Capita quasi per caso che in questo periodo io stia leggendo “Man’s search for meaning” di Viktor E. Frankl. Questo libro è stato nella mia lista per qualche mese, e finalmente in questi giorni lentissimi, l’ho preso in mano.
Verso metà del libro l’autore parla di una “provisional existence”, un’esistenza provvisoria. Gli internati del campo di concentramento dopo aver superato la fase iniziale di shock, entrano in uno stato di apatia, di esistenza provvisoria appunto, tipica di chi vive una realtà aliena senza sapere quando e come finirà.
“i decenni volano, sono certi pomeriggi che non passano mai”.
Adriano Sofri
Non voglio neanche paragonare l’esperienza nei campi di concentramento di Frankl, o l’esperienza del carcere di Sofri, con qualche settimana di delicato isolamento sanitario, ma la similitudine di certe emozioni trascende la gravità delle esperienze.
Nella mia ricerca di riferimenti, durante la scrittura di questo post, ho trovato un articolo che spiega l’esistenza provvisoria meglio di quanto sappia fare io. Eccolo qui, buona lettura.
Oggi ho preparato il ramen, e sono rimasto sorpreso del risultato. Per essere la prima volta che tentavo questa ricetta, sono molto soddisfatto.
Premetto che non ho seguito una singola ricetta, ma ho preso pezzi qua e là, e li ho messi insieme. Mi mancavano alcuni ingredienti, e ne ho sostituiti altri. In futuro magari cercherò di essere più fedele alla tradizione.
Ci sono cinque componenti nel ramen che ho fatto oggi:
Il brodo.
L’olio aromatico.
Cipolle caramellizzate.
Carne.
Ramen noodles.
Il brodo
La settimana scorsa ci è capitata in frigo una gallina da un chilo allevata a casa. Era un po’ vecchiotta e quindi ho deciso di farci il brodo.
L’ho messa in un pentolone da quattordici litri, insieme ad una carota tagliata a pezzi, una costa di sedano, una cipolla arrostita in padella, e qualche foglia di alloro. Dopo averla coperta d’acqua (7 litri) l’ho portata a bollore. Dopo un’ora ho tolto le verdure, dopo altre 5 ore ho spento il fuoco.
Raggiunta la temperatura ambiente, ho rimosso tutta la parte solida e imbottigliato il liquido, compreso grasso e impurità in bottiglie di plastica e messe in congelatore.
Una volta solidificati, ho messo i blocchi di ghiaccio su carta da cucina, in un colapasta con sotto una pentola, e riposto in frigo per 72 ore. il brodo perfettamente limpido si è raccolto nella pentola sottostante e il grasso e le impurità sono rimaste nel filtro insieme al collagene.
Poi ho fatto bollire il brodo nuovamente. Questo sia per concentrarlo che per abbattere nuovamente la carica batterica.
A questo punto si può congelare per conservarlo, oppure aggiungere sale da cucina per essere consumato.
Con la carne della gallina ci ho fatto le polpette.
Olio aromatico
In un pentolino ho messo una tazza di olio di semi di girasole alto oleico (o qualunque altro olio vegetale), uno spicchio di aglio tagliato grossolanamente, un pezzo di zenzero tagliato a fettine, semi di sesamo.
Per modulare il sapore dei tre componenti uso questo sistema:
Per aumentare il sapore di aglio, bisogna schiacciarlo.
Per aumentare lo il sapore di zenzero bisogna tagliarlo fine.
Per aumentare il sapore di sesamo, bisogna macinare i semi.
In ogni caso, ho messo tutto in una tegamino sul fuoco basso e l’ho lasciato soffriggere dolcemente per una decina di minuti. L’olio non deve cambiare colore. Non appena l’aglio, o lo zenzero, o il sesamo hanno iniziato ad imbrunire ho spento il fuoco.
Raggiunta la temperatura ambiente ho filtrato l’olio e l’ho messo in un vasetto con coperchio. Preferisco farne poco e non conservarlo a lungo.
Cipolle Caramellizzate
Ho tagliato due fette da una cipolla. Le ho messe a soffriggere in una padella con un po’ di olio per dieci minuti, coperte.
Le ho salate solo alla fine, quando caramellizzate.
Carne
Avevo in frigo un pezzo di roast-beef. Ne ho tagliate due fette da un centimetro e le ho scaldate un po’ in padella con un mezzo cucchiaino di olio aromatico.
Ramen Noodles
Per prima cosa bisogna procurarsi del carbonato di sodio. Il modo più facile è farselo da soli decomponendo il classico bicarbonato di sodio che si ha in cucina.
Ho preso una teglia da forno con sopra un foglio di carta d’alluminio e ho steso 50 grammi di bicarbonato di sodio. Poi ho messo in forno a 150C per un’ora. Ho ottenuto 33 grammi circa di carbonato di sodio.
Va maneggiato con cura perché altamente alcalino.
A questo punto ho messo (per due persone):
200g di farina 00,
80g di acqua tiepida,
2g di sale da cucina,
2.4g di carbonato di sodio
nel cestello della planetaria e lasciata andare per 10 minuti con il gancio impastatore a velocità minima. L’impasto non si impasta ma rimane sabbioso. Ho lasciato la planetaria spenta e chiusa per una mezzora, per consentire l’idratazione, poi l’ho fatta andare per altri 10 minuti a velocità minima.
L’impasto comunque resta sabbioso.
L’ho tirato fuori dalla planetaria e ho formato una palla. Poi ho messo la palla dentro la macchina per fare la sfoglia e piano piano, ripassandola molte volte al massimo spessore, é diventata una striscia omogenea di pasta.
A questo punto ho iniziato a fare passaggi sempre più stretti fino a raggiungere i due millimetri di spessore.
Poi l’ho passata nel rullo per fare gli spaghetti.
La pasta non è per niente appiccicosa, ma per evitare che possa formare nodi e grumi, l’ho spolverizzata con un po’ di maizena.
Assemblaggio
In una pentola d’acqua (senza sale) ho bollito i ramen noodles per 90 secondi.
In ogni scodella ho messo (in questo ordine) tre cucchiai di olio aromatico, un cucchiaino di salsa di soia, mezza scodella di brodo bollente, i ramen noodles scolati.
Poi ho adagiato sopra una fetta di cipolla, e una di roast-beef.
Ho cosparso di erba cipollina e qualche seme di sesamo.
E poi li abbiamo mangiati ed erano buonissimi!
Riferimenti
Per fare questa ricetta a casa ho seguito, più o meno, questi consigli:
Quando tornavo da scuola, dalle elementari, alle superiori, il pranzo me lo faceva trovare pronto mia nonna.
Ogni tanto mi faceva le cotolette di pollo e ne produceva in quantità. Gia che c’era a far scaldare l’olio, non se ne potevano friggere meno di una cinquantina.
E dato che erano fritte, non potevo certo esimermi dal mangiarle fino a scoppiare. Credo che meno di una dozzina in una singola seduta non mi sia mai successo di mangiarne.
Oggi ho pensato bene di cimentarmi nella frittura della fettina di pollo panato, quindi ho preparato l’olio ad alto punto di fumo (arachidi, perché il girasole alto oleico non ce lo avevo in casa), il termometro, il pentolino.
Poi ho panato le fettine di pollo con la farina, l’uovo, e il pan grattato, dopo averle salate.
Ho fritto le fettine a 170 gradi Celsius, in bagno d’olio a controllo di temperatura, fino a farle dorare.
Il risultato è stato da manuale. Fettine sottili, croccanti, dorate, asciutte.
Praticamente il contrario di quelle che faceva mia nonna che erano spesse, umide, e chiaramente cotte sotto temperatura.
Ovviamente le sue erano meglio e la cena mi è andata per traverso.
Ad un certo punto mi sono reso conto che stavo passando troppo tempo sui siti di notizie e che l’ansia stava prendendo il sopravvento.
Da qualche giorno ho mollato completamente la presa e l’unica informazione che seguo è la newsletter giornaliera de Il Post. La raccomando a tutti.
Oggi ho anche deciso di fare un pisolino dopo pranzo. Mi rendo conto che non sia niente di straordinario, ma in generale non mi ero mai dedicato attivamente al riposo postprandiale.
Per renderlo ancora più efficace ho bevuto un caffè doppio proprio prima di coricarmi e ho messo un timer a 30 minuti. Ha funzionato perfettamente e la lucidità che ho ottenuto nel pomeriggio ha reso la giornata molto produttiva.
Ho paura che qualcuno intorno a me possa ammalarsi. Ho paura di essere la causa del contagio. Ho paura che si ammali qualcuno della mia famiglia, e che la distanza renda le cose ancora più difficili.
Ho paura che questa condizione vada avanti per mesi, senza soluzioni importanti. Ho paura che le libertà a cui stiamo rinunciando non ci vengano restituite in tempi brevi.
Ho paura che il mio stile di vita non sarà più lo stesso dopo questa esperienza. Ho paura che gli equilibri politici, economici, e sociali non vengano ristabiliti nel modo in cui eravamo abituati.
Ho paura che le persone si abituino a guardarsi di sbieco al supermercato, evitandosi a vicenda. Ho paura che le distanze di sicurezza tra individui diventino la norma.
Ho paura che l’intolleranza si inasprisca. Ho paura che le differenze sociali si amplifichino. Ho paura che sia più facile denunciare che capire.
Ho paura che i numeri dei contagi siano usati per giustificare azioni di controllo politico. Ho paura che queste bandiere alle finestre verranno usate per santificare le frontiere ed erigere nuovi muri.
Ho paura di abituarmi a tutto quello che sta succedendo, fino a considerarlo normale.
La guerra presuppone un noi e un loro, antagonisti, ma pur sempre sullo stesso piano esistenziale. Qui si lotta contro un virus, e non c’é nessuna vittoria in gioco.
L’errore e l’orrore dell’usare la guerra come metafora per questa condizione straordinaria a cui siamo tutti costretti sta nel creare fazioni, e in fondo dividerci.
Ho letto di come negli Stati Uniti, dopo aver dato fondo alle scorte di carta igienica, alimenti, e gel antibatterici, negli ultimi giorni si sia impennata la vendita di armi da fuoco e munizioni.
Quando parlavo con un mio amico americano, anche lui felice possessore di armi da fuoco, mi spiegava che non servono gran che contro i ladri o per difendere la casa in tempo di pace. Ma nel momento in cui la società dovesse collassare, allora meglio essere pronti a tenere lontani i malintenzionati e proteggere la propria dimora.
Ora i casi sono due: o veramente chi compra munizioni oggi pensa di sparare ai microbi, oppure pensa ad una condizione di scarsità tale da necessitare l’autodifesa.
Forse quel racconto romantico di un mondo post-apocalittico che il cinema ci ha propinato negli ultimi decenni ha proprio il suo fascino e le persone sono attratte dall’avventura dell’aver perso la normalitá.
Siamo affascinati dai delfini che sono tornati nei porti dove non partono piú i traghetti e persino i canali di Venezia sono tornati limpidi da quando la circolazione in laguna é stata sospesa.
Ci piace anche pensare che il calo dell’inquinamento sia una buona cosa, ma non sono cosí sicuro che sia una buona cosa.
Torneremo a viaggiare come prima, a sporcare come prima, a inquinare come prima. Ma forse sará anche peggio perché ci diremo che “tanto smettiamo quando vogliamo”, e torneranno anche i pesci nella laguna di Venezia.
Ma se chiudiamo le frontiere, e siamo disposti a cedere i nostri diritti democratici, anche in nome di una sicurezza sanitaria, siamo sicuri che ci verranno restituiti quando avremo domato il virus?
Se ci lasciamo trascinare nella metafora della guerra, siamo sicuri che non ne usciremo feriti, mutilati, e sconfitti, a prescindere?
Oggi a pranzo abbiamo preparato una pasta fredda con il tonno, e una insalatina di contorno, poi abbiamo allestito un picnic in giardino con pisolino finale.
Alla fine il weekend non è andato neanche tanto male.
Tutto sommato Letizia ed io siamo fortunati perché questo periodo di isolamento lo stiamo vivendo insieme. Il mio pensiero va a quelli che per una ragione o per l’altra si sono trovati separati e si rivedranno di persona solo alla fine di questa emergenza.
Ieri sera ho comprato una bandiera dell’Europa, quella blu con le stelle gialle. Quando arriva la metto fuori dalla finestra.
Dal 2010, da quando mi sono trasferito a Vienna, ho scritto su questo blog esclusivamente in Inglese. Le verità, però, é che non ho scritto tanto quanto avrei dovuto, anzi, praticamente mai.
Un po’ perché ho sempre immaginato i miei amici che non parlano italiano, trovarsi dinnanzi a post per loro incomprensibili. Poi c’é la questione del posizionamento su Google: se non hai una localizzazione consistente, perdi posizioni sulla pagine dei risultati. Poi c’era la questione dell’interesse: ho cercato di allontanarmi dalle questioni strettamente italiane, per dedicare piú attenzione al mondo al di fuori che stavo vivendo.
In pratica mi sono costruito un po’ di scuse per scrivere poco, e bon.
Da qualche giorno sono chiuso in casa, qui vicino a Udine, dove abbiamo deciso, per caso e per fortuna, di passare in pace questo periodo di contenimento sanitario. Qui ci abita la famiglia di mia moglie, e tutto sommato meglio sbattersela qui, che altrove. Ci siamo trovati qui quando tutto é cominciato, e allora tanto vale aspettare che passi la tempesta prima di riprendere la vita di prima, eventualmente.
Io vivo una serie di contraddizioni, perché lavoro da casa praticamente da sempre. A parte qualche anno in ufficio a Vienna, la mia vita professionale l’ho fatta tutta senza dover andare da nessuna parte la mattina, e ritornare la sera.
Da 6 anni lavoro per Automattic, un’azienda distribuita con 1300 dipendenti. Tutti da casa, da oltre 70 paesi al mondo. Sono ben abituato a non uscire di casa se non per le necessità di base. Anzi, spesso devo sforzarmi per non stare segregato e fare un po’ di vita sociale.
Quindi la prima contraddizione viene dal fatto che sono già perfettamente adattato a questa condizione di isolamento. Ma tutti quelli intorno a me no. E neanche la mie rete di amici é abituata. Quindi tutti a scoprire le videoconferenze, le chat, i tutorial, le lezioni. Benvenuti nel mio mondo, son solo 25 anni che esiste eh.
Un’altra contraddizione viene dal il fatto che il mio lavoro non é cambiato nelle ultime settimane, e molto probabilmente non cambierà di molto neanche nelle prossime. Gestisco un team di una decina di ingegneri, in una manciata di nazioni diverse, dalla Slovenia al Cile, passando per gli Stati Uniti d’America. Prima facevamo software, adesso facciamo software, e continueremo a fare software anche dopo.
Invece i miei amici che sono improvvisamente lontani dai loro uffici, sono spaesati. Molti non hanno gran che da fare, pubblicano link di musei disponibili online, di servizi di film in streaming, classi di yoga, allenamenti in salotto, e cose del genere. Prima cosa Youtube era gia piena di quella roba li anche prima, seconda cosa io non ho proprio tempo. Seguo gia una serie di risorse online, ma di fare yoga in salotto non se ne parla. E neanche di guardare la lievitazione della pasta madre da casa di una casalinga di Voghera in diretta streaming. Non ho proprio tempo. E neanche voglia.
La terza contraddizione che vivo in questi giorni, ma che presto diverrà una tragedia é quello che vedo succedere ai miei amici in UK, e in USA. I loro governi sono lenti a reagire, e in certi versi probabilmente inadeguati. Ho la sensazione che pagheranno caro tutto questo. Ma non i governi, i miei amici. Loro subiranno le conseguenze di una malattia di cui sappiamo ancora poco e alla quale non siamo pronti.
L’ultima contraddizione di oggi viene dalla nazionalizzazione del problema. Su Facebook, nella mia rete italiana, ho visto prima osteggiare la comunità Cinese. Poi fraternizzare con essa quando arrivavano notizie di attrezzatura tecnica donata ai nostri ospedali. Poi ho visto osteggiare i Francesi perché chiudevano le frontiere. Poi osteggiare gli Austriaci e gli Sloveni perché anche loro hanno deciso di chiudere i valichi.
Adesso vedo messaggi su Facebook del tipo: “quando finisce, mangia italiano, viaggia italiano, vivi italiano”.
Non é il modo giusto. Siamo cittadini del mondo, e questo virus ce lo sta dicendo molto forte. Non ci sono più i valichi, le frontiere, i bordi.
C’é un unico pianeta, una sola umanità.
Prima di restare in isolamento, lavoravo da casa, ma la mia casa é qualunque posto in cui sia mia moglie. Non ho un ufficio, ma ho il mio zaino, con tutto quello che mi serve per il mio lavoro. Facevo circa una cinquantina di voli e circa 200 giorni di viaggio all’anno. Adesso resto fermo per un po’, ma poi spero di ripartire.
L’essere Italiani é solo il risultato di un caso della fortuna genetica e geografica, ma l’essere umani, quello lo decidiamo noi, ogni giorno.