Albert Speer
Albert Speer | |
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Albert Speer nel 1933 | |
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Ministro degli armamenti e della produzione bellica | |
Durata mandato | 8 febbraio 1942 – 23 maggio 1945 |
Predecessore | Fritz Todt |
Successore | Karl Saur |
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Dati generali | |
Partito politico | Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi (1931-1945) |
Università | Università tecnica di Berlino Università tecnica di Monaco Karlsruher Institut für Technologie |
Professione | architetto |
Firma |
Albert Speer (Mannheim, 19 marzo 1905 – Londra, 1º settembre 1981) è stato un architetto e politico tedesco.
Fu architetto personale di Adolf Hitler, ruolo che gli valse il soprannome di "architetto del diavolo"[1], e ministro per gli armamenti del Reich, oltre che uno dei massimi interpreti dell'architettura nazista. Fu autore dei maggiori progetti monumentali e urbanistici promossi personalmente dal capo del nazionalsocialismo, delle cui idee architettoniche ed artistiche si fece originale interprete, ottenendo per ciò anche un riconoscimento internazionale quale la medaglia d'oro per il suo padiglione della Germania all'Esposizione universale di Parigi del 1937.
Semplice iscritto al Partito nazista sin dal 1931, nel 1942, a seguito della tragica morte di Fritz Todt, fu improvvisamente nominato da Hitler ministro degli armamenti della Germania nazista. Svolse tale incarico con straordinario successo grazie alle sue eccezionali doti organizzative. Conservò l'incarico di ministro della produzione e dell'economia nel governo di Karl Dönitz anche dopo il suicidio di Hitler[2], sebbene questi lo avesse destituito nel suo testamento per l'attiva opposizione dell'architetto alla politica della "terra bruciata", decisa da Hitler il 19 marzo 1945.
Arrestato dagli Alleati il 23 maggio 1945, fu processato a Norimberga e, riconosciuto colpevole per lo sfruttamento di manodopera in stato di schiavitù presso le industrie belliche tedesche, si assunse - unico tra gli imputati - la completa responsabilità morale per lo sterminio degli ebrei. Fu condannato a 20 anni di reclusione, scontati nel carcere di Spandau.
Indice
Biografia[modifica | modifica wikitesto]
Primi anni[modifica | modifica wikitesto]
Speer era anche nipote, per discendenza materna, di Conrad Hommel, noto pittore tedesco degli anni trenta e quaranta, nonché ritrattista ufficiale di Hitler. Nonostante in gioventù volesse dedicarsi alla matematica, finì per seguire le orme paterne e del nonno, e intraprese gli studi di architettura. Studiò sotto la guida di Heinrich Tessenow all'Istituto di Tecnologia di Berlino, diventandone l'assistente. Dopo il completamento degli studi, nel 1931, sposò Margarete Weber, da cui ebbe sei figli. Il primogenito, Albert Speer junior, nato nel 1934, è anch'egli architetto: in tale ruolo è stato responsabile del progetto dell'Expo 2000, l'Esposizione mondiale svoltasi ad Hannover, e ha anche disegnato la "Città Internazionale dell'Automobile" di Shanghai.
Nel 1931 Speer venne persuaso da alcuni suoi studenti a partecipare ad una manifestazione del Partito Nazista. Affascinato dalle parole di Adolf Hitler, nel giro di poche settimane entrò a far parte del partito nazionalsocialista.
Il suo primo lavoro in qualità di membro del partito giunse nel 1933, quando Joseph Goebbels gli chiese di rinnovare il Ministero della Propaganda. Goebbels rimase impressionato dalla velocità e dalla qualità del suo lavoro e raccomandò l'architetto a Hitler, che lo incaricò di aiutare Paul Troost a ristrutturare la Cancelleria di Berlino. L'opera più ragguardevole di Speer nell'ambito di quest'incarico fu la progettazione della famosa balconata.
Architetto per il Führer[modifica | modifica wikitesto]
Alla morte di Troost, nel 1934, Speer venne scelto per sostituirlo come architetto capo del Partito. Una delle sue prime commesse dopo la promozione divenne uno dei suoi lavori più noti: l'allestimento del raduno di Norimberga, filmato ne Il trionfo della volontà diretto da Leni Riefenstahl. L'ambientazione era basata su una scenografia in stile dorico che riprendeva l'altare di Pergamo - ricostruito e inaugurato pochi anni prima a Berlino nel nuovo museo progettato da Alfred Messel e realizzato da Ludwig Hoffmann - ingrandita su una scala enorme, capace di contenere 240.000 persone. Speer fece poi circondare l'immenso campo di parata da 130 riflettori da contraerea. L'accorgimento creò l'effetto di una "cattedrale di luce", secondo le parole dell'ambasciatore britannico sir Nevile Henderson. Norimberga sarebbe dovuta diventare la sede di numerosi palazzi ufficiali del nazismo, molti dei quali non vennero mai realizzati (ad esempio lo Stadio Tedesco, che avrebbe dovuto contenere 400.000 spettatori ed essere la sede dei "Giochi Ariani" in sostituzione dei Giochi olimpici).
Nella progettazione dei monumentali edifici di regime, Speer sostenne la teoria del "valore delle rovine". Secondo la teoria - entusiasticamente accolta da Hitler - tutti i nuovi edifici sarebbero stati costruiti in modo tale da lasciare rovine grandiose per migliaia di anni a venire, che avrebbero testimoniato la grandezza del Terzo Reich alle generazioni future, come le rovine dell'Antica Grecia o dell'Impero Romano.
Per l'Esposizione Internazionale «Arts et Techniques dans la Vie moderne» tenuta a Parigi nel 1937 Speer disegnò il padiglione tedesco, concepito come baluardo nazista in diretta contrapposizione formale e simbolica con il padiglione sovietico, ubicato proprio di fronte ad esso. Entrambi i padiglioni vennero premiati con la medaglia d'oro.
Speer venne incaricato di progettare la ricostruzione e la riqualificazione urbanistica di Berlino, la futura Germania, capitale dello stato millenario pangermanico. Il primo passo di questo piano fu la costruzione dello Stadio Olimpico per le Olimpiadi del 1936. Speer progettò anche una nuova Cancelleria, che comprendeva un vasto salone lungo il doppio della Sala degli specchi del Palazzo di Versailles. Hitler volle che egli disegnasse una terza e ancor più grande Cancelleria, che però non venne mai realizzata. La seconda Cancelleria fu distrutta dall'Armata Rossa nel 1945.
Quasi nessuno degli edifici progettati per la nuova Berlino fu costruito. La città avrebbe dovuto essere riorganizzata intorno a un asse largo 120 metri e della lunghezza di 5 chilometri. All'estremità nord, Speer pianificò la costruzione di un enorme edificio a cupola, che richiamava la Basilica di San Pietro di Roma. La cupola dell'edificio doveva essere maestosa, alta oltre 200 metri e con un diametro di circa 250 (circa sei volte il diametro della cupola di San Pietro). Sulla sommità della costruzione avrebbe capeggiato un'aquila dorata che stringe fra gli artigli la croce uncinata (poi sostituita da Hitler con il globo terrestre). All'estremità meridionale dell'immenso viale avrebbe dovuto essere edificato un arco, sul modello dell'Arco di Trionfo di Parigi, ma anche in questo caso molto più grande (almeno 120 metri in altezza), tanto che l'arco parigino avrebbe potuto trovare posto sotto di esso. Sulla superficie in granito di questo grande arco dovevano essere incisi i nomi di tutti i caduti tedeschi nel primo conflitto mondiale. Lo scoppio della seconda guerra mondiale nel 1939 portò all'abbandono di questi progetti.
Hitler aveva un debole per il giovane e aitante Speer, i cui progetti «monumentali» considerava espressione dei principi nazionalsocialisti. Hitler, che in gioventù aveva avuto velleità di artista (tanto da trasferirsi a Vienna per iscriversi all'Accademia di Belle Arti) e che nel profondo si sentiva ancora tale, vide in Speer la personificazione delle proprie ambizioni, nonché un giovane e fedele esecutore che avrebbe potuto portare avanti, dopo la sua morte, i grandi progetti edilizi per rendere «immortale» il ricordo del «grande Reich tedesco nazionalsocialista».
Ministro agli armamenti[modifica | modifica wikitesto]
Nel 1942, dopo la morte di Fritz Todt avvenuta in un misterioso incidente aereo, Hitler sorprendentemente nominò Speer, che non aveva alcuna esperienza in materia di produzione industriale, "ministro agli armamenti e alla produzione bellica".
Nonostante le difficoltà e la novità dell'incarico, Speer lavorò alacremente per migliorare l'industria bellica e per fronteggiare la riparazione degli impianti danneggiati dai sempre più frequenti bombardamenti alleati. Speer ottenne ottimi risultati raggiungendo l'apice della produzione tedesca nel 1944, quando la situazione militare ed economica della Germania era già decisamente critica. Per arrivare a questi traguardi Speer si circondò di un gruppo di giovani manager, limitando al minimo l'apparato burocratico. Per velocizzare le decisioni fece leva in più occasioni sul particolare rapporto che lo legava a Hitler, sfruttando inoltre la manodopera a costo zero fornita dagli internati richiusi nei campi di concentramento. Secondo le sue parole di giustificazione dopo la guerra, quest'ultima scelta fu dettata, più che da motivi ideologici, dall'inconsapevolezza riguardo alle reali condizioni degli internati, e dalla necessità di trovare nuovi lavoratori, man mano che le perdite dell'esercito tedesco rendevano necessario il reclutamento militare di un sempre maggior numero di giovani lavoratori tedeschi.[senza fonte]
Nel 1944 lo scrittore e giornalista Sebastian Haffner sul giornale londinese The Observer scrisse di lui:
« Albert Speer non è il solito nazista appariscente e ottuso... è molto più del semplice uomo che raggiunge il potere, simboleggia invece un tipo d'uomo che sta assumendo sempre più importanza in tutti i Paesi belligeranti: il tecnico puro, l'abile organizzatore, il giovane brillante uomo senza bagaglio e senza altro scopo che seguire la propria strada, senza altri mezzi che le proprie capacità tecniche e manageriali. Degli Hitler e degli Himmler ce ne sbarazzeremo, ma con gli Speer dovremo fare i conti ancora a lungo... » |
Nonostante questi atti, che portarono Speer ad essere processato a Norimberga insieme agli altri gerarchi nazisti, egli fu uno dei pochi leader ad opporsi alla deriva folle e ossessiva di Hitler. Nel 1945 Speer si rifiutò di portare avanti la strategia della «terra bruciata», che si proponeva di distruggere completamente tutto ciò che si trovava nei territori tedeschi che sarebbero caduti in mano al nemico. Speer, ben cosciente che la guerra era ormai perduta, non eseguì gli ordini impartiti da Hitler, nella consapevolezza che il popolo tedesco sconfitto avrebbe avuto bisogno di un minimo di infrastrutture per potersi risollevare dal baratro nel quale stava precipitando.
Nella situazione tesa e drammatica dell'ultima fase della guerra, Speer pensò addirittura di assassinare il Führer, immettendo gas nervino negli impianti di aerazione del bunker sotto la Cancelleria di Berlino che lui stesso aveva progettato. Ciononostante, nei giorni che anticiparono il suicidio di Hitler, Speer si riavvicinò a lui, e in un drammatico incontro avvenuto nel bunker stesso confessò di aver sabotato gli ordini del Führer. Hitler, ormai convinto dell'imminente fine, non volle effettuare ritorsioni contro di lui, e Speer poté lasciare incolume il bunker, riparando pochi giorni dopo a Flensburg, dove si era stabilito il nuovo ed effimero governo del grandammiraglio Karl Dönitz, successore nominato da Hitler.
Nel dopoguerra[modifica | modifica wikitesto]
Speer fu arrestato dalle forze alleate a Flensburg subito dopo il termine del conflitto, e processato a Norimberga con l'accusa di aver utilizzato manodopera in condizioni di schiavitù per mandare avanti l'industria bellica tedesca. Speer prese le distanze dalla maggior parte dei gerarchi nazisti con lui sotto processo, sostenendo di essere all'oscuro delle atrocità naziste e pronto a espiare il suo "grave" errore di valutazione dichiarandosi colpevole delle accuse a lui rivolte. Venne condannato a 20 anni di reclusione, da scontarsi nel carcere di Spandau, a Berlino Ovest.
Il suo rilascio, avvenuto il 1º ottobre 1966, fu un evento mediatico mondiale.[senza fonte] Dopo la liberazione, abbandonato il progetto di tornare ad esercitare la professione di architetto, pubblicò diversi libri, tra i quali due best seller, Memorie del Terzo Reich e Diari segreti di Spandau, entrambi oggetto di notevole interesse anche tra gli storici, ai cui studi Speer si rese sempre personalmente disponibile. Condusse una vita piuttosto ritirata fino alla morte, che avvenne per infarto il 1º settembre 1981 a Londra, dove si era recato per partecipare a una trasmissione radiofonica della BBC.[3]
La maggior parte degli storiografi ritiene che nei suoi libri Speer minimizzi il proprio ruolo personale nelle atrocità di quel periodo. Alcuni documenti scoperti dopo la morte di Speer provarono inoltre, senza ombra di dubbio, che già nel 1943 Speer era a conoscenza di ciò che veramente accadeva ad Auschwitz. Nello stesso anno Speer autorizzò l'invio di materiale per ampliare il campo di sterminio di Birkenau. Nei documenti ritrovati, che portavano la firma di Speer, si faceva esplicito riferimento a forni crematori, obitori e torri di guardia.[4] In precedenza altri crimini di Speer erano venuti alla luce tanto che durante un colloquio tra Speer e Simon Wiesenthal, avvenuto alla fine degli anni settanta, il celebre "cacciatore di nazisti" ebbe modo di dire all'architetto:
« Se a Norimberga avessimo saputo quello che sappiamo adesso, lei sarebbe stato impiccato. » |
(Simon Wiesenthal[4]) |
Progetti architettonici[modifica | modifica wikitesto]
- Padiglione della Germania all'Esposizione universale di Parigi del 1937.
- Reichsparteitagsgelände
- Nuova Cancelleria del Reich, Berlino
- Welthauptstadt Germania
- Olimpiastadion, Berlino (1936)
- Große Halle (mai realizzato)
- Arco di trionfo (mai realizzato)
- Ampliamento di Charlottenburger Chausse
Pubblicazioni[modifica | modifica wikitesto]
- In italiano
- Albert Speer, Memorie del Terzo Reich (Erinnerungen), traduzione di Enrichetta e Quirino Maffi, Le Scie, Milano, Mondadori, 1971, SBN IT\ICCU\RAV\0065731.
- Albert Speer, Diari segreti di Spandau (Spandauer Tagebucher), Milano, Club degli Editori, 1986 [Mondadori, 1976], SBN IT\ICCU\MOD\0176636.
- Albert Speer, Lo stato schiavo. La presa di potere delle SS (Der Sklavenstaat), traduzione di Donatella Besana, Le Scie, Milano, Mondadori, 1985, ISBN 88-04-20343-9, SBN IT\ICCU\RAV\0070603.
Altri progetti su Albert Speer[modifica | modifica wikitesto]
- Speer Architettura e-é Potere (2015), monologo teatrale scritto da Kristian Fabbri, messo in scena dal collettivo Gli Eredi, attore Ettore Nicoletti[5] regia Benoît Félix-Lombard. Il testo ha vinto il premio Premio autori italiani 2015, Premio Fondazione Teatro CARLO TERRON – Sezione Monologhi.
- Speer e Hitler (Speer und Er), film biografico del 2005 diretto da Heinrich Breloer
Onorificenze[modifica | modifica wikitesto]
Insegna d'oro del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori (Goldene Parteiabzeichen der N.S.-D.A.P.) | |
Galleria d'immagini[modifica | modifica wikitesto]
Note[modifica | modifica wikitesto]
- ^ Valentino Paolo, E l'architetto del diavolo sedusse Brandauer, su Corriere della Sera, 29 gennaio 1998, p. 31. URL consultato il 25 settembre 2014 (archiviato dall'url originale il ).
- ^ Egli era stato indicato come ministro degli armamenti anche nell'organigramma di governo stilato dai congiurati antinazisti dell'Operazione Valkiria, responsabili dell'attentato a Hitler del 20 luglio 1944.
- ^ Gitta Sereny, p. 782 segg.
- ^ a b Valentino Paolo, Cade la maschera di Speer «Fu complice della Shoah», in Corriere della Sera, 24 maggio 2005, p. 35. URL consultato il 28 maggio 2013 (archiviato dall'url originale il ).
- ^ Ettore Nicoletti, su IMDb. URL consultato il 16 settembre 2016.
Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]
- Léon Krier, Albert Speer: Architecture, 1932-1942, Bruxelles, Archives d'Architecture Moderne, 1985, ISBN 2-87143-006-3.
- Gitta Sereny, In lotta con la verità. La vita e i segreti di Albert Speer, amico e architetto di Hitler, traduzione di Massimo Birattari, Brunello Lotti e Maria Barbara Piccioli, Storica, Milano, Rizzoli, 1995, ISBN 88-17-33029-9.
- Joachim Fest, Speer. Una biografia, traduzione di Umberto Gandini, Gli Elefanti, Milano, Garzanti, 2000, ISBN 88-11-67769-6.
- Sandro Scarrocchia, Albert Speer e Marcello Piacentini. L'architettura dell'assolutismo negli anni trenta, Milano, Skira, 1999, ISBN 88-8118-461-3.
- Eric Laurent, La verità nascosta sul petrolio, traduzione di D. Flori e L. Fabi, Bologna, Nuovi Mondi Media, 2006, ISBN 88-89091-37-1.
- Anthony Read, Alla corte del Führer. Göering, Goebbels e Himmler: intrighi e lotte per il potere nel Terzo Reich, traduzione di Francesca Gimelli, Le Scie, Milano, Mondadori, 2006, ISBN 88-04-55873-3.
- Eugene Davidson, Gli imputati di Norimberga. Hermann Wilhelm Göering, Rudolf Hess, Martin Bormann, Albert Speer. La vera storia dei ventidue fedelissimi di Hitler processati per crimini contro l'umanità dal tribunale alleato, traduzione di Milvia Faccia, I volti della Storia, nº 58, Roma, Newton & Compton, 2003, ISBN 88-8289-325-1.
- Joachim Fest, Dialoghi con Albert Speer, traduzione di Umberto Gandini, Storica, Milano, Garzanti, 2008, ISBN 978-88-11-69406-9.
- Frederic Spotts, Hitler e il potere dell'estetica, traduzione di Ester Borgese, Saggi d'Arte, nº 6, Milano, Johann & Levi, 2012, ISBN 978-88-6010-036-8.
- Elena Pirazzoli, Showing nazism. The embarassing ruins of the thousand year Reich – Mostrare il nazismo. Le imbarazzanti rovine del Reich millenario, in Michela Bassanelli e Gennaro Postiglione (a cura di), Re-enacting the Past. Museography for Conflict Heritage, Siracusa, LetteraVentidue, 2013, pp. 126–143, ISBN 978-88-6242-064-8.
- Elena Pirazzoli, Disumana e quotidiana. La scala monumentale del nazismo, in Gian Piero Piretto (a cura di), Memorie di pietra. I monumenti delle dittature, Saggi, nº 88, Milano, Raffaello Cortina, 2014, pp. 117–136, ISBN 978-88-6030-678-4.
- Speer, Albert, in Dizionario di Storia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2000. URL consultato il 25 settembre 2014.
Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]
Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]
- Wikiquote contiene citazioni di o su Albert Speer
- Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Albert Speer
Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]
- Speer ‹špéer›, Albert, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 15 marzo 2011.
- Albert Speer, su La Storia siamo noi. URL consultato il 25 settembre 2014.
Controllo di autorità | VIAF: (EN) 17343524 · LCCN: (EN) n79038453 · ISNI: (EN) 0000 0001 2122 4714 · GND: (DE) 118615998 · BNF: (FR) cb12640262d (data) · ULAN: (EN) 500027934 |
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