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Gli albori: il Comitato No Tap

Tra il 2010 e il 2011, nelle zona tra Melendugno e Vernole, si iniziò a parlare dell’imminente arrivo di una conduttura del gas. La zona di approdo doveva essere la scogliera di punta Cassano mentre quella per il PRT ad Acquarica, frazione di Vernole, nell’immediatezza di un museo a cielo aperto chiamato “paesaggio di pietre”.
Già in questo periodo, in cui poco si sapeva, un gruppo di associazioni – Tramontana, Biocontestiamo, ReAzione, Forum Ambiente e Salute – e comuni cittadini, iniziarono ad incontrarsi per capirne di più. A febbraio 2012 la Multinazionale Svizzero/Azera, nella sala convegni delle scuole Medie di Melendugno, presentò il suo progetto. La sala comprese subito che non si trattava di un semplice tubo ma di qualcosa di davvero impattante per il territorio.

L’ingegnere e Country Manager di TAP, Paul Pasteris, fu sommerso da domande a cui non seppe dare risposta e da una aggressione verbale contro il progetto a dimostrazione che non era stato accettato dalla popolazione.
Si continuò a studiare il progetto e si decise per marzo un’assemblea pubblica ad Acquarica. Nella sala parrocchiale del piccolissimo paese si trovarono in centinaia, tra curiosi e interessati. Oltre alle associazioni ambientaliste e socio/culturali erano presenti molti contadini e alcuni rappresentanti dei pescatori. I ragazzi di Tramontana e Biocontestiamo, che saranno poi il nucleo base del nascente Comitato NoTAP, illustrarono il progetto attraverso slide ed immagini, parlarono di impatti sul territorio e sull’economia, ma iniziarono a spingersi oltre, si iniziò a parlare di inutilità dell’opera e del suo inserimento nella geopolitica europea.
Ad aprile del 2012 fu tempo per una nuova iniziativa, sta volta a San Foca, sul lungomare, per informare, informare ed ancora informare. Nasceva il Comitato NoTAP.

Non solo le associazioni e i cittadini, che poi formarono il Comitato, studiavano ed informavano, molti altri gruppi in provincia facevano lo stesso lavoro, gruppi informali, collettivi e circoli di compagni ed amici sensibili al problema delle grandi opere inutili, dannose ed imposte, avevano intrapreso lo stesso cammino.
Il progetto viene bocciato, va via Pasteris sostituito dal nuovo Country Manager Russo. Si resta vigili, anche perché dopo poco scopriamo che è stato presentato un nuovo progetto, peggiorativo del precedente, si spostano sulla spiaggia di San Basilio e con un Microtunnel, che non ha nulla del micro ma molto del mega, vorrebbero attraversare la pineta e sfociare nelle vicinanze della palude di Cassano. La centrale non è più di 800mq e no è più ad Acquarica, ora si trova in zona Masseria Capitano, nell’agro di Melendugno, tra 4 paesi e 25,000 abitanti e ricoprirà una zona di 12 Ettari.
TAP non perde più tempo a spiegare il progetto, a farlo accettare dalla popolazione, a fare le consultazioni popolari, che per i PIC sarebbero dovute. Il suo Country Manager Russo è impegnato in faccende molto più serie. Russo inizia la sua opera di lobbismo, si reca a Roma, in parlamento a convincere, senza tanto sforzo, i politici di ogni schieramento ad appoggiare il progetto.

no tap

Nel 2013 il comitato, e le altre realtà in lotta contro il TAP, continuano nella loro incessante azione di informazione e di controllo, nello stesso periodo il comune di Melendugno crea la commissione per il Contro Rapporto al progetto. La commissione comprende ingegneri, avvocati, ecologisti e liberi cittadini tra cui membri del comitato. Il contro rapporto mette in evidenza l’approssimazione del progetto e la sua inutilità, sviluppa pagine e pagine di documenti che denunciano come il progetto vada avanti senza ottemperare alle prescrizioni e con l’aiuto dei governi e dei funzionari di ministeri.
Gli anni passano tra finti convegni e il tentativo di TAP di comprare il consenso attraverso la sponsorizzazione di Sagre e feste patronali, il malumore cresce e con esso il dissenso verso quest’opera imposta.
Il comitato denuncia, il 16 maggio 2016, un finto avvio di cantierizzazione avvenuto a 4 km di distanza da dove lo stesso ministero gli aveva indicato l’avvio e soprattutto lo fa con una semplice recinzione in plastica di 10m per 10m. la cantierizzazione serviva per non perdere l’Autorizzazione Unica e dire all’Europa che va tutto bene.
Passano i mesi tra prospezioni archeologiche preventive, bonifiche belliche e potature di ulivi. Nel novembre dello stesso anno l’accelerata. È in programma per il 4 di dicembre il referendum che riguarda anche Il Titolo V della costituzione che stabilisce le competenze tra stato e regione a riguardo le infrastrutture energetiche. Chiaro, se al referendum vincesse il SI, Tap avrebbe la strada spianata, aiutata dai ministeri e senza più doversi interfacciare con regione e comune.
Il referendum lo vince il NO ma, per come poi si è visto dopo, non è servito a nulla visto che il governo, sistematicamente, davanti alle difficoltà della multinazionale, accorre in suo aiuto e a botta di decreti e cambio delle carte in tavola, dicevamo, TAP accelera e recinta la zona di San Basilio toglie qualche muretto a secco e si ferma nuovamente nell’attesa forse di qualche altro aiuto.

Il Salento insorge:
nasce il Movimento No Tap

A Marzo del 2017 Tap non ha più tempo da perdere e decide di iniziare il trasferimento di 211 ulivi, un’operazione che anche questa volta viene effettuata senza le dovute autorizzazioni.
Spontaneamente si riuniscono in zona prima trenta, poi cinquanta, poi più di mille cittadini ad opporsi ai lavori illegittimi della società. All’opposizione, forse inattesa della popolazione, il Tap si organizza e chiede aiuto al governo che immediatamente schiera un esercito tra poliziotti, carabinieri e finanzieri. Ma anche la popolazione si organizza e, durante le azioni di opposizione, trova il tempo per riunirsi in assemblea in una campagna gentilmente offerta da cittadini sensibili al problema. Da queste prime forme assembleari prenderà vita il Movimento che includerà il comitato e tutti i collettivi, associazioni e liberi cittadini che abbiano a cuore la salvaguardia e tutela dei territori. Uno dei momenti cruciali per il Movimento è stata la prima manifestazione in Piazza Santo Oronzo a Lecce, il primo aprile 2017, dove hanno preso parte circa 10.000 persone. In quegli stessi giorni una cordata di Sindaci No Tap avevano stilato un documento indirizzato al Presidente della Repubblica Mattarella con le firme di tutti i primi cittadini del Salento (a firmare il documento furono ben 94 sindaci su 97, gli unici assenti Galatina e Casarano perché commissariati e Otranto per volontà diretta). Da quel Marzo del 2017 il Salento assiste a una serie interminabile di soprusi da parte della multinazionale che, scortata dalle forze dell’ordine e nel silenzio totale da parte del governo e degli organi di stampa nazionale, hanno come unico scopo quello di rendere inesorabile la realizzazione dell’opera. Il Movimento però reagisce ogni volta attraverso una campagna costante e sistematica di denuncia e smascheramento di tali soprusi coinvolgendo un numero sempre crescente di cittadini e associazioni che fanno della battaglia No Tap una questione di civiltà e giustizia sociale.

Una resistenza non violenta

La multinazionale ha fretta di dimostrare che tutto va bene ma l’opposizione dice altro. È forte il vento che si alza nella zona di San Basilio e la notte, molte grate di quel cantiere orribile volano via. E mentre vola il ferro si alzano muretti che impediscono il passaggio ai mezzi dell’azienda e delle forze dell’ordine di passare. Una resistenza non violenta ma determinata che costringe ai lavori notturni e prove di forza la multinazionale ed il governo. Per spostare 211 ulivi, operazione che richiederebbe qualche giorno, ci impiegano 4 mesi e mezzo. Sono queste le operazioni che effettuano dal 17 marzo al 4 di luglio, giorno in cui vengono trasferiti gli ultimi ulivi. Memorabile per tutto il movimento fu il 17 di maggio quando tutta la popolazione fermò il trasporto degli ulivi presso la masseria del Capitano e alcuni di quegli alberi furono riportati al cantiere. Questa opposizione, naturalmente non fu indolore, ne per il movimento ne per la multinazionale e chi l’asseconda. Il dolore del movimento si trasforma in orgoglio, il dolore sono le manganellate e vedere lo stato schierato contro i cittadini, il loro dolore il non riuscire ad imporre la loro volontà, scontrarsi contro la resistenza della popolazione, contro la sua preparazione e consapevolezza. Loro soffrono più di noi.

In estate c’è un rallentamento e quasi una pausa per i lavori, la stagione estiva non deve essere compromessa ma c’è anche altro, la multinazionale non ha le autorizzazioni per continuare e tentenna, le uniche operazioni che fa, in piena difficoltà perché il movimento gli fa sudare anche quelle, sono l’innaffiatura degli ulivi che sono invasati. Ma mentre la multinazionale rallenta c’è un’accelerata da parte del governo, un’accelerata nel sistema di imposizione, nel sistema repressivo. Melendugno viene militarizzata con la presenza di macchine, camionette e digos ovunque, la gente non può passeggiare per le vie di campagna che gli vengono chiesti i documenti. A questa ondata repressiva si risponde con un corteo, il primo grande corteo del movimento, con la presenza a Lecce di oltre 1000 persone, il movimento è vivo nonostante tutto. La vitalità del movimento fa paura ed allora iniziano ad arrivare, in maniera indiscriminata, verbali di multe per manifestazioni non autorizzate. Si cerca di colpire l’opposizione nella parte più debole, quella economica. Piovono multe da 2.500 fino a 10.000

Per questa forte opposizione si decide per una forte manifestazione a San Foca per il 13 di agosto. Una manifestazione che vedrà sfilare circa 2500 persone in un silenzio inverosimile. La mattina della manifestazione un lutto colpisce tutti. Una attivista perde la vita in un incidente stradale, la famiglia, interpellata, chiede che la manifestazione si svolga ugualmente. Un corteo che fa venire i brividi taglia per lungo tutta la marina.

Passata l’estate TAP ha difficoltà a continuare i lavori, ma deve dimostrare che va avanti, l’Europa guarda e ci sono troppi interessi economici da difendere. Mentre si aspetta che qualcosa si muova all’interno del cantiere TAP sorprende tutti, ed in un periodo sbagliato per certe operazioni, in quanto ci si trovava nel periodo di raccolta, inizia a potare gli ulivi che si trovano lungo il tracciato. Più che potatura si tratta di vero e proprio capitozzatura propedeutico all’espianto, operazione, l’espianto, che non può essere fatta in questa fase come da loro programma rientrando in un’altra fascia di tempo. Anche la potatura, azione di per se effimera alla realizzazione del gasdotto, viene osteggiata dalla popolazione, come anche quando, nuovamente, forse perché le precedenti sono state invalidate, vengono osteggiate le analisi del terreno attraverso la trivellazione di alcuni punti tra la pineta e la palude. Per il movimento qualsiasi operazione messa in campo dalla multinazionale è illegittima e va contrastata, non si può lasciare loro spazio di manovra, c’è il bisogno di dimostrare all’Europa che “qui non va nulla bene”.

L’opposizione testarda e fiera del movimento crea non poche difficoltà ed imbarazzi ai chi cerca di speculare sulla devastazione dei territori. La difficoltà di chi governa si trasforma in una repressione ancora più forte. Il prefetto, per ordine del governo, istaura una zona rossa. Questo ed i fatti del 9 di dicembre saranno i punti più bassi del governo in carica, delle forze dell’ordine e di chi coprono e difendono, quella multinazionale svizzero/azera che riesce ad imporsi solo con la violenza.

La zona rossa

La zona rossa viene innalzata nella notte tra il 12 e il 13 di novembre, tutta la zona di San Basilio diventa un enorme cantiere ed un’immensa caserma. Durante quella notte dieci attivisti sono di fatto sequestrati nel presidio “la peppina” (dal soprannome della compagna morta in estate) perché l’ordinanza vieta sia l’accesso che l’uscita da quella zona che a breve assomiglierà un muro come quello eretto in Palestina. Nei primi giorni non ci si può avvicinare neanche al paese di San Foca, molte vie sono interdette, i proprietari terrieri hanno bisogno di un pass, così come chi abita nelle vicinanze del cantiere, naturalmente è vietato avere ospiti. L’ordinanza parla di un mese di interdizione. Continua la repressione. In quegli stessi giorni iniziano ad arrivare fogli di via ad attivisti, la forza repressiva richiama ad articoli risalenti l’epoca fascista e ciò la dice lunga sul modus operandi di questore, prefetto e governo.

Ovunque il movimento si trovi per informare è perseguitato da digos, ovunque il movimento si presenti contestare trova schierata la polizia in assetto antisommossa, così succede durante la visita di Renzi a Lecce, così, ed in maniera esagerata quando D’Alema è ospite presso l’Arci a Lecce. La repressione è un arma del sistema per reprimere il dissenso ma quel dissenso, nella forma repressiva trova nuovo slancio. A dicembre si decide per una tre giorni di mobilitazione.

Il 6 di dicembre tutti i commercianti di Melendugno, e molti esercenti dei paesi vicini tra cui molti di Lecce, aderiscono alla serrata, un momento indimenticabile per questa provincia a sud di tutto. La manifestazione si svolge in due momenti, il primo con un corteo di 2500 persone per le vie del paese, subito dopo tutti a San Foca a sfilare sul lungomare e a ridosso della zona rossa. Alcuni commercianti e molti attivisti, si staccano dal corteo e la zona rossa la raggiungono, ci sono attimi di tensione con la polizia ma finisce tutto li.

Per l’8 è prevista una manifestazione a Lecce. L’aria è pesante, la presenza di forze dell’ordine massiccia, vola anche un elicottero a controllare. Il corteo si forma e diventa una marea, oltre 4000 i partecipanti, un lungo serpentone che si svincola tra le vie di Lecce. A metà corteo si viene a sapere che alcuni solidali provenienti da fuori sono stati fermati e portati in questura senza apparente motivo. Il corteo si ferma e paralizza la città finchè i tre amici non vengono rilasciati. Al termine del corteo un gruppo ben nutrito si dirige presso la sede di TAP in Piazza sant’Oronzo, dove trova ad attenderli le forze dell’ordine già schierate. Cè qualche tafferuglio e delle cariche del tutto gratuite da parte dei poliziotti.

Il 9 ultimo giorno di iniziative, è prevista una passeggiata a San Foca con avvicinamento alla zona rossa, un gesto più che altro simbolico. In 52 provano ad avvicinarsi quanto più possibile, ma tutto ha dell’inverosimile, troppo strana la facilità con cui gli si lascia avvicinare, troppo calmi tutti, e non fidarsi si fa bene. Scappa il trappolone. I 52 vengono accerchiata, alcunio ammanettati, le donne soggette a scherni sessisti, molti vedono arrivare i manganelli sui corpi. Chi governa le operazioni è in uno stato euforico. Gli attivisti vengono tradotti presso la caserma dei carabinieri e la questura di Lecce. Saranno rilasciati dopo 8 ore, le accuse, ridicole e che non giustificano la violenza delle forze dell’ordine, sono di manifestazione non preventivata. La questura approfitta del momento per recapitare altri fogli di via.

Il finanziamento della BEI

Il 12 di dicembre la Bei (banca europea degli investimenti) è chiamata a finanziare il TAP, ma, forse a causa dell’incessante lavoro degli attivisti e dei solidali NOTAP, forse a causa dei problemi del governo azero con i diritti umani, ma i forse sono tanti e tutti a sfavore del TAP, la BEI non finanzia e decide di rimandare a Febbraio.

La repressione messa in atto non ha fatto fare una bella figura allo stato Italiano e alla multinazionale, soprattutto visto il fatto che a Marzo ci saranno le elezioni. Le immagine del muro e del filo spinato non sono buona pubblicità. La zona rossa non viene confermata e viene smantellata. Quando si ha la possibilità di accedervi si scopre che per alzare quell’abominio si è distrutto il territorio che ora, in maniera goffa cercano di ripristinare. Grazie alla zona rossa TAP ha potuto avviare un lavoro che non avrebbe mai potuto avviare, le forze dell’ordine agevolano i lavori senza permessi di TAP, lo stesso fa il governo che di volta in vola fa sue decisioni che spetterebbero a regione o comune, scavalca anche la costituzione per garantire la costruzione più inutile e costosa mai realizzata, per garantire le lobby delle infrastrutture, per garantire le ottime relazione tra Italia e il paese dittatoriale Azero.

Dal Marzo del 2017 il Salento assiste a una serie interminabile di soprusi da parte della multinazionale che, scortata dalle forze dell’ordine e nel silenzio totale da parte del governo e degli organi di stampa nazionale, hanno come unico scopo quello di rendere inesorabile la realizzazione dell’opera. Il Movimento però reagisce ogni volta attraverso una campagna costante e sistematica di denuncia e smascheramento di tali soprusi coinvolgendo un numero sempre crescente di cittadini e associazioni che fanno della battaglia No Tap una questione di civiltà e giustizia sociale.