12
Ott
10

Piccole soddisfazioni…

E finalmente spettacolo fu!

Dopo un mese di prove, nonostante i disordini polizieschi, le insidie dei preti tirchi e ricattori, e il poco tempo a disposizione, il mio Cuento del Manglar (Fiaba delle Mangrovie) é finalmente andato in scena.  Non ci sono forse parole per descrivere l’emozione e l’orgoglio di veder realizzato il mio primo copione teatrale, la bellezza di quei 13 ragazzini su quel palcoscenico, i sorrisi e le voci non piú tremanti su quei visi diventati ormai emozionati e splendidi attori, le bocche spalancate dei bambini spettatori… Né parole per ringraziare tutti coloro mi hanno aiutato e appoggiato nella realizzazione di questo progetto, materialmente e spiritualmente, chi ci ha creduto, chi mi ha incoraggiato e chi con me lo ha realizzato.  Ma soprattutto ringaziare questi 13 ragazzini che, nonostante i problemi e i traumi vissuti da molti di loro, mi hanno dimostrato che non li ferma nessuno, che hanno ancora la forza di sorridere e  dedicarsi con un amore incredibile a ció che gli piace. Sperando che possano continuare a inseguire qualche sogno e non lasciarsi sopraffare dal buio che li circonda,  e che noi adulti possiamo imparare da loro, a voi lascio il video  e a loro mando un altro ulteriore grandissimo applauso. Grazie di cuore.

03
Ott
10

Cronaca di un golpe annunciato

Sabato 30 settembre 2010

Ore 11.30.  Sono a Fundeporte, la scuola di Quito Sud dove mi sto occupando del laboratorio di teatro. Abbiamo appena finito le prove, quando ricevo una telefonata di Cetty. “Ale dove sei? Non ti muovere, è successo un casino, la polizia è entrata in sciopero e la città è nelle mani di nessuno. I poliziotti stanno bruciando copertoni per bloccare le strade. Noi siamo barricati nella Conferencia Episcopal (l’ufficio dove lavorano lei e Marco), aspetto che torni Marco per andare a casa, sperando che non ci abbiamo già derubato. Ci aggiorniamo tra un po’”.

Metto giù e mi fiondo ad avvisare le altre ragazze e a chiedere spiegazioni ai colleghi in ufficio, ascoltare la radio, leggere un po’ di notizie online, avvisare casa che sto bene e non c’è da preoccuparsi.

Nel frattempo arriva la telefonata di Christian, il responsabile di noi volontari. “State tranquilli, non vi muovete, questo fine settimana è proibito uscire da Quito. L’Ambasciata Italiana ha telefonato e parla di colpo di Stato. Per adesso c’è un po’ di casino per strada, ma probabilmente in poche ore la situazione si calmerà”.

Polizia in sciopero? Ladri in libertà? Strade bloccate? Colpo di stato? Ma che sta succedendo?, mi chiedo. E più egoisticamente, riuscirò a tornare a casa considerando che per farlo devo attraversa mezza Quito, una delle città più lunghe al mondo?

12.00 Mi viene spiegato che lo sciopero nasce dalla decisione del presidente dell’Ecuador Rafael Correa di eliminare alcuni benefici di cui godono gli organi di polizia, specificamente si parla dell’eliminazione di una liquidazione o pensione piuttosto alta. Anche se si sottolinea che il governo Correa ha praticamente triplicato lo stipendio base.  Mi interrogo se questo sciopero abbia senso, se il mio interlocutore non abbia capito niente o se ci sia qualcosa sotto che non capisco.

12.30 Chiedo informazioni ai tassisti che dichiarano che le strade sono tutte bloccate ed è impossibile arrivare da qualsiasi parte.

13.00 Dalla radio arriva la notizia che il presidente Correa ha tentato un dialogo con la polizia. Durante l’incontro qualcuno ha lanciato dei lacrimogeni, tre poliziotti sono morti, Correa è caduto dalle stampelle (si è operato al ginocchio circa una settimana fa) ed è stato trasportato nell’ospedale della polizia. Si dichiara sequestrato e l’operatore radio invita gli ascoltatori a scendere in piazza per liberare il presidente in nome della patria e della democrazia.

13.30 Gira la notizia che a Quito sono già state assaltate 2 banche e un centro commerciale.

14.00 Il mio stomaco si lamenta, vado a mangiare

15.15 Ritento la carta tassista. Senza porre problemi accetta di portarmi a casa. Il percorso da Quito Sud a Quito Nord scorre senza particolari intoppi. Ci imbattiamo in un solo rogo di copertoni (questa è la maniera tipica in America Latina di bloccare le strade durante le manifestazioni) che aggiriamo senza difficoltà. Le strade sembrano piuttosto tranquille, ma è proprio questo il campanello d’allarme: quasi tutti i negozi hanno le serrande abbassate, pochissime le auto e gli autobus in giro (fatto assolutamente inusuale nella caotica Quito all’ora di punta), stazioni dei tram deserte. Dalla radio giunge la notizia che a Guayaquil sono state assaltate 3 banche. Raccolgo la prima delle testimonianze dei miei interlocutori preferiti, i tassisti. In questo caso un anziano signore dal sorriso e dai modi gentili: “La situazione è pericolosa, ma non tanto. Alcune strade sono bloccate, i ladri stanno saccheggiando la città, ci sono poche macchine e pochi taxi perché molti non stanno lavorando per paura di essere rapinati, io stesso mi spavento a prendere gruppi di 3/4 passeggeri. Senza polizia non c’è sicurezza di nessun tipo. Ma c’è anche chi dice che sia tutto organizzato per rafforzare l’immagine del presidente”.  Il tassista è tranquillo, ma allo stesso tempo in allerta, sta molto attento ai miei movimenti, soprattutto se bruschi, ma conversiamo amabilmente, aspetta che apra il portone ed entri in casa prima di andar via.

15:30 Ascoltiamo dalla radio che a Guayaquil è scoppiato il panico, sono state rapinate 3 banche e si saccheggia un po’ dappertutto.

16.00 Sono a casa. Chiacchiero un po’ con Marco e Cetty e tranquillizzo amici e parenti che mi contattano  tramite i diversi mezzi di comunicazione che offrono i nostri tempi moderni.

17.00 Sto giusto chattando con alcuni di loro, quando si sentono delle grida per strada. Inizialmente penso che siano i bambini dell’asilo nido accanto casa nostra. Ma non può essere, grida troppo forti e disperate. Cazzo. Che fare? Marco e Cetty non hanno dubbi, aprono la porta e muniti di coltello scendono a vedere, io li seguo anche se con un po’ di titubanza. Dal portone entra una donna dicendo che hanno rapito un bambino. Non è possibile arrivare a tanto. Usciamo e troviamo la presunta ragazza madre accompagnata dal fidanzato. Nessun bambino rapito per fortuna, ma hanno cercato di rapirla, secondo il suo racconto, 4 uomini di aspetto distinto scesi da una macchina con una pistola. Forse solo un tentativo di rapina, a mio parere. Ma basta per farci spaventare e richiudere in casa con un animo un po’ più turbato.

17:30 Decidiamo di andare al negozietto sotto casa per comprare la carta igienica. Se dobbiamo stare chiusi in casa a lungo e subire questi spaventi è indispensabile 😉 . Scendiamo tutti e 3 insieme, ma il negozietto è chiuso. Bussiamo quindi all’asilo nido per chiederne un po’. La responsabile dell’asilo appare molto preoccupata, dice che dobbiamo stare attenti, soprattutto noi stranieri, uscire il meno possibile, è stato stabilito un coprifuoco alle 18.00 e non si sa se la situazione migliorerà o no.

In realtà scopriremo on-line che Correa ha decretato 5 giorni di “estado de excepciòn”, una specie di stato di emergenza in cui i militari sostituiranno la polizia e  in cui secondo l’articolo 165 della costituzione ecuadoriana  il presidente può praticamente fare quello che vuole: “limitare il diritto all’inviolabilità del domicilio, inviolabilità della corrispondenza,  libertà di transito, libertà di associazione e di riunione, libertà di informazione”

18:00 Chatto con la mia collega di lavoro che mi rassicura dicendomi che “L’Ecuador è così, ogni 2 /3 anni succedono cose del genere e poi torna la tranquillità. Ma probabilmente domani potrai girare per strada tranquillamente, anche se sarebbe meglio evitare di andare fino al Sud. In realtà domani non si sa come saranno messe le cose. Anche questo vuol dire America Latina.”

19:00 Io e Cetty decidiamo di sfidare ansie e paure, dedicandoci alla preparazione di deliziosi arancini, da utilizzare anche come bombe in caso di attacco di eventuali ladroni. Manteniamo la radio accesa e aspettiamo eventuali sviluppi.

20.00 Dalla radio e televisione on-line, capiamo che si sta organizzando un’operazione militare per liberare il presidente Correa, ancora rinchiuso nell’ospedale della polizia. E’ tutto molto confuso: si sentono spari, si vede del fumo, un poliziotto a terra, un’infinita sparatoria. A un certo punto la radio si spegne e ci rendiamo conto che anche da casa nostra il suono degli spari è evidente e costante. La sparatoria dura circa un’ora, finché la radio enuncia che il presidente è stato liberato e in soli 7 minuti portato al palazzo presidenziale dove si affaccerà per effettuare il suo discorso. Intanto da casa nostra si sente, che nonostante la liberazione sia avvenuta, si continua a sparare.

22.00 Mangiamo gli arancini. Telefoniamo al nostro responsabile che ci dice di non sapere ancora se domani sarà il caso di andare al lavoro o no, di restare comunque a casa fino a nuove istruzioni.

23.00 Andiamo a dormire, ben chiusi a chiave nelle proprie stanze e accompagnati da un coltellaccio da cucina… siamo tranquilli, ma non si sa mai…

L’indomani alle 10.00  arriva la telefonata di Christian “Da Roma hanno deciso che non dovete muovervi fino a martedì, niente lavoro, niente uscite, potete andare al negozietto sotto casa a fare la spesa. Abitate in una zona calda, per cui meglio non uscire di casa…” La telefonata puzza un po’ di inutili allarmismi di una qualche istituzione troppo lontana dalla reale situazione del paese e dalle esigenze di noi poveri volontari che già dopo meno di 24 ore chiusi in casa ci sentiamo come al grande fratello e ci lamentiamo di un giorno di vacanza passato in casa, cosa che in situazioni normali, se non costretti, avremmo apprezzato con gioia. Vallo a capire il genere umano, ogni costrizione seppur di un qualcosa a volte desiderato lo rende immediatamente  odioso e insopportabile.

Scrivo una mail ai colleghi ecuadoriani per avvertire della mia assenza al lavoro e ricevo la risposta ironica e rassicurante che mi aspettavo dal presidente dell’associazione: “La situazione è già tornata alla normalità. Così è l’America Latina, capace di cambiare la propria rotta in poche ore. Non è successo nient’altro che un movimento di un gruppo che ha fatto arrabbiare a un presidente davanti al quale tutti dobbiamo abbassare la testa. Tutti noi rifiutiamo qualsiasi tentativo di colpo di stato, però allo stesso tempo rifiutiamo la cattiva gestione politica di questo tema. Speriamo che gli dei illuminino tutti per continuare ad andare avanti dialogando… dialogando però sappiamo che qui bisogna mobilizzarsi per farsi ascoltare. Così è la vita. Però oggi c’è un sole bellissimo che fa dimenticare i fatti negativi di ieri. Un abbraccio e esci a prendere il sole che no pasa nada (non succede niente)”

Effettivamente, guardando fuori dalla finestra, il sole splende alto e tranquillo sulla nostra provvisoria prigione, il traffico è tornato alla normalità, parte della polizia è tornata a lavorare, la gente cammina tranquilla e serena come un giorno qualsiasi… Citando le parole di un nuovo amico tassista “qua è così: un giorno si crea un casino impressionante e il giorno dopo è come se non fosse successo niente”.

27
Set
10

Scusate l’interruzione del blog…

…Ma ho deciso all’ultimo momento di impiegare 6 giorni e uno stipendio per andare alle Galapagos. Titubante come sempre, ora sono entusiasta della scelta… e scusate se non scrivo, ma sono impegnata a nuotare con leoni marini, squali e tartarughe… Jejeje, Tante bolle a tuttiii

19
Set
10

Gennaio e Marzo

No mientas

No me digas que me quieres
No me digas que soy hermosa
No me digas que me amas
No me digas que me piensas

Calla tu boca imbécil,
Cierra tus ojos dulces,
Para tus manos suaves.

Déjame vivir.
Sin la ilusión de tu amor,
Sin el miedo de perderte
Sin el miedo de perderme.

En el vacío del olvido,
En la oscuridad de la nada,
Buscando una luz
Que no quiero encender,
Sentada en un suelo
Que no quiero pisar.

Contigo

Y  me quedo en blanco
Mirándote en los ojos
Y me digo que no puedo
Perderme en tu color.

Y el momento ya pasó,
De repente me encontré
Perdida en este sueño
Disfrazado de real.

Y me gusta cuando hablas
Y me encanta cuando callas,
Tus dedos que bailan
Sobre el teclado
Y tus ojos cerrados
En ventanillas de sol.

Y el miedo y el dolor,
Y  el dejarse llevar,
Y la tonta sonrisa
Que me acompaña contigo.

Cantan, bailan, forman mi vida.

Llama de sol,
Lluvia de un día
Que mira de lejos
Se acerca y se ríe.
De mí, de nosotros
de nuestra ilusión.

…Pero todo parece
Que nunca se acaba…

12
Set
10

Mary Alina Cartagena

Ovvero dove ero la scorsa settimana e perchè sono in ritardo col blog…

Dopo 4 bellissimi giorni passati in selva amazzonica e un giorno a Quito per lavare un po’ di vestiti, VIA,  si riparte,  destinazione Colombia! In questo viaggio saremo solo in 2, finalmente, un pò di quasi solitudine ci vuole ogni tanto, addio al gruppone e buongiorno alla coppia, si parla di più, ci si conosce di più, si approfondisce una relazione, una scommessa in fondo, vinta, almeno per quanto mi riguarda. Dicevo, siamo in due: io e Mariangela, volontaria a Tena, proveniente niente poco di meno che da… Napoli! E già, la mia passione per Napoli e i napoletani si riconferma ancora una volta! Quasi per caso decidiamo di fare insieme questa vacanza, liberarci un po’ dell’Ecuador e partire alla scoperta delle spiaggie caraibiche della Colombia settentrionale.

E così, consapevoli che per tutti i colombiani che incontreremo saremo la coppia Mafia e Camorra, partiamo alla volta di Cartagena, un ora di aereo fino a Medellin e appena 14 di autobus fino alla nostra meta. Dalla lettura della guida e dai nostri sguardi attraverso finestrini di taxi e autobus, sedili di mototaxi e barche, scopriamo che Cartagena è divisa in 3 parti: il centro storico, la periferia povera e autentica e una sorta di Miami beach locale, una penisola, chiamata Bocagrande, fatta di grattacieli, bar eleganti e lussuosi alberghi e condomini. Il solito contrasto dell’America Latina, il solito abisso tra ricchezza e povertà. Da brave turiste (e per una volta lasciatecelo fare) saltiamo a piè pari la squallida Miami beach colombiana e, con un po? di rimorso e senzo di colpa, la povera e animata periferia.

Il centro storico di Cartagena ci affascina immediatamente: città coloniale con case dipinte a colori vivaci, balconi con gazebi e piante rampicanti, numerose piazze e parchi verdi e rinfrescanti. L’antica muraglia circonda la città vecchia separandola dal mare e dalla città nuova, che è possibile scorgere camminando sulle mura e visitando gli antichi bastioni. Già dai primi momenti ci accorgiamo di non essere più in Ecuador: il clima caldo e piacevole, l’aspetto elegante e pulito, l’estrema cordialità della gente. Volendo generalizzare, il colombiano si presenta subito come un amico, dal venditore ambulante al cameriere della bettola, chiunque ti accoglie con un sorriso, si presenta, cerca di venderti qualcosa e di tirare su col prezzo, come in Ecuador, ma con modi più simpatici, cordiali, forse più subdoli e insistenti (fino a diventare fastidiosi) ma sicuramente meno bruschi e cupi. E un sorriso ti scappa sempre, per la loro inventiva, la gentilezza o una battuta, magari sempre la stessa per ogni turista… Anche se il mio, di sorriso, diventa un pò amaro, quando scopro che si rivolgono a noi, come tra loro, con la perifrasi “a la orden”, che alle nostre orecchie ha un sapore di triste retaggio coloniale al pari dell’ecuatoriano “mande” …

A testimonianza della cordialità colombiana, dopo poco più di mezza giornata, siamo già “amiche” di Edwin, vendtore di bottigliette d’acqua, che ci suggerisce di visitare la chiesa S. Pedro Clever, primo santo del nuovo mondo e promotore dell’abolizione della schiavitù, Wilson, proprietario di un negozio di artigianato, che ci consiglia di non cambiare mai i dollari per strada, Nelson, venditore di bibite, che ci avvisa che l’entrata al castello di S. Felipe è gratis la domenica, per concludere con Frey, cantante girovago proveniente dalla zona cafetera, che, dopo aver tastato, tra scherzo e verità, la possibilità di intraprendere un commercio illecito di polvere bianca dalla Colombia alla Sicilia, mi invita a improvvisare un duetto musicale con il mio nuovo acquisto intelligente: una wacharaka, strumento musicale colombiano, in questo caso a forma di pesce di legno con delle tacche sulla schiena, su cui fare musica raschiandole con una forchetta di metallo.  “Suoniamo” insieme 3 canzoni, per la gioia e il diletto delle orecchie del nostro pubblico, che ci guarda interdetto, non capendo il mio ruolo e la mia idiozia… Dopo il concerto, io e Mariangela ci avviamo verso le porte della città, per concludere la nostra serata al “Tu Candela”, locale colombiano dove un cocktail costa tra i 5 e gli 8 dollari (cifre esorbitanti per noi ecuadoriani) e, ci rendiamo conto dopo un paio di minuti, la clientela è composta per il 70% da vecchi marpioni stranieri e bellissime prostitute colombiane… Mi sa che è ora di andare a letto, eh Ale? Si Mary, domani ci si sveglia presto: ci aspetta la sabbia bianca e il mare cristallino di Playa Blanca, spiaggia isolata su un isola dove dormiremo su amache, cullate dal rumore delle onde e massacrate da zanzare fameliche…

07
Set
10

Rientro a Quito… ma per quanto?

06 Settembre 2010

28 anni

– 55 giorni al ritorno…

Dopo due settimane di vacanze, una in Amazzonia e un altra in Colombia, entrambe splendide seppur differenti, torno al lavoro…

Fino alle 11.30 non riesco a fare niente: la mia mente vaga, irrequieta, tra mille pensieri. Penso alle cose arretrate da fare, rispondo agli auguri su Facebook che ho apprezzato di più, cerco di non pensare al futuro e ci penso ancor di più, leggo alcune email che mi colpiscono e confondono uleriormente, cerco qualche voce amica con cui chattare, ho costantemente le lacrime agli occhi, senso di impotenza, paura, instabilità…

Le emozioni dei giorni passati si mescolano con le preoccupazioni per i giorni futuri…

E penso, penso ai rifugi che mi sono costruita in questi mesi, a come e se si trasformeranno o spariranno tra 55 giorni, alle cose che ho tralasciato, a come cambierà la bilancia dell’importante e del superfluo, alla realtá futura che sostituirà quella attuale, alle possibilità, alle responsabilità, allo scontro tra due vite differenti, alle lacrime e ai sorrisi che si confonderanno a novembre, a come fare perchè i colori si mischino tra loro in modo armonico, senza produrre quell’orribile marrone che mi veniva fuori da bambina quando mescolavo il giallo, e il rosso, e il nero, e il bianco, e il blu, e il verde… fino a includere tutti i colori dell’astuccio…

Così, saltando da un ricordo a un altro, mi viene in mente la “pozione magica” che preparavo con la mia vicina di casa, mescolando tutti i prodotti chimici e naturali che trovavamo in casa, creando quell’intruglio inizialmente biancastro che misteriosamente cambiava colore ogni giorno, colpendomi con il fascino irresistibile della sorpresa e delle ragioni occulte di quei magici cambiamenti. Recentemente mi sono chiesta se in realtà non fosse la mia vicina, più grande di me di un anno, ad aggiungergli ogni giorno qualcosa per cambiarne il colore e ridere così della mia ingenuità. Questo particolare, in fondo, è irrilevante; ciò che conta è l’emozione che provavo per aver creato qualcosa di magico e misterioso, la trepida attesa con cui ogni giorno aprivo la porta dello sgabuzzino e sollevavo il panno che copriva il bicchiere, per scoprire che colore avesse assunto il nostro fluido incantanto. Dai ricordi di infanzia fantastico al futuro e penso a quanto mi piacerebbe riuscire a costruire una vita simile alla “pozione magica”: diversi ingredienti che si armonizzano tra loro creando un colore solo, nitido e forte, che cambi di giorno in giorno, senza per questo perdere il suo fascino o dissolversi, aggiungendo ogni tanto un pizzico di qualcosa di nuovo o una manciata di ingredienti inaspettati, che mescolati ai precedenti daranno vita a nuove interessanti combinazioni cromatiche…

Pensieri bizzarri che frullano nella testa di un grigio lunedì mattina.

28
Ago
10

Del diritto alla poesia

Ispirato al post di Matteo, ex satiro saggio…

Benedetto Croce sosteneva che fino all’età di 18 anni tutti scrivono poesie. Dai 18 in poi rimangono a scriverle due categorie di persone: i poeti e i cretini…
Sebbene anche De Andrè amasse citare la precedente frase, devo ammettere di essere nettamente in disaccordo, aggiungendo a motivazioni personali il fatto che l’affermazione è di per sé fallace, partendo dalla falsa diseguaglianza poeta/cretino. Chi ha detto che un poeta non può essere un cretino? O un cretino un poeta? Quel “cretino con qualche lampo di imbecillità” (a detta di D’Annunzio) di Marinetti non è da altri considerato un poeta?

De Sanctis chiamava poeta “colui che sente confusamente agitarsi dentro di sé tutto un mondo di forme e d’immagini: forme dapprima fluttuanti, senza determinazioni precise, raggi di luce non ancora riflessa, non ancora graduata ne’ brillanti colori dell’iride, suoni sparsi che non rendono ancora armonia”. Io non ho certo smesso a 18 anni (e mi auguro non lo faccia nessun’altro) di sentire questo caos e cercare di mettervi un po’ d’ordine…  e certamente non smetterei solo per paura di sembrare “cretina”…
Chiunque senta il bisogno di esprimere la propria interiorità attraverso la scrittura, in qualsiasi sua forma, dalla prosa alla poesia, ha il diritto se non il dovere di farlo. Sta poi al lettore la scelta di addentrarsi con piacere in quegli scritti o abbandonarli con disgusto.

Quindi scrivete poesie, tenetevele per voi o pubblicatele… E io farò lo stesso. E ogni tanto su questo blog appariranno piccoli embrioni di poesie, certamente non  farfalle, ma piccoli bruchi che amano nutrirsi delle foglie del  mio disordine…

D’altronde  “La casa della poesia non avrà mia porte” (Alda Merini)…

No me digas que me quieres No me digas que soy hermosa No me digas que me amas No me digas que me piensas

Calla tu boca imbécil,  Cierra tus ojos dulces,  Para tus manos suaves.

Déjame vivir. Sin la ilusión de tu amor, Sin el miedo de perderte Sin el miedo de perderme.

En el vacío del olvido, En la oscuridad de la nada, Buscando una luz Que no quiero encender, Sentada en un suelo Que no quiero pisar.

20
Ago
10

Le mangrovie per i più grandi

Il racconto delle mangrovie, per chi ha potuto/voluto leggerlo, é una versione un po soft di quello che sta succedendo in Ecuador, cosí come in altri paesi del Sud America, del Africa e dell Asia.

Nelll’articolo “Ufficialmente cosa ci faccio in ecuador”  ho giá spiegato cos é una mangrovia e perché si tratta di un ecosistema cosí importante. Riassumendo: le mangrovie sono piante che vivono in climi tropicali e subtropicali in zone estuarine. Si tratta di un ecosistema altamente produttivo e complesso:

  • Habitat di vari organismi tra cui specie endemiche, come la concha prieta e il granchio azzurro.
  • Protegge le uova di molte specie di pesci e gamberi che le depositano tra le sue radici
  • Barriera naturale contro inondazioni e altri fenomeni atmosferici, come il Niño
  • Desalinizza l’acqua del mare, rendendola adatta al consumo umano e alla produzione agricola
  • Purifica l’acqua dalla terra al mare. Soprannominate infatti “reni della terra”.
  • Fornisce prodotti come legna, carbone, medicine, pesce, crostacei, molluschi, etc.
  • Controlla l’erosione della linea costiera
  • Ovvietá: é un albero, contribuisce quindi all’assorbimento dell’anidride carbonica (attenuando gli effetti di quei cambiamenti climatici, parlare dei quali va tanto di moda…)

Inoltre la pianta è anche bellina! Dai meravigliosi tunnel di radici ai piccoli alberelli come questo:

Come giá anticipato, le mangrovie sono in pericolo: negli ultimi anni sono state deforestate circa il 50% a livello mondiale. In Ecuador si raggiungono valori pari al 70%.  E sapete perché questo disboscamento indiscriminato? Per  produrre bei gamberi tropicali per la gioia e golositá dei ricchi consumatori europei, statunintesi e giapponesi! Ci piacciono quei bei gamberozzi bianco rosati e succosi eh? Niente di piú delizioso… Ma abbiamo mai provato a leggerne la provenienza? Ecuador? Thailandia? Bangladesh? Non importa! Quando mangiate un bel piatto fumante di gamberi tropicali da esportazione, sappiate che non state mangiando solo dei semplici crostacei, ma un intero ecositema.

Sappiate che state mangiando un piatto di lacrime e sofferenze, condite col dolore di donne, uomini e bambini, popolazioni intere sdradicate dalla loro casa e dalla loro vita.

E si, perchè al di là dei danni ambientali che la distruzione delle mangrovie comporta, incredibilmente cruente sono le conseguenze sociali causate dall’industria delle camaroneras.

Le camaroneras sono allevamenti industriali di gamberi che si insediano con forza nelle coste ecuadoriane a partire dagli anni 70. Fino a quel momento, e anche attualmente, il bosco di mangrovie era considerato suolo pubblico e i suoi dintorni abitati da comunitá di pescatori, raccoglitori di conchiglie e granchi, carbonari, che utilizzavano in maniera ancestrale e sostenibile i prodotti reperibili tra il fango e le acque delle mangrovie.  I camaroneros si presentarono offrendo lavoro, leggasi manodopera a basso costo, agli abitanti ancestrali della costa ecuatoriana, che in parte accettarono, ignari delle conseguenze che ció avrebbe avuto. Cominciarono cosí a deforestare le mangrovie, installando le immense piscine di sabbia e cemento destinate all’allevamento dei gamberi in quello che secondo la costituzione ecuatoriana appare come suolo pubblico, bene nazionale, areaa protetta. La legge ecuatoriana prevede il ritiro della concessione di aree costiere per attivitá marine o di acquacultura nel caso comportino abbattimento di mangrovie. Ma la corruzione dilagante fa si che le aree dove sorgono le camaroneras appaiano come aree agricole, ex saline, spiaggie, etc… Dove sono finite le mangrovie? Chi lo sa! Qua non ci sono mai state, nonostante le mappe degli stessi militari dimostrino il contrario.

Le camaroneras iniziano quindi a funzionare a pieni ritmi, diventando una delle 4 maggiori industrie di esportazione del paese.

A livello ambientale i danni sono: deforestazione delle mangrovie con la conseguente perdita dell’habitat naturale di numerose specie, depredazione di larve e pesci, inquinamento delle acque. Per alimentare le larve di gambero sono infatti necessarie tonnellate di farina di pesce, ottenuta con la pesca indiscriminata di pesci di tutte le dimensioni. Alla farina di pesce si aggiungono antibiotici, urea, superfosfato triplo e altri prodotti per accelerarne la crescita e donargli quel colore bianco rosato che ne renderá l’aspetto ancora piú appetitoso. L’accumulo di queste sostante nutritive obbliga a lavare continuamente le vasche: dopo ogni “raccolto” le piscine camaroneras vengono lavate con prodotti chimici, le acque di scarico riversate direttamente al mare mentre acqua pulita viene prelevata  per essere nuovamente sporcata…

La difesa delle ecosistema delle mangrovie non riguarda solo l’ambiente, non si tratta di una mera battaglia ecologista, come salviamo i delfini calderón, le balene, le foche, o il coleottoro blu. La vita delle mangrovie è strettamente connessa alla vita di numerose famiglie, e non solo in Ecuador.

Con l’arrivo delle camaroneras le popolazioni ancestrali che avevano costruito la loro vita attorno alle mangrovie, perdono infatti la loro fonte di sostentamento. Citando le parole di un collega, ex raccoglitore di granchi, “le mangrovie erano la loro vita, la loro casa, la loro impresa naturale”. Le risorse naturali cominciano a scarseggiare: senza mangrovie non ci sono piú granchi, non ci sono piú conchiglie, non c é legna per le case e per il carbone, la quantitá di pesce diminuisce drasticamente per mancanza di radici in cui proteggere le uova, larve con cui nutrirsi, acqua pulita in cui nuotare… L’acqua diventa sempre piú contaminata e i pozzi ormai danno solo acqua gialla e salmastra. Intere popolazioni sono costrette a trasferirsi nelle grandi cittá in cerca di lavoro, compito difficile per chi é sempre stato pescatore o raccoglitore di granchi. Gli indici di povertá raggiungono sulla costa indici spaventosi, in alcuni paesini di parla di 100% di persone che vivono al di sotto  delle necessita primarie.

C’é chi parla delle camaroneras come sviluppo, come motore della crescita economica del paese, come fonte di lavoro. Ma i dati smentiscono questa affermazione: da uno studio del governo risulta che in un solo ettaro di mangrovie potevano vivere tranquillamente 10 famiglie, in 100 ettari di camaronera solo 4 famiglie (il guardiano, l’alimentatore dei gamberi, l’amministratore e  il proprietario)…

Ci si chiede quindi dove stia questo sviluppo e perché si permetta un simile controsenso. La risposta, ovvia e banale, ricorda che quasi tutti i proprietari di camaroneras sono ex politici, loro familiari, ricche famiglie delle grandi cittá e investitori stranieri; ricorda che le camaroneras si sono insediate in territori dove la gente non sapeva né leggere né scrivere, tanto meno difendersi da quest’usurpazione, ricorda le armi e la violenza con cui sono state uccise centinaia di persone in Bangladesh e decine in Ecuador: non solo attivisti, ma anche semplici raccoglitori di conchiglie, il cui unico peccato era stato quello di avvicinarsi troppo alle mura delle camaroneras (per questo massacrati dai cani da guardia o uccisi da una pallottola vagante)…

Questo é quanto succede dall’altro lato del mondo, al di lá della vostra tavola. Per cui vi chiedo, la prossima volta che ordinerete o comprerete dei gamberi, ne vale davvero la pena? Non vi accontentereste di quegli splendidi gamberetti di produzione europea?

Forse solo boicottando il consumo é possbile porre fine a questo scempio…

Ps. Ultima riflessione. Non pensavo vi potesse essere una relazione cosí profonda tra l’uomo e la natura. Ma in questi mesi mi sono resa conto di come in Ecuador, questo é ancora importante: gli huarani e l’amazzonia, i popoli ancestrali della costa e le mangrovie. Ho visto una donna forte piangere ricordando le sofferenze del padre pescatore che adesso non riesce piú a sostenere la propria famiglia, anziane vecchine ricordare con rabbia e nostalgia i tempi in cui raccoglievano 1000 conchiglie al giorno e adesso 80, pescatori che con entusiasmo seminano piante di mangrovie affinché i loro figli possano tornare a goderne, anziani che ogni giorno sorvegliano i boschi di mangrovie per evitarne il disboscamento, bambini ridere e giocare tra il fango e i rami delle mangrovie…  Ed é quest’ultima l’immagine che vorrei continuare a vedere…

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16
Ago
10

L’eccezione…

Beh si, avevo scommesso che sarei riuscita a scrivere almeno un articolo per settimana… E la scorsa settimana non ho rispettato le regole… É anche vero che il bello delle regole é che ogni tanto si possono pure infrangere e cosí é stato.  Colpa anche di un weekend passato a Mompiche, spiaggia da favola in un paesino sperduto dove le comunicazioni sono sotto l’egemonia del farmacista tiranno…  In fondo é tempo di ferie, anche se io non sono ancora in ferie e soprattutto tempi confusi, con la fine di questa tappa di vita alle porte e il futuro che bussa sempre piú insistentemente per sapere dove mi porterá…

Questa settimana scrivo, promesso!  😉

05
Ago
10

Le mangrovie per i piú piccini

Los manglares para los niños

Per chi capisce un po di spagnolo, questo é il copione di teatro che ho scritto insieme a Michele, per fare un po di teatro ecologico. Ancora non ha avuto una realizzazione pratica… Si cercano idee, attori e pubblico interessati…

Aquí va el texto de teatro que escribí con la colaboración de Michele, para dar vida a un espectáculo de teatro ecológico. Todavía no tuvo ninguna realización práctica. Se buscan actores y públicos interesados…

https://cosiesemipare.wordpress.com/cuento-del-manglar/




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