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Shilpa Gupta, oltre ogni confine

Il Museum Voorlinden ospita “Where do I begin”, mostra personale dell’artista indiana Shilpa Gupta, le cui opere includono scrittura, disegni, installazioni, fotografia, performance. Sonia S. Braga

L'identità nazionale, i confini materiali e immateriali, la fragilità e le contraddizioni del mondo contemporaneo. Sono i temi indagati dall'artista indiana Shilpa Gupta, nata a Mumbai nel 1976, artefice di una grammatica visiva di impronta concettuale che intreccia l'intensità della scrittura a opere complesse che includono sculture, oggetti, performance, fotografie, disegni.

Chi è stato in Laguna nel 2015, dove Gupta e Rashid Rana rappresentavano India e Pakistan, ricorderà tra gli eventi collaterali della 56esima Biennale di Venezia, la mostra "My East is Your West", ospitata nelle sale barocche di Palazzo Benzon. Al centro dell'esposizione la performance 1:998.9 di Gupta, a simboleggiare e ricucire la storia delle complesse relazioni tra gli Stati dell'Asia Meridionale, che risale alla partizione del 1947, nel tentativo di ridefinire una comune cartografia culturale. La stoffa tessuta a mano misura in scala 1:998.9 la frontiera tra India e Bangladesh, mentre i disegni tracciati sulla sua superficie alludono a carte geografiche o linee di confine. "My East is Your West", dichiara Gupta in lettere capitali al neon, con quella stessa frase che, contro ogni pregiudizio, ha dato il titolo alla mostra veneziana.

Dal 17 febbraio al 21 maggio l'opera 1:998.9 approda in Olanda, al Museum Voorlinden, in occasione della personale "Where do I begin". Qui Gupta espone progetti che caratterizzano la sua produzione più recente. Il suo lavoro, infatti, non è mai soltanto politico: lei stessa preferisce definirlo «arte di tutti i giorni», perché l'ispirazione arriva spesso da semplici osservazioni quotidiane, da fonti come archivi, libri, oggetti carichi di memorie.

Come l'installazione Someone else – A library written anonymously or under pseudonyms, che celebra la libertà di espressione contro ogni forma di censura. Si tratta infatti di una biblioteca  formata da 100 copertine di libri in acciaio, tutti scritti da autori anonimi o sotto pseudonimo, su cui l'artista ha riprodotto i caratteri d'epoca. Ci sono volumi in diverse lingue e scrittori che vanno da Charles Dickens a Emily Brontë a J. K. Rowling, compreso il testo più antico firmato con uno pseudonimo.

L'artista dice di essere «costantemente attratta dalla percezione, quindi dalle definizioni, e dal modo in cui queste vengono oltrepassate o addirittura trasgredite». L'estetica relazionale, il coinvolgimento del pubblico, è il punto di forza di tutti i suoi progetti, perché come spiega Suzanne Swarts, direttore del museo olandese, «anche con i mezzi più limitati - una singola frase, un filo di cotone, una semplice azione - Gupta riesce a offrire allo spettatore una chiave immediata per scoprire il suo universo di associazioni e immagini. Invitandoci a prendere una posizione non solo sul suo lavoro, ma in relazione al mondo». Il concetto di confine, da sempre al centro del suo lavoro, «è inteso nel senso più ampio del termine»: dalle frontiere geografiche e politiche alle divisioni sociali, fino ai confini del sé. Gupta esplora la percezione umana, il sottotesto delle sue opere è lo sguardo, il modo in cui guardiamo l'altro, come vediamo noi stessi e come definiamo la nostra identità individuale e collettiva.

 

"Where do I begin"
Museum Voorlinden
Buurtweg 90, 2244 AG Wassenaar

Paesi Bassi
16 febbraio - 21 maggio