Pirateria

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La tipica bandiera pirata del XVII-XVIII secolo con sfondo nero, teschio e tibie incrociate è chiamata Jolly Roger. Prima di un abbordaggio veniva nascosta e sostituita con una diversa, sfruttando la sorpresa.

La pirateria è l'azione illegale dei pirati[1], che compiono violenza in ambito nautico. Tipicamente essi sono marinai che assaltano, saccheggiano o affondano navi in alto mare, nei porti, sui fiumi, negli estuari e nelle insenature, dopo aver abbandonato la precedente vita sui mercantili per scelta o per costrizione.

"Pirata" deriva dal latino pirata, piratæ, che ha un suo corrispettivo nel greco πειρατής (peiratès), da πειράω (peiráo) che significa “tentare" e "attaccare".

I luoghi considerati ad alto rischio di pirateria sono cambiati. Tra questi spiccano il Mare Caraibico, la zona dello stretto di Gibilterra, il Madagascar, il Mar Rosso, il Golfo Persico, il litorale del Malabar nonché tutta l'area tra Filippine, Malaysia e Indonesia ove spadroneggiavano i pirati filippini.

Il Mar Cinese Meridionale ospitava all'inizio del XIX secolo la più temuta e numerosa comunità di pirati (si stima circa 40.000). Effettivamente la locuzione "epoca d'oro della pirateria" si riferisce soprattutto alla pirateria caraibica dei secoli XVII-XVIII (calata drasticamente nel XIX), che però non poteva competere con quella cinese.

Stereotipo piratesco tipico delle opere di fantasia: occhio bendato, pappagallo, uncino, gamba di legno, sciabola d'abbordaggio, Jolly Roger su feluca, giacca, qualche dente guasto, ghigno, orecchini e barba

In tempi moderni il lemma pirateria per estensione viene riferito anche a situazioni diverse da quella nautica originaria, come pirateria informatica, pirateria di contraffazione, pirateria aerea . Di conseguenza la pirateria si estende alla violenza nell'ambito delle vie di comunicazione in generale.

La pirateria è antica quanto la navigazione, ma nella cultura popolare tende a rimandare soprattutto ad un'epoca precisa ovvero i secoli XVI-XIX (specie XVII e XVIII).

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Origini[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Guerra piratica di Pompeo.
Mappa generale del Bellum piraticum con i relativi comandanti, per area territoriale

Vi sono esempi di pirati nel mondo antico con i Popoli del mare (come gli Shardana) o classico tra i Greci e i Romani, quando ad esempio gli Etruschi erano conosciuti con l'epiteto greco Thyrrenoi (da cui deriva il Mar Tirreno) e avevano la fama di pirati efferati; all'inizio del primo secolo a.C. il giovane Gaio Giulio Cesare fu preso prigioniero da pirati che veleggiavano nelle acque intorno all'isola di Rodi, con grandi flotte di navi enormi, secondo un famoso aneddoto riferito da autori come Svetonio (nelle Vite dei Cesari, libro I) e Plutarco (nelle Vite parallele). Gneo Pompeo Magno condusse una vera e propria guerra contro i pirati, con il sostegno del Senato romano. I pirati erano quasi sempre condannati a morte pubblicamente.

Antichità[modifica | modifica wikitesto]

Man mano che le città-stato della Grecia crebbero in potenza, attrezzarono delle navi scorta per difendersi dalle azioni di pirateria. Fra esse Rodi, che secondo Strabone nell'VIII sec. a. C. si assunse compiti di "polizia del mare" navigando fino in Adriatico «per la salvezza delle genti».

A sua volta Atene, la maggior potenza navale ellenica, dovette spesso occuparsi di proteggere i suoi traffici dai pirati. Nel cosiddetto "decreto Tod 200" (325/24 a.C.) si progettò addirittura la fondazione di una nuova base navale perché «vi sia protezione dai Tirreni», cioè gli Etruschi della Val Padana che controllavano l'alto Adriatico e da lì partivano per le loro scorrerie.

Il Mar Mediterraneo vide sorgere e consolidarsi alcune fra le più antiche civiltà del mondo ma, nello stesso tempo, le sue acque erano percorse anche da predoni del mare. L'Egeo, un golfo orientale del Mediterraneo e culla della civiltà greca, era un luogo ideale per i pirati, che si nascondevano con facilità tra le migliaia di isole e insenature, dalle quali potevano avvistare e depredare le navi mercantili di passaggio. Le azioni di pirateria erano inoltre rese meno difficoltose dal fatto che le navi mercantili navigavano vicino alla costa e non si avventuravano mai in mare aperto. L'attesa dei pirati, su una rotta battuta da navi cariche di mercanzie, era sempre ricompensata da un bottino favoloso. I pirati attaccavano spesso anche i villaggi e ne catturavano gli abitanti per chiedere un riscatto o per rivenderli come schiavi.[2]

Questa è la descrizione che ne fa lo storico Cassio Dione Cocceiano al tempo della guerra piratica di Pompeo del 67 a.C.:

«I pirati non navigavano più a piccoli gruppi, ma in grosse schiere, e avevano i loro comandanti, che accrebbero la loro fama [per le imprese]. Depredavano e saccheggiavano prima di tutto coloro che navigavano, non lasciandoli in pace neppure d'inverno [...]; poi anche coloro che stavano nei porti. E se uno osava sfidarli in mare aperto, di solito era vinto e distrutto. Se poi riusciva a batterli, non era in grado di catturarli, a causa della velocità delle loro navi. Così i pirati tornavano subito indietro a saccheggiare e bruciare non solo villaggi e fattorie, ma intere città, mentre altre le rendevano alleate, tanto da svernarvi e creare basi per nuove operazioni, come si trattasse di un paese amico.»

(Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, XXXVI, 21.1-3.)

Medioevo[modifica | modifica wikitesto]

Nel Medioevo pirati europei furono per esempio: Maio "Matteo - Madio" di Monopoli, 1260 (pirata italiano medievale che navigava nel Mediterraneo preferibilmente tra Puglia e Grecia), Enrico "il Pescatore" di Malta, Ruggero da Fiore, Andrea Morisco, Awilda, il Duca Barnim VI di Pomerania, Gottfried Michaelsen, i Vitalienbrüder, Hennig Wichmann, Cord Widderich, Mastro Wigbold e Klaus Störtebeker pirata germano nato nel 1360 a Wismar e morto nel 1401 ad Amburgo, terrore del mar baltico.

Nel Mediterraneo all'Alto Medioevo risalgono le attività piratesche di Vandali, Vichinghi e Danesi, mentre al Basso Medioevo quelle di Slavi e Saraceni con relativi prodromi nei secoli precedenti.

Assieme a questi si aggiungono anche i corsari di Malta.

I pirati più conosciuti nel Medioevo furono i Vichinghi, che dalla Scandinavia attaccarono e depredarono principalmente tra l'VIII e il XII secolo. Saccheggiarono le coste e gli entroterra di tutta l'Europa occidentale e successivamente le coste del Nord Africa e dell'Italia. La mancanza di poteri centralizzati in tutta Europa nel Medioevo favorì la pirateria in tutto il continente.

I Vichinghi[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Vichinghi.
Vichinghi imbarcati in una miniatura del XII secolo

Navigatori esperti, i guerrieri norreni originari della Scandinavia pianificavano i loro attacchi in anticipo e di solito riuscivano a sorprendere le loro prede grazie alla velocità e alla mobilità, elementi chiave delle incursioni norvegesi che le rendeva difficili da prevenire.

Il primo attacco registrato da parte dei vichinghi si ha nel 793, testimoniato da Simone di Durham. Esso racconta del saccheggio della chiesa di Lindisfarne, dove sono stati rubati tutti i tesori.[3] Incursioni di questo tipo erano comuni fra i norvegesi. Questi pirati erano provvisti di grandi navi che usavano per scontri in mare oltre che per saccheggiare le città e i monasteri, i drakkar. Tra i tesori più ricercati vi erano le copertine dei codici miniati, crocifissi d'oro e calici d'argento. I monasteri erano preferiti ad altri obbiettivi a causa della loro lontananza dalle città, la vicinanza all'acqua e l'assenza di eserciti o guardie a difenderli. Potevano essere fatti prigionieri più facilmente.

Nel 795 i pirati nordici fecero irruzione per la prima volta a Iona[4], un'isola al largo della Scozia. Venne attaccata nuovamente nel 802 e 806 dove si riporta l'uccisione di sessantotto persone fra monaci e laici. Valfridio Strabone, un abate di Reichenau, riporta in un manoscritto contenente molte delle sue opere, racconti dettagliati di un guerriero irlandese aristocratico che donò la sua vita a Dio. Costui era Blathmac e durante un attacco al suo monastero da parte dei pirati nel 825, venne lasciato in vita per ricavare informazioni riguardanti i prossimi obbiettivi da depredare. Al rifiuto di fornire tali informazioni, i pirati lo assassinarono brutalmente.[5]

Le isole britanniche non erano gli unici obiettivi di caccia da parte dei pirati norvegesi. Durante l'impero dei Franchi, il flusso di Vichinghi non cessò di aumentare. Ovunque ci furono cristiani vittime di massacri, incendi, saccheggi e i Vichinghi continuarono nella conquista di tutto il loro percorso, senza trovare resistenza. Presero Bordeaux, Périgueux, Limoges, Angoulême e Tolosa. Le città di Angers, Tours e Orléans vennero annientate e una flotta imponente di navi pirata che risaliva su per la Senna portò la paura in tutta la regione. Rouen fu rasa al suolo; Parigi, Beauvais e Meaux furono prese e ogni città fu assediata.

Entro la fine del IX secolo, i Franchi avevano pagato l'equivalente di dodici tonnellate di argento, grano, bestiame, vino, sidro e cavalli per evitare il saccheggio delle loro città e dei monasteri.

I pirati norvegesi si svilupparono nei primi anni dell'epoca vichinga. Dopo un primo periodo di nomadismo, stabilirono basi stabili sulle coste, insediandosi con le loro famiglie in posti come Jorvik (York), Islanda, Novgorod (Russia) e Normandia. La pirateria mise le basi per l'esplorazione finché la civiltà norvegese raggiunse il Nord America. Famosi per la loro abilità di navigatori e per le lunghe barche, i vichinghi in pochi secoli colonizzarono le coste e i fiumi di gran parte d'Europa, le isole Shetland, Orcadi, Fær Øer, l'Islanda, la Groenlandia e Terranova; si spinsero a sud fino alle coste del Nordafrica e a est fino alla Russia e a Costantinopoli, sia per commerciare sia per compiere saccheggi.

Il loro declino avvenne in coincidenza con la diffusione del Cristianesimo in Scandinavia; a causa della crescita di un forte potere centralizzato e al rinforzarsi delle difese nelle zone costiere dove erano soliti compiere saccheggi, le spedizioni predatorie divennero sempre più rischiose, cessando completamente nell'XI secolo, con l'ascesa di re e grandi famiglie nobili e di un sistema semi feudale.

I Vichinghi, nell'immaginario moderno, sono associati a falsi miti, tra i quali che fossero molto alti (secondo studi moderni erano solo di media statura), che indossassero elmi con le corna, che vivessero solo per depredare (anzi erano anche commercianti o semplici esploratori), usassero i teschi come tazze nonché fossero selvaggi e sporchi. Il cuore della società vichinga era in realtà basato sulla reciprocità, sia a livello personale e sociale sia a livello politico. Riguardo all'igiene, erano in realtà considerati "eccessivamente puliti" dalle popolazioni britanniche per la loro abitudine di fare almeno un bagno a settimana e usavano pettini e sapone. Ciò non toglie che effettivamente i Vichinghi terrorizzassero chiunque fosse da loro assalito; spesso trucidavano la popolazione locale, depredando tutti i beni e il bestiame, schiavizzavano i bambini e le donne, talvolta arrivando a commettere infanticidio, secondo le loro usanze belliche.

I Mori[modifica | modifica wikitesto]

Monumento dei quattro Mori

Verso la fine del IX secolo, i Mori si erano instaurati lungo le coste della Francia meridionale e l'Italia settentrionale. Nell'846 i Mori saccheggiarono Roma e danneggiarono il Vaticano. Nel 911, il Vescovo di Narbona fu impossibilitato al ritorno in Francia per via del controllo che i Mori esercitavano su tutti i passi delle Alpi[6]. Dall'824 al 916 i pirati Arabi razziarono per l'intero Mediterraneo. Nel XIV secolo gli assalti dei pirati Mori e Arabi costrinsero il Ducato Veneziano di Creta a chiedere al Gran Duca di tenere costantemente in allerta la sua flotta navale.[7]

I Narentani[modifica | modifica wikitesto]

Dopo le invasioni compiute dagli Slavi della ex provincia romana della Dalmazia nel V e VI secolo, una tribù chiamata Narentani prese il comando, a partire dal VII secolo, sul mare Adriatico. Le loro incursioni aumentarono al punto che viaggiare e commerciare attraverso l'Adriatico non era più sicuro.[8]

I Narentani furono liberi di attaccare e saccheggiare nel periodo in cui la Marina Veneziana era impegnata in campagne militari fuori dai propri mari, ma al momento del suo ritorno nell'Adriatico, i Narentani abbandonarono i loro assalti, e furono costretti a firmare un trattato con i Veneziani e a riconoscere il Cristianesimo. Negli anni 834-835, rotto il trattato precedentemente stipulato, attaccarono nuovamente ai danni di commercianti Veneziani di ritorno da Benevento. Seguirono quindi, negli anni 839 e 840, dei tentativi di punirli da parte dei militari Veneziani che andarono completamente falliti.

Successivamente gli attacchi ai danni dei Veneziani si fecero più frequenti e videro anche la partecipazione degli Arabi. Nell'anno 846, i Narentani saccheggiarono la laguna di Caorle passando alle porte di Venezia. I Narentani rapirono degli emissari del vescovo di Roma, che facevano ritorno dal Consiglio Ecclesiastico di Costantinopoli. Questo causò delle azioni militari da parte dei Bizantini che riuscirono a sconfiggerli e convertirli al Cristianesimo. Dopo le incursioni da parte degli Arabi, sulla costa adriatica nell'872 e il ritiro della Marina Imperiale, i Narentani hanno continuato le loro scorrerie nelle acque Veneziane, provocando nuovi conflitti con gli italiani nell'887-888.

I Veneziani inutilmente continuarono a combattere contro di loro nel corso dei secoli X e XI.

Corsari Catalani[modifica | modifica wikitesto]

Il programma di espansione dell'Aragona era incentrato prevalentemente sulle attività marinare di pirateria e di corsa. Molte furono le lamentele da parte di diverse regioni vicine e lontane, attestando così l'efficacia di tali attività.

Nel 1314 due ambasciatori marsigliesi accusarono i pirati Catalani di aver venduto alcuni commercianti e marinai provenzali, dopo averli privati di beni e imbarcazioni. Attorno al 1360, sempre da parte dei marsigliesi, si ha notizia dell'invio alla Regina Giovanna di Napoli di ambasciatori per la richiesta di risarcimento di danni conseguenti a razzie catalane, che ammontavano a ben 40.000 fiorini d'oro.[9] I Re Aragonesi non sempre mantenevano un atteggiamento chiaro nei confronti degli alleati, ai quali da un lato promettevano amicizia, mentre permettevano che i propri sudditi si volgessero contro di loro per saccheggi e attacchi ai mercantili. Il controllo sul movimento dei porti aragonesi era rigido e veniva precisato da speciali norme che stabilivano le regole e le precauzioni secondo le quali si doveva navigare. L'editto reale del 1354 prevedeva infatti che nessuna imbarcazione potesse salpare dalla spiaggia di Barcellona o da altri porti del Regno, senza una licenza o un lasciapassare e che soltanto le navi armate potessero trasportare merci pregiate.[10]

Una organizzazione così minuziosa dell'attività mercantile sottolinea la volontà di programmare anche il commercio in funzione dei problemi dell'offesa e della difesa e quindi della pirateria e della guerra di corsa.

Museo della Pirateria di Lanzarote

Rappresaglie ufficiali[modifica | modifica wikitesto]

Fu il Re Enrico III (1216-1272) a emettere le prime lettere di marca conosciute.

Ve ne erano di 2 differenti tipi: in tempo di guerra il re emetteva lettere di corsa che autorizzavano i corsari ad attaccare le navi nemiche, e in periodo di pace i mercanti che avevano perso le navi o il carico per colpa di pirati potevano richiedere una lettera di marca speciale che permetteva loro di attaccare navi appartenenti allo Stato d'origine del pirata, per recuperare le perdite.

La gravità di questo fenomeno è testimoniata da provvedimenti cruenti ed esemplari come per esempio quello preso dal Re Enrico III nei confronti di un pirata di nome William Maurice, condannato per pirateria nel 1241 e conosciuto come la prima persona a essere stata impiccata e squartata a fronte di una condanna per atti di pirateria.[11]

Imbarco per la Terra Santa[modifica | modifica wikitesto]

L'Ordine dei Cavalieri di San Giovanni, detti anche Cavalieri del Santo Sepolcro, fu fondato nell'XI secolo durante le Crociate con l'intento di difendere Gerusalemme, in mano ai Cristiani, dagli attacchi delle forze dell'Islam (tra i cui attacchi vi era anche la "Corsa barbaresca" alle coste corrispondenti all'attuale area di Israele). Esiste una miniatura che mostra i crociati che caricano le navi per il viaggio in Terra Santa. I Cavalieri costruirono anche ospedali dove ricoverare i crociati feriti.

I pirati barbareschi[modifica | modifica wikitesto]

Nel Mar Mediterraneo operò quella che divenne nota come pirateria barbaresca, ossia a opera dei corsari barbareschi, provenienti dalle regioni "barbaresche" (cioè a maggioranza berbera che si affacciano sul Mediterraneo), che cominciarono a operare dal XIV secolo.

Le scorrerie degli arabi nel Mediterraneo iniziarono con l'occupazione del cantiere navale di Alessandria d'Egitto (642) e la successiva costruzione del cantiere navale di Qayrawan, presso Tunisi (690 circa).[12][13]

Gli Stati barbareschi (Algeri, Tripoli e Tunisi) erano città-Stato musulmane situate sulle coste del Mediterraneo, la cui principale attività era rappresentata dalla guerra marittima di corsa, soprattutto ai tempi delle crociate, guerre religiose che videro scontrarsi, a partire dalla fine dell'XI secolo, cristiani e musulmani.

Fino a circa il 1440, il commercio marittimo sia nel Mare del Nord che nel Mar Baltico era seriamente in pericolo di attacco da parte dei pirati.

Pirateria moderna[modifica | modifica wikitesto]

Lettera di marca del capitano Kidd, XVII secolo
La vecchia Port Royal, centro della pirateria nei Caraibi nel XVII secolo. Fu distrutta da un terremoto nel 1692.
Lo spagnolo Amaro Pargo è stato uno dei più famosi corsari del periodo d'oro della pirateria

I musulmani continuarono anche nel Rinascimento a depredare navi, e finirono progressivamente di operare solo nel XIX secolo, partendo comunque sempre e solo dalle coste marocchine, algerine, tunisine o libiche, ma senza essere pirati; ciò è dimostrato dal fatto che i corsari barbareschi non aggredivano navigli musulmani ma rapinavano esclusivamente imbarcazioni cristiane.

Tuttavia la pirateria moderna inizia realmente solo nel XVII secolo nel Mare Caraibico e in meno di mezzo secolo si estende in tutti i continenti; il Mare delle Antille rimane ad ogni modo il centro della pirateria, sia perché là i pirati riescono a godere di una serie di appoggi e favori sulla terraferma, sia perché le numerose isole presenti sono ricche di cibo e i fondali bassi impediscono inseguimenti da parte delle già lente navi da guerra.

Tra le cause dello sviluppo della moderna pirateria vi fu l'azione della Francia e dell'Inghilterra che, per contrastare la Spagna nel Mare dei Caraibi, finanziarono vascelli corsari che saccheggiassero i mercantili spagnoli. Successivamente, sia per il venir meno dell'appoggio anglo-francese, sia per una acquisita abitudine allo stile di vita libero e indipendente, molti corsari divennero pirati.[14]

Un pirata del XVIII secolo rappresentato in un dipinto di Howard Pyle (1905)

Nel 1717 e 1718 Re Giorgio I di Gran Bretagna offrì il perdono ai pirati nella speranza di indurli ad abbandonare la pirateria, ma il provvedimento si dimostrò di nessuna efficacia. Per rendere i mari più sicuri si organizzò allora una sistematica "caccia ai pirati" da parte di navi corsare, specificamente autorizzate dai governi per combattere i pirati. Infatti, sebbene nel momento della massima espansione, attorno al 1720, i pirati dell'Atlantico non superassero il numero di 4 000, essi furono in grado di porre una pesante minaccia sullo sviluppo capitalistico dei commerci tra Inghilterra e colonie.

Ciò fu reso possibile, oltre che dalla oggettiva difficoltà di opporsi alla pirateria, da alcune cause più generali. Con il trattato di Utrecht, la fine della guerra di successione spagnola e il nuovo equilibrio tra potenze che si venne a creare a partire dal 1714, le marinerie militari di Francia, Spagna e Inghilterra furono molto ridotte e da quel momento fino al 1730 circa vi fu anche una certa diminuzione dei commerci internazionali. La disoccupazione che colpì i marinai, la drastica diminuzione dei salari che a essa si accompagnò, e il contemporaneo peggioramento delle condizioni di vita a bordo dei vascelli, spinse un gran numero di marinai verso la pirateria che prometteva loro guadagni più facili e condizioni di vita più umane.

Pirateria nelle isole Canarie[modifica | modifica wikitesto]

Murale che rappresenta l'attacco di Charles Windon a San Sebastián de La Gomera (1743).

A causa della situazione strategica di questo arcipelago spagnolo come crocevia di rotte marittime e ponti commerciali tra Europa, Africa e America,[15] questo era uno dei luoghi del pianeta con la più grande presenza di pirati.

Nelle isole Canarie emergono le seguenti: attacchi e saccheggio continuo di corsari berberi, inglesi, francesi e olandesi;[15] e d'altra parte la presenza di pirati e corsari da questo arcipelago, che hanno fatto le loro incursioni nei Caraibi. Pirati e corsari come François Le Clerc, Jacques de Sores, Francis Drake, Pieter van der Does, Morato Arráez e Horatio Nelson hanno attaccato le isole. Tra i nati nell'arcipelago spicca soprattutto Amaro Pargo, che il monarca Filippo V di Spagna ha spesso beneficiato nelle sue incursioni commerciali e corsari.[16][17]

Pirateria in Estremo Oriente[modifica | modifica wikitesto]

Nei mari della Malaysia e dell'Indonesia imperversavano gli Orang Laut, pirati- pescatori, "nomadi del mare" le cui origini furono nelle lussureggianti Isole Riau, indonesiane. Questi pirati nel Medioevo furono assoldati dai signori locali per la difesa dei propri territori in cambio di benefici commerciali, come accadde durante l'epoca Srivijaya, regno malese formato da Città-Stato che fra il VII e il XIII secolo esercitò una talassocrazia basata sull'appoggio degli Orang Laut i quali utilizzavano imbarcazioni agili e veloci (prahos) per assalire i carichi mercantili.

Il Mar Cinese meridionale dal Medioevo al XIX secolo fu infestato da gruppi di pirati che in particolare imperversavano nell'odierna Taiwan. Dal XIV al XVII secolo i wakō, banditi-pirati giapponesi, colpirono l'arcipelago nipponico, le coste della Cina e la penisola di Corea.[18]. Tra i pirati dell'Estremo Oriente si ricorda la figura della "piratessa" Ching Shih che riunì sotto di sé una flotta poderosa.[19].

Pirateria contemporanea[modifica | modifica wikitesto]

La pirateria è un fenomeno presente anche nel mondo contemporaneo. I pirati d'oggi hanno armi sofisticate, ma usano le stesse tecniche di abbordaggio. Attaccano navi mercantili o da crociera; in alcuni casi uccidono i marinai e s'impossessano del carico, altre volte prendono in ostaggio l'equipaggio e chiedono un riscatto. Si calcola che le perdite annue ammontino tuttora a una cifra compresa tra 13 e 16 miliardi di dollari[20][21], in particolare a causa degli abbordaggi nelle acque degli Oceani Pacifico e Indiano e negli stretti di Malacca e di Singapore, dove transitano annualmente più di 50 000 cargo commerciali.

Mentre il problema si presenta saltuariamente anche sulle coste del Mediterraneo e del Sud America, la pirateria nei Caraibi e in America del Nord è stata debellata dalla Guardia costiera degli Stati Uniti. Nel Golfo di Aden e Corno d'Africa è presente la pirateria somala. Anche il Golfo di Guinea è soggetto ad attacchi di pirateria.

Caratteristiche[modifica | modifica wikitesto]

Spesso si tendono a confondere pirati, corsari, bucanieri e filibustieri (soprattutto nel linguaggio comune). La differenza è sottile, perché si tratta sempre di violenza sotto forma di razzie, furti e rapine a danno di elementi nautici.

"Pirata" è il più generico: letteralmente è "assalitore" (come accennato nell'introduzione a proposito dell'etimo), ma in senso stretto è chi agisce per sé o il proprio equipaggio. Anche "corsaro" è "predone" (uno dei significati di "corsa" dal latino è "saccheggio", tanto che già in latino cursarius è sinonimo di "pirata", e tuttora "correre il mare" è "far pirateria"), però nella Storia è chi non agisce solo per sé bensì anche per un governo (di cui si batte bandiera, con cui si condivide bottini e da cui si ha autorizzazione mediante "lettera di corsa"). In altre parole, i corsari sono pirati legalizzati.

“Bucaniere” e “filibustiere” si riferiscono all'epoca d'oro della pirateria ovvero a quella più nota specialmente nella cultura popolare (fra '500 e '800, specie caraibica fra '600 e '700). I bucanieri sono coloni anglo-francesi nelle Antille di inizio secolo XVII, che dagli indigeni imparano a boucanier (termine di origine indigena, con stessa radice da cui "barbecue", passato in Europa a partire dal Francese), cioè "friggere carni su graticola (boucan)", finché le rivendicazioni coloniali spagnole li hanno spinti a diventare pirati sempre più organizzati, la "Fratellanza della Costa" con capitale Tortuga (decaduta dopo il 1685, espugnata nel 1720). Il filibustiere è intermedio fra pirata e corsaro: come il secondo è implicitamente tollerato (ma senza lettera di corsa), come il primo è "libero saccheggiatore" (Inglese freebooter, Olandese vrijbuitier; Francese flibustier, Italiano "filibustiere") cioè dipende solo da se stesso e non da governi legittimanti. Addirittura i filibustieri si danno anch'essi un'organizzazione, la Filibusta, per la protezione della pirateria antispagnola internazionale (ma tutta questa 'libertà' è tale che loro a differenza dei bucanieri non hanno una Tortuga, pur condividendone azioni e idee).

Pirati, corsari, bucanieri e filibustieri etimologicamente sono rispettivamente assalitori, saccheggiatori, friggitori e liberi saccheggiatori.

Stile di vita[modifica | modifica wikitesto]

Pirati combattono per un tesoro in un dipinto del 1911 tratto da Howard Pyle's Book of Pirates (1921) di Howard Pyle

Stando al libro sui pirati del capitano Charles Johnson la vita a bordo di una nave pirata era piena di contrasti. Sulle navi non mancava il lavoro per l'equipaggio impegnato in una costante manutenzione della nave. Le regole che l'equipaggio doveva rispettare erano poche ma molto dure.

Tra queste:

  • Ognuno ha il diritto di voto, a provviste fresche e alla razione di liquore.
  • Nessuno deve giocare a carte o a dadi per denaro.
  • Le candele devono essere spente alle otto.
  • Tenere sempre le proprie armi pronte e pulite.
  • Ognuno deve lavare la propria biancheria.
  • Donne e fanciulle non possono salire a bordo; se un uomo viene colto a sedurre un individuo dell'altro sesso o lo porta in mare travestito da uomo, sarà ucciso.
  • Chi diserta in battaglia viene punito con la morte o con l'abbandono in luogo deserto.
  • A bordo non sono ammessi duelli, ma le dispute devono essere terminate a terra con la spada o la pistola.
  • Nessun uomo deve parlare di abbandonare tale stile di vita, finché tutti non avranno 1000 sterline. Se a tal fine si dovesse perdere un braccio o diventare storpi in servizio, si riceverà 800 dollari dalla cassa comune oppure una somma adeguata per le ferite minori.
  • I musicisti devono riposare la domenica, ma negli altri sei giorni e notti nessuno gode di favore speciale.

I pirati prendevano le loro decisioni in maniera collettiva. Non esisteva un leader assoluto; il comandante veniva eletto da tutta la ciurma riunita (dall'ultimo mozzo al timoniere) per effettuare le scelte relative alla conduzione della nave. Il bottino veniva diviso in quote uguali assegnando in certi casi due quote al capitano e al quartiermastro; una e mezzo al primo ufficiale, al nostromo e al cannoniere; una e un quarto agli altri ufficiali.

Oltre al capitano e gli ufficiali, altre due figure chiave erano il carpentiere e il bottaio. Il primo era generalmente un operaio che aveva fatto esperienza in un cantiere ed era molto qualificato, era il responsabile di tutte le parti lignee della nave. Si occupava di manutenzione, carenaggio, riparava le falle nello scafo e sostituiva i pennoni spezzati.

Il bottaio, benché svolgesse un ruolo meno cruciale aveva tuttavia una sua importanza, come suggerisce il nome aveva il compito di costruire e riparare le botti, nelle quali erano conservati cibo e bevande. Queste due figure erano difficili da reclutare, a differenza dei marinai semplici. Per questo, molto spesso durante un assalto a una nave, oltre a impossessarsi del bottino, i pirati costringevano carpentieri e bottai (e in generale, chiunque avesse una qualche qualifica) a unirsi all'equipaggio.[22]

Ogni comandante aveva un proprio regolamento che modificava in alcuni punti quello base. I pirati, commettendo attività illecite, si riunivano in basi. La base dei pirati più famosa fu un'isola a forma di tartaruga detta appunto la Tortuga, che si trova nei pressi dell'isola di Hispaniola.

Tesori[modifica | modifica wikitesto]

È più leggenda che realtà il fatto che i pirati nascondessero tesori in isole disabitate, anche se non si può escludere che ciò sia avvenuto realmente, in attesa di poterli smerciare senza rischio. I tesori dei pirati più ricercati del mondo sono il tesoro degli Inca e il tesoro sepolto nell'Isola del Cocco (al largo della costa pacifica costaricana).

Nella cultura di massa[modifica | modifica wikitesto]

La pirateria nell'immaginario collettivo si associa soprattutto al colonialismo e all'esotico, ed è piena di luoghi comuni prevalentemente falsi. Quanto c'è di vero e quanto di falso?

In linea di massima è: tutto vero per attributi, ovvero ciò che i pirati hanno (ad esempio bende, bandane, fasce, uncini, gambe di legno, simboli macabri, armi fino ai denti anche in senso letterale); tutto falso per azioni e caratteristiche, ovvero ciò che i pirati fanno e sono (epiche imprese d'armi bianche, azioni romantiche, galanterie, 'passeggiate' su passerelle per far cadere in mare, sepolture di tesori, eroismi...). Spesso ogni capitano pirata aveva un proprio vessillo.

Nella Storia sono quasi zero i casi del leggendario trampolino che nutre gli squali; si tratta prevalentemente di un luogo comune cinematografico-letterario. Lo stesso vale per l'uso di galeoni e di altre navi grandi come vascelli pirata: il galeone tipicamente subiva la pirateria piuttosto che compierla. Imbarcazioni enormi sono invece un mito hollywoodiano, in quanto esse sono pratiche ed epiche su grande schermo (scontri più emozionanti, maggior visibilità, maggior spazio per tanti attori). Nella Storia, viceversa, le navi pirata avevano per lo più dimensioni contenute: facilità di "mordi e fuggi", navigazione su bassi fondali (inagibili a mezzi più grandi); a essere più grandi erano invece le prede, in quanto più veloci nel muoversi in avanti ma meno facilmente manovrabili, quindi più impacciate e vulnerabili. I tesori non erano il bottino tipico (lo erano invece provviste, attrezzature, armi, qualche schiavo di colore, tessuti, tutti elementi che non aveva senso seppellire), perché al tempo dell'Impero spagnolo (1494 – 1715 circa) la spagnola Flotta del tesoro era quasi incontrastata nonostante le incursioni piratesche, e le riserve caraibiche di metalli preziosi erano in progressivo calo una volta annientati gli Indios (nelle cui zone erano in gioco non solo oro e argento, ma anche vari prodotti come zucchero di canna, tuberi, mais, carne, frutti tropicali, tabacco o cotone). Decisamente pochi i casi di sepoltura di tesori, per nasconderli in attesa di smaltirli (tipico lo scialacquo) o di farci una vita da sultano (raro, perché spesso si moriva prima di averne il tempo). Infine, riguardo agli arrembaggi, la realtà storica ha ben poco a che spartire con cinema e letteratura: scopi dell'assalto sono saccheggio e rapina, mentre uccisioni e distruzioni sono strumentali e mai fini a sé; con ciò, si punta tutto sul minacciare e sull'incutere paura (armi sempre in mostra, sparare per avvertimento, mostrarsi animaleschi, sfruttare la deterrenza della bandiera pirata), non a fare i gentiluomini o ad essere esibizionisti con acrobazie e duelli.

Non è vero che sempre o quasi i pirati portassero pappagalli sulla spalla. Questo pennuto era sì ricercato come souvenir esotico, ma non per questo c'era sempre di mezzo fra pirati, e non era per forza l'animale più diffuso quando lo si teneva (altre volte scimmie, ma più spesso gatti per poter far piazza pulita di topi). Il pappagallo è quindi una mezza verità, non necessariamente una falsità. Falsità completa sono invece gli elmi dotati di corna per i Vichinghi: è invece un mito sfornato dal Romanticismo.

Letteratura[modifica | modifica wikitesto]

L'isola del tesoro di Robert Louis Stevenson (frontespizio di un'edizione del 1911)

Il libro più celebre sul tema è sicuramente il romanzo L'isola del tesoro (Treasure Island) del 1881-1883 di Robert Louis Stevenson, che ha avuto numerose trasposizioni filmiche e ha dato origine ai principali stereotipi di questo filone, tra i quali il "tesoro nascosto".

In lingua italiana il successo dei romanzi di Emilio Salgari, pubblicati anch'essi a partire dal 1883, determinò una grande attenzione sia sui pirati della Malesia sia sui corsari delle Antille - i protagonisti dei due suoi cicli più letti - e influenzò notevolmente la successiva filmografia nazionale.

Elementi pirateschi scaturiscono anche da Peter Pan di James Matthew Barrie, soprattutto per l'antagonista Capitan Uncino che segna lo stereotipo del pirata con protesi uncinata al posto di una mano.

Filmografia[modifica | modifica wikitesto]

Locandina del film L'isola del tesoro (Treasure Island) di Victor Fleming (1934)

Un gran numero di pellicole ha avuto per protagonisti e antagonisti pirati, corsari, bucanieri e filibustieri, tanto che i "film sui pirati" sono considerati un vero e proprio sottogenere dei film avventurosi soprattutto di tipo "cappa e spada", che ha goduto, specialmente tra gli anni trenta e cinquanta del Novecento, di grande popolarità. Alcuni film possono avere riferimenti pirateschi senza che i pirati siano personaggi. Segue un elenco parziale.

Giochi e videogiochi[modifica | modifica wikitesto]

Il tema e i personaggi della pirateria hanno ispirato molti giochi da tavolo e videogiochi; eccone alcuni:

Pirati celebri[modifica | modifica wikitesto]

Uomini
Donne

Immaginari[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Pirata, in Treccani.it – Vocabolario Treccani on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 20 febbraio 2017.
    «pirata (ant. pirato) s. m. [dal lat. pirata, gr. πειρατής, der. di πειράω «tentare, assaltare»] (pl. -i, ant. -e).».
  2. ^ Godevano della peggior fama i pirati cretesi. Essi erano individui che a Creta non godevano di pieni diritti, non avevano la cittadinanza o non erano liberi, così cercavano fortuna nella pirateria. Attaccavano le navi anche d'inverno, le assalivano in mare e nei porti. Se erano respinti, tornavano a saccheggiare città e villaggi. ("Alla larga da Creta", Focus storia, n. 131, settembre 2017, pag. 29-33).
  3. ^ anglo saxon chronicle, 793.
  4. ^ BBC history of Vikings, su bbc.co.uk.
  5. ^ Valfridio Strabone, Manoscritto poetico contenente le opere dell'abate ed erudito di Reichenau, seconda metà del sec. IX.
  6. ^ Stephen Batchelor, Medieval History for dummies, John Wiley & Sons, 2010, p. 95.
  7. ^ Creta News, su cretanews.com (archiviato dall'url originale il 28 agosto 2011).
  8. ^ Sonia G. Benson, Laurie Edwards, Elizabeth Shostak, Pirates Through the Ages Reference Library, Jennifer Stock, 2011.
  9. ^ Anna Unali, Marina pirati e corsari Catalani nel Basso Medioevo, Cappelli Editore, 1983, p. 22.
  10. ^ A. De Capmany, Ordenanzas navales, pp. 56-57.
  11. ^ H. Thomas Milhorn, Crime: Computer Viruses to Twin Towers, Universal Publishers, 2004, ISBN 1-58112-489-9.
  12. ^ Pietro Martini, Storia delle invasioni degli arabi e delle piraterie dei barbareschi in Sardegna, Fratelli Frilli editori, 2009; prima edizione 1861.
  13. ^ Rinaldo Panetta, I Saraceni in Italia, Mursia 1973.
  14. ^ Pirati e bucanieri scampati alla caccia loro data dalle grandi potenze europee, ripararono in Madagascar sull'Île Sainte-Marie dove s'insediò una comunità di stampo socialista, detta Libertalia, nella quale erano banditi la proprietà privata, la schiavitù, la tortura, e ogni discriminazione etnica, religiosa e sessuale. ("Il paradiso dei fuorilegge" in Focus storia, settembre 2017, n.131, pag. 53-57)
  15. ^ a b La piratería. Enciclopedia Virtual de Canarias
  16. ^ (ES) Manuel Fariña González, La evolución de una fortuna indiana: D. Amaro Rodríguez Felipe (Amaro Pargo). URL consultato il 10 giugno 2016.
  17. ^ (ES) Amaro Pargo: documentos de una vida, I. Héroe y forrajido (PDF), Ediciones Idea, novembre 2017, p. 520, ISBN 978-84-16759-81-1. URL consultato il 20 marzo 2018.
  18. ^ http://www.sapere.it/enciclopedia/wak%C5%8D.html
  19. ^ "La mappa delle canaglie", Focus storia, n. 131, settembre 2017, pag. 66-67
  20. ^ (EN) Foreign Affairs - Terrorism Goes to Sea, su foreignaffairs.org. URL consultato l'8 dicembre 2007 (archiviato dall'url originale il 14 dicembre 2007).
  21. ^ (EN) Piracy in Asia: A Growing Barrier to Maritime Trade, su heritage.org. URL consultato il 18 dicembre 2007.
  22. ^ Storia della pirateria di David Cordingly ISBN 978-88-04-68706-1

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Philip Gosse, Storia della pirateria, Bologna, Odoya, 2008, ISBN 978-88-6288-009-1.
  • Massimo Carlotto, Cristiani di Allah, Edizioni e/o, 2008, ISBN 978-88-7641-818-1.
  • Fausto Biloslavo e Paolo Quercia, Il Tesoro dei Pirati. Sequestri, Riscatti, Riciclaggio. La dimensione economica della pirateria somala, in Rivista Marittima, Ministero della Difesa, marzo 2013, SBN IT\ICCU\LO1\1481008.
  • Luca G. Manenti, La squadra e il sestante. Viaggiatori, pirati e massoni fra l'Atlantico e l'Adriatico (secc. XVIII-XIX), in Quaderni Giuliani di Storia, a. XXXVIII, n. 1-2, 2017, pp. 41-68, ISSN 1124-0970.
  • Hakim Bey, Le repubbliche dei pirati. Corsari mori e rinnegati europei nel Mediterraneo, ShaKe editore, 2008, ISBN 978-88-88865-49-2.
  • Peter T. Leeson, L'economia secondo i pirati. Il fascino segreto del capitalismo, Garzanti, 2010, ISBN 978-88-11-68173-1.
  • Lorenzo Striuli, L'Insicurezza marittima nel Golfo di Guinea, in Quercia Paolo (a cura di), Mercati insicuri. Il commercio internazionale tra conflitti, pirateria e sanzioni, Aracne, 2014, ISBN 978-88-548-7320-9.
  • Gaetano Baldi, Ferdinando Pelliccia e Daniela Russo, Quel maledetto viaggio nel mare dei pirati. Tutto quello che non è stato detto sul sequestro del rimorchiatore italiano Buccaneer, LiberoReporter Ed., 2010, ISBN 978-88-905343-2-4.
  • Gaetano Baldi, Dossier pirateria. Vol. 1: Pirateria somala. Un vorticoso giro d'affari, LiberoReporter Ed., 2011, ISBN 978-88-905343-5-5.
  • Anna Unali, Marinai pirati e corsari catalani nel Basso Medioevo, Cappelli Editore, 1983, SBN IT\ICCU\CFI\0003243.
  • Laura Balletto, Mercanti, pirati e corsari nei mari della Corsica (sec. 13.), Genova, Università di Genova, 1978, SBN IT\ICCU\CFI\0468353.
  • David Cordingly, Storia della pirateria, traduzione di Adria Tissoni, Milano, A. Mondadori, 2003, ISBN 88-04-51649-6.
  • Sonia G. Benson, Laurie Edwards e Elizabeth Shostak, Pirates Through the Ages, Reference Library, 2011, ISBN 1-4144-8662-6, ISBN 978-1-4144-8662-8.

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