La normalità di questo mondo pare essere totalizzante, negli ultimi anni i processi economici e politici hanno concluso un’opera terribile iniziata con le navi dei commerci tra continenti e le ciminiere di Manchester.
Ogni sfera dell’esistenza umana e ogni pezzo di questo pianeta sono stati fagocitati e risputati come sostanza putrida, non c’è nessun punto dell’intero globo che non sia stato distrutto dalla bulimia sfrenata del capitalismo; non esiste più un pezzo di terra libero, né la possibilità di una vita dignitosa non piegata dalla schiavitù lavorativa per il profitto di un padrone spesso senza volto.
Non esiste altresì neppure la possibilità di sottrarsi, come qualcuno sostiene, adottando comportamenti virtuosi o di autosufficienza materiale in una vita da eremita: nel mondo devastato i liquami industriali e l’aria sporca arrivano ovunque e proclamano una promessa di morte a cui lo Stato non accompagna più neppure la possibilità di curarsi poiché dopo aver messo fuori legge ogni conoscenza e pratica sul corpo che prescindesse dalla sua mano medica, ora chiude i rubinetti della sanità, lasciando a chi non può pagare esose visite private il peso di affrontare ogni malattia senza lamentarsi; nel mondo devastato non esiste un altrove al riparo da regolamenti edilizi, controlli di polizia e censimenti; nel mondo devastato non esiste un altrove in cui non arrivino le grida di uomini, donne e bambini che affogano in mare, che scappano dalla povertà, che vengono sfrattati e buttati in mezzo alla strada.
La stessa possibilità di immaginare e praticare un attacco che ci possa far respirare libertà, viene sempre più aggredita dagli apparati della repressione, sul piano materiale dal lavoro di polizia e magistratura e su quello simbolico dagli inneggiati valori di legalità e democrazia del mondo occidentale, entro i quali deve svolgersi un pacato dissenso, collaborante e partecipativo, pena lo spettro del terrorismo e di un terrificante caos sociale – per loro e per chi ha qualcosa da difendere in un mondo devastato. Chi non vuole sedersi al tavolo di trattative con istituzioni, banche ed enti caritatevoli può accomodarsi nelle patrie galere.
Quanto quest’ordine asfissiante entro cui si erige e raffina il controllo non sempre tenga, lo mostrano le esplosioni di rabbia e distruzione che nascono da un pieno di sopportazione e sfociano in ribellioni diffuse pur senza trovare una prospettiva.
In Italia è più che mai visibile questo sfacelo e dopo anni di ristrutturazione economica la guerra endemica per la sopravvivenza diventa palese, gli impoveriti sono aizzati contro i diseredati, i cittadini contro gli stranieri, chi ha rinunciato definitivamente alla propria libertà contro chi non si arrende: è il germe della guerra civile che cerca di uscir fuori dalle ceneri del conflitto sociale.
Un clima questo che è eredità dell’operato di ogni istituzione statale nazionale e delle tensioni predatorie del capitalismo globale. L’ultimo governo ha giovato elettoralmente di questa situazione canalizzando a proprio favore l’insofferenza di vaste fasce di popolazione: Movimento 5 Stelle e Lega hanno costruito in coro un orizzonte di disciplina al lavoro e repressione acuta, dal reddito di cittadinanza fino al pacchetto sicurezza. Senza troppe riflessioni analitiche si può affermare che insieme questi due partiti hanno costruito la maggior sproporzione di potere dell’Italia repubblicana tra governanti e governati, fornendo allo Stato la possibilità di intervenire con forza bieca in ogni situazione di crisi sociale o contro ogni tentativo di resistenza. Questo è il terreno in cui si muove la violenza statuale, che è pressoché unilaterale, dall’alto verso il basso, e ha come obiettivo quello di mantenere indisturbata questa direzione, di uccidere sul nascere qualsiasi lotta degli oppressi.
A Torino, città sull’orlo fisico della bancarotta nonostante tutti i tentativi di riconfigurare l’assetto monolitico e industriale dell’economia in uno di investimenti diffusi e turismo, ha preso il potere comunale proprio uno dei due partiti a capo del parlamento nazionale. Il M5S, attraverso il volto nuovo della alto-borghese Chiara Appendino, è salito in Sala Rossa grazie il voto elettorale delle periferie a cui ha promesso a gran voce e senza pudore crescita occupazionale e servizi sociali. “Basta opere inutili, solo welfare e rinascita!”, andavano dicendo. Non ci è voluto molto e l’illuso elettorato è tornato presto con i piedi a terra, in città non si riesce neppure a prenotare una visita medica e la maggior parte dei “torinesi” vive in spazi angusti spartendo salari precari e frustrazioni sicure. Si arranca come prima, peggio di prima. Dopo quasi tre anni, l’amministrazione comunale è a un passo dalla caduta e i risultati che sottolinea di aver raggiunto sono manco a dirlo quelli repressivi: lo sgombero dei rifugiati dalle palazzine dell’ex-Moi, lo sgombero dei campi rom e quello degli anarchici.
Non è un caso che quest’ultimo continui a preoccupare i politici cittadini e le autorità poliziesche. L’Asilo occupato era un posto in cui si provava con costanza a organizzarsi contro questo mondo di miseria e sfruttamento, e questo grande e ostinato coraggio è per lorsignori un esempio troppo pericoloso in questi tempi. Sono consapevoli infatti che hanno fatto seccare ogni prato, che ora vige il silenzio di questo deserto, ma sanno anche che la sterpaglia prende fuoco e che brucia velocemente.
Chiunque provi a essere scintilla deve essere spento, soffocato.
Così come hanno provato a soffocare la rabbia di sei compagni arrestati a Torino per la lotta contro il Cpr, così come hanno provato a soffocare la rabbia di sette compagni trentini accusati di terrorismo.
Così come provano a soffocare con la paura la tensione di chi nelle ultime settimane è sceso in strada a dare filo da torcere a chi decide e reprime.
In ballo oggi non c’è solo il destino di un asilo o di un gruppo di caparbi anarchici, il ballo oggi c’è il seme del coraggio, il seme che tutti coloro che vedono gli scempi di questo presente devono preservare come la cosa più cara.
Il 30 marzo a Torino bloccheremo la città per continuare a innaffiarlo.
Se un fiore nuovo nascerà dipende da noi.
Con Agnese, Silvia, Nicco, Antonio, Beppe, Stecco, Giulio, Poza, Nico, Rupert e Sasha nel cuore, per la libertà di tutti e tutte.
Mercoledì 20 marzo ci sarà la presentazione del corteo presso la sede di Radio Blackout, alle 20:30 in via Cecchi 21/a.