di Tito Eschini

Il mondo antico ed il medio hanno avuto i loro flagelli, l'invasione irrompente dei popoli barbari che mettevano a ferro e a fuoco i territori invasi, che distruggevano quanto la scienza e la civiltà di quei tempi avevano dato; la peste bubbonica, il colera ed altri simili che decimavano gli uomini e arrestavano il corso della civiltà colle loro violente epidemie. L'evo moderno ne ha molti di flagelli, uno dei principali, di cui è nostro compito in questo scritto trattare, è lo sport. Lo sport è un flagello di contraria apparenza, ha forme tutte diverse dagli altri, forme allettevoli e divertenti e per gli sportmen di professione molto proficue e remunerative, ma per questo non cessa di esser meno pernicioso, poiché lo sport è il flagello del vero progresso e dell'intelligenza umana.
Oh! facciano pure la smorfia del disgusto gli sportmen e tutta quella gente che da questo ritraggono un beneficio morale e speculativo, la dirò ugualmente la mia verità sulle conseguenze imprescindibili di questa stupida quanto barbarica passione, su questo forzato tentativo di ritorno al passato.

Brulotti

L'antifascismo e noi

L'Antifascismo è un conglomerato eterogeneo apparso sulla scena politica italiana assai tempo dopo l'avvento del fascismo al potere. È composto da uomini politici, provenienti e aderenti ai partiti più diversi, animati da uno scopo comune: l'abbattimento del fascismo e la liberazione del popolo italiano dallo stato di soggezione medioevale a cui il regime fascista lo ha ridotto.

Anche noi anarchici lottiamo per la libertà del popolo italiano, in quanto lottiamo per la libertà di tutti gli esseri umani. Ma appunto perché la nostra avversione pel fascismo ha più profonde radici nella nostra rivolta contro il capitalismo stesso che quello determina, così il nostro antifascismo è anteriore e più radicale di quello dei partiti che ne hanno monopolizzato il nome.
Nonostante la superficiale apparente comunanza di scopi immediati, con questi uomini e partiti, noi abbiamo ritenuto sempre più opportuno esplicare la nostra attività indipendentemente, e non abbiamo aderito né intendiamo aderire all'antifascismo politicante, né nel suo insieme, né nelle sue singole frazioni che sotto diverse insegne: «fronte unico», «Concentrazione», «Giustizia e Libertà» ecc., tendono alla stessa meta.

Miraggi

Una commedia

E. F.

«Che cosa stai facendo di bello? Cinema?».
«No, sto scrivendo una commedia».
«Interessante. Ti dispiace accennarmene la trama, il problema, la tesi?».
«Volentieri. Si tratta in breve di questo». (Pausa). «Ecco... tutto fa credere che l'uomo, nel futuro, man mano che le popolazioni aumenteranno, sarà sempre più solo, specie nelle grandi città. Sempre più solo, sempre più frenato dalle inibizioni, dalle leggi, dal controllo reciproco, dalla tirannia delle macchine, dalla necessità del successo, dall'enigma del futuro, dal terrore di una guerra. E poi, un giorno, anche l'arte finirà, come finirà l'amore».
«Molto interessante».
«Ma in una provincia arretrata, in una specie di zona depressa, sono ancora vivi l'uno e l'altra, l'amore e l'arte. La gente se ne vergogna un po', specialmente dell'amore. È così provinciale! “Ma d'altronde” si giustificano “che cosa vuoi fare, qui, in questo paese di quattro gatti?”. Così coltivano l'arte e l'amore. Scrivono brutti libri, fanno quadri, e rincasando a notte alta fischiettano musica elettronica, superatissima, anzi dimenticata nel resto del mondo. E fanno, rassegnati e arretrati, l'amore».

Brulotti

Arte-fatto

Nella sua esigenza di totalità, di sconvolgere il mondo che conosciamo nel suo insieme, la rivolta non può non estendersi anche all’ambito delle parole e delle immagini, dove l’arte occupa uno spazio predominante. A sua volta l’arte non sopporta limiti e regole, di cui è nemica per natura; ecco perché spesso si è giunti a legare intimamente l’arte alla rivoluzione, a vedere gli artisti come rivoluzionari e viceversa.
Per questi motivi, le avanguardie artistiche che si sono richiamate più o meno esplicitamente al progetto rivoluzionario (dadaismo, futurismo, surrealismo, Internazionale Situazionista) sono state sovente portate come dimostrazione pratica della sostanziale complicità fra arte e rivoluzione ed hanno sempre esercitato un certo fascino, rappresentando secondo alcuni il "superamento dialettico" dei limiti dell’arte e della politica.
Le avanguardie artistiche e quelle politiche hanno molti difetti in comune. Entrambe certe di possedere una capacità superiore agli altri nel proprio campo specifico, pretendono di erudire "chi è rimasto indietro", finendo così con l’indicare, il teorizzare, lo scomunicare. Il lato comico è che non si rendono conto che alla stragrande maggioranza delle persone non interessa proprio nulla della loro attività specifica, e che la rivoluzione di cui vanno cianciando non si farà grazie al loro apporto ma contro di loro.

Intempestivi

Culmini e lenticchie

La grande marmellata contemporanea si espande. Ogni individuo irriducibile, ogni idea ribelle, ogni esperienza singolare si sta sbriciolando, sciogliendo, liquefacendo, per finire mescolato con composti di origine diversa, altrimenti inassimilabili. Il risultato è questo impiastro appariscente quanto stucchevole, appiccicoso quanto insulso, in grado di far combaciare preghiera e bestemmia, ordine e rivolta. Fa capolino un po' dappertutto, nei nostri piatti come nei nostri pensieri. Sebbene non sia null'altro che mercificazione, adulterazione e recupero, ci viene spacciato come una novità da non perdere, come un superamento da acclamare.
Sabato 21 aprile era la giornata di apertura della XII edizione della fiera dell'Altrolibro, iniziativa che si tiene a Napoli in un contesto incantevole quanto sorprendente, un'antica chiesa. Nulla di strano che un simile appuntamento attragga molti fra coloro per cui il libro non è una merce, bensì uno strumento di liberazione. A margine della rassegna in questa giornata inaugurale ci doveva essere anche la presentazione di un libro...

Contropelo

Contr'Uno

Nell’assemblea viene operata una riduzione della differenza ad una medesima identità, indipendentemente dal formalismo decisionale. Se ciò non viene percepito, è perché la consistenza quantitativa della realtà è più immediata di quella qualitativa. Lo Stato con il suo esecutivo, e per lo più anche il Partito col suo comitato centrale, possono essere facilmente distinti e riconosciuti come singole parti che pretendono di rappresentare il tutto. Viceversa l’Assemblea, che è (o dovrebbe essere) lo spazio comune aperto a tutti, viene considerata la forma per eccellenza del confronto diretto e orizzontale, garante della libertà di ciascuno.
Ma le cose stanno proprio così, oppure si tratta di una delle tante arguzie della ragione?
Nelle assemblee non si discute affatto tutti assieme, si ascoltano gli interventi di chi è più abile ad esporre le proprie ragioni facendole così passare per Ragione collettiva. Chi parla meglio, ovvero possiede la favella più persuasiva, controlla l’assemblea (il più delle volte è anche colui che la organizza). Chiunque abbia frequentato le assemblee ne ha ben chiaro l’andamento. Quando la composizione è più omogenea, si assiste al rimbalzo fra due/tre voci che incanalano docilmente verso la decisione sovente già presa in separata sede. Gli spettatori, in silenzio, prendono mentalmente appunti su cosa dovranno dire nel caso in cui qualcuno dovesse interrogarli circa le loro idee. Chi dovesse nutrire dubbi e perplessità si guarderà bene dall’esporli, per paura di venir confutato da una brillante risposta. Se le assemblee sono più allargate, allora è scontro fra le opposte fazioni per ottenerne l’egemonia. Amplificati dai rispettivi gruppi di sostegno, i parlatori più abili si danno battaglia. Qua i numeri possono fare la differenza, perché non è affatto detto che la parola più abile sia anche l’ultima.

Miraggi

Terra bruciata

Maurice Blanchard (1890-1960) è stato definito «poeta del fallimento e della rivolta». In un certo senso, fallimento della vita e rivolta contro il fallimento. Secondi i registri dello stato civile, è nato nel paese francese di Montdidier il 14 aprile 1890. Secondo un suo testo autobiografico, scritto in terza persona, è nato nel 1927 con trentasette lunghi anni di ritardo, durante i quali è stato un bambino trascurato, un adolescente operaio, un militare eroe di guerra, un progettatore di aerei di successo: un perfetto candidato al suicidio.
La voce di Blanchard non è quella dell’irriducibile ribelle pieno di gioia di vivere, è quella della belva tenuta in cattività per oltre trent’anni. Fino alla fine dei suoi giorni non mancherà di gridare di dolore per le ferite infertegli e di disperazione per una vita senza uscita, ma anche di reclamare vendetta contro tutto ciò che ci umilia: «Tutto è permesso. Tutti i semi hanno le loro possibilità, e un giorno il seme dell’albero che canta germinerà. Tutto è possibile, condizione del progresso. Morte allo Stato».

Brulotti

Lettera agli aspiranti suicidi

Se ci rivolgiamo a voi, uomini e donne che siete arrivati in fondo al disgusto e che niente e nessuno potrà più sottrarre a un tragico destino, non è per ricordarvi un dovere inesistente nei confronti di una vita che non merita di essere vissuta.

Non mancheremo di rispetto alla vostra decisione, perché voi e solo voi siete in grado di conoscere l’esatta misura del dolore e dell’angoscia che stanno avvelenando la vostra esistenza. Chi non prova quel dolore, quell’angoscia, chi non li ha mai nemmeno sfiorati perché baciato dalla fortuna o rincoglionito dalla fede, non ha ragione alcuna di biasimare la vostra fatale determinazione.

Non vogliamo quindi impartirvi alcuna predica, né trattenervi dal mettere in atto il vostro proposito. Intendiamo solo chiedervi un favore, un piccolo favore per voi che avete deciso di abbandonare questo mondo, ma che darebbe una gioia enorme a noi che per il momento abbiamo deciso di rimanerci.

Contropelo

Ma che storia è questa?

Adreba Solneman

Qui ed ora comincia la storia. Lo spontaneo, l’immediato, il presente sono l’inizio della storia. Il passato è una introduzione che, come tutte le introduzioni, è scritta a cose fatte, nell’avvenire, nella riflessione, nella mediazione. Il presente comincia la storia, e il passato concede tempo a questo inizio.
La storia in quanto totalità viene generalmente percepita come un mito. La piccolezza contemporanea ha praticamente abdicato davanti alla grandezza dell’oggetto, di modo che, così come confonde il proprio inizio e la propria origine, essa ribassa miseramente la storia come unità delle storie separate facendola cominciare... con una s maiuscola. Per di più è un’autentica alienazione della logica ad appiattire questa storia «universale» in storia particolare: oggi è unicamente dal particolare che si astrae il generale e non è affatto dal generale che si determina il particolare; è dall’avvenimento che si deducono la storia e la misura della sua s e non è dalla storia che si deducono le esigenze e gli imperativi che fanno sì che un avvenimento la riveli oppure no. La storia reale è un tutto la cui ricchezza e il significato non stanno nella quantità delle determinazioni, ma nel loro rapporto col tutto, e che per la brevità e straordinarietà delle sue manifestazioni ne esclude quasi tutti gli individui, e gli altri quasi sempre.

Brulotti

Testamento

Jean Meslier

Miei carissimi amici, poiché non mi sarebbe stato permesso, e avrebbe avuto conseguenze troppo pericolose e spiacevoli, dire apertamente in vita ciò che pensavo del modo in cui sono retti e governati gli uomini, delle loro religioni e dei loro costumi, ho deciso di farvelo almeno sapere dopo che fossi morto. Sarebbe sì, certo, mio desiderio dirvelo a viva voce prima di morire, se mi accorgessi di essere vicino alla fine dei miei giorni, e in tale situazione fossi ancora, al tempo stesso, in grado di giudicare e di esprimermi. Ma, siccome non sono sicuro di avere in quegli ultimi giorni, in quegli ultimi momenti, né il tempo né la presenza di spirito che mi sarebbero necessari per rendervi partecipi delle mie idee, ho deciso di esporvele qui per iscritto e di darvi, al tempo stesso, prove chiare e convincenti di quanto ho in animo di dirvi sulla questione, nel tentativo di disingannarvi, per tardi che sia e nei limiti delle mie possibilità, sui vari errori nei quali tutti noi, indistintamente, abbiamo avuto la disgrazia di nascere e di vivere e dei quali, anzi, io stesso ho avuto il dolore di trovarmi costretto a parlarvi.

Brulotti

A distanza

"Killing King Abacus"

Haussmann non ha inventato la progettazione della città; già i romani e i cinesi antichi pianificavano le città. Quelle moderne vennero progettate e costruite nelle colonie britanniche e francesi prima che in Europa. Washington DC venne progettata e costruita su di un’area vuota decenni prima che Haussmann rimodellasse Parigi. La differenza è che Haussmann costruì la sua nuova capitale sopra la vecchia Parigi, una città preindustriale. La Parigi di Haussmann a proposito dell’architettura confacente al capitalismo e allo stato-nazione rivela più di quanto non faccia L’Enfant’s D.C, perché ci mostra cosa Haussmann scelse di distruggere e cosa scelse di costruire. Nella sua demolizione dei quartieri poveri e dei vecchi vicoli possiamo vedere che cosa egli considerasse una minaccia.

A Parigi i viali stavano già sostituendo le strade strette due decenni prima che Haussmann assumesse il suo incarico, ma su scala assai minore. Durante la rivoluzione del luglio 1830 ai soldati governativi venne giocato un brutto tiro: i larghi cubi di granito usati per pavimentare i nuovi viali furono portati in cima agli ultimi piani delle case e lanciati sulle teste dei soldati. Queste lastre di pietra divennero una risorsa comune come materiali di costruzione delle barricate. Nel 1830 ne vennero erette seimila.

Brulotti

L'ipocrisia religiosa

Michail Bakunin

Gli ipocriti religiosi, i tartufi hanno un bel dire: non vi è possibilità di transazione o di compromessi con Dio. Dal momento che si proclama la sua esistenza, esso vuol essere tutto, invadere tutto, assorbire tutto. Se esso esiste, tutto deve scomparire, esso è solo e da solo vuole occupare i cuori dei suoi sudditi, la cui stessa esistenza, a rigore, sarebbe già in contrasto con il suo essere; così di tutte le religioni conosciute, il buddhismo mi sembra la più conseguente perché il suo culto non ha altro scopo che il progressivo annichilimento degli individui umani nel niente assoluto, in Dio. È certo che se Dio avesse una esistenza reale, né il mondo né di conseguenza i credenti sarebbero mai esistiti. Solo egli sarebbe: l’Essere unico, il solitario assoluto. Ma siccome egli esiste solo nell’immaginazione e grazie alla fede dei credenti, gli è stato giocoforza far loro questa importante concessione, tollerare che anch’essi esistano, al suo fianco, malgrado la logica; ed in ciò risiede una delle fondamentali assurdità della teologia. Così egli fa loro pagare assai cara questa concessione forzata ed unica, poiché esige da essi subito che, annientandosi perennemente in lui, non cerchino e non trovino la loro esistenza che in lui e non adorino nient’altro che lui: ciò che vuol dire, che essi devono rompere ogni solidarietà umana e terrestre per adorarsi in lui. Dio è l’egoismo idealizzato, è l’Io umano elevato ad una potenza infinita.

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