Tratto da “Vetriolo – giornale anarchico” numero 0 inverno 2017
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Non ci dovrebbe essere quasi nulla di più alieno per un anarchico quanto il concetto di “popolo”. Questo vale per qualunque tendenza dell’anarchismo. Evidentemente per un individualista il popolo è, per dirla con Max Stirner, un’idea fissa, un’astrazione, un fantasma. Esistono gli individui, reali, non il popolo. Ma anche per un comunista anarchico, l’idea di popolo è qualcosa di indeterminato. Secondo una concezione coerentemente classista esistono gli sfruttati e gli sfruttatori, il proletariato e la borghesia. Cosa è dunque il popolo? Il popolo è un frullato, una massa indistinta dove piccoli padroncini e sfruttati, sanculotti e bottegai, contadini e preti di campagna si ritrovano insieme. Fuori dal popolo, e contrapposto ad esso, c’è l’aristocrazia, la casta.
Da qualche tempo invece l’idea di popolo è stata riscoperta. La cosa non promette niente di buono, c’è da fare gli scongiuri, dato che nella storia ha sempre portato sfiga e troppo sangue è stato già sacrificato all’altare del Popolo. A livello di massa, a riscoprire il popolo ci hanno pensato i movimenti giustizialisti e, appunto, populisti; i quali si sono candidati a rappresentare codesto popolo contro la casta dei politici ladroni. A sinistra ci sono sempreverdi, per quanto da molti anni spelacchiate, le piantacce dello stalinismo e di tutta la sua metafisica nazionalistica. Ma neppure gli anarchici sono da meno e, dalle valli ai quartieri, parlano di assemblee popolari, lotte popolari, ecc.
La storia tragica del Fronte Popolare
L’idea di unire tutto il popolo contro i suoi nemici ha ormai un secolo di vita. Prima ci hanno pensato i governi durante la Grande Guerra. Il popolo doveva unirsi contro il nemico, contro il popolo dell’altro paese che minacciava di invaderlo. Non importavano i vecchi rancori, tutti nelle trincee. E nel conflitto, nel nome infame del Popolo, arriva il primo grande tradimento dei partiti socialisti legalitari.
Guerra che porterà comunque ad un’ondata rivoluzionaria in tutta Europa, ma anche al trionfo dei bolscevichi in Russia. Da allora l’idea di popolo comincia ad affascinare anche la sinistra cosiddetta rivoluzionaria. Con lo stalinismo questa idea viene sistematizzata, sostenendo che ad un certo punto della storia, quando in un paese il popolo prende il potere, la lotta di classe scompare e al suo posto nel mondo compare una lotta tra nazioni, tra un popolo che incarna metafisicamente gli oppressi e un popolo che incarna gli oppressori (la dialettica USA-URSS della seconda metà del secolo scorso).
«Il popolo è un frullato, una massa indistinta dove piccoli padroncini e sfruttati, sanculotti e bottegai, contadini e preti di campagna si ritrovano insieme» |
Mentre in Russia i “comunisti” sterminano tutti coloro che vi si oppongono, in Europa lo stalinismo propone contro l’avanzata fascista l’idea di fare dei Fronti Popolari, cioè di unire gli operai con la parte migliore (???), avanzata, “sinceramente democratica” della borghesia. In Francia il Fronte Popolare vince più o meno serenamente le elezioni, senza rivoluzionare un bel niente nella vita economica della più grande potenza capitalista d’Europa. Nella Spagna delle insurrezioni, delle rivoluzioni fallite, dei golpe, del terrorismo dei padroni e della difesa armata degli anarco-sindacalisti, la vittoria del Fronte invece dà il colpo di grazia alla traballante repubblica. Nel luglio del 1936 Franco e i suoi danno vita alla sollevazione dei militari, mentre gli operai in armi fanno la rivoluzione. A Barcellona si impadronisco di fabbriche e caserme, prendono le armi e occupano i palazzi, collettivizzano e centralizzano la produzione. La vera rivoluzione proletaria (più di quella russa), dove determinanti sono gli anarchici. Una rivoluzione che fa paura ai padroni di tutto il mondo: la stessa Francia dell’omonimo infame Fronte Popolare non aiuta minimamente gli spagnoli che cercano di resistere a Franco.
Una rivoluzione che viene schiacciata nel nome del popolo e dell’antifascismo. Di fronte alle difficoltà militari, sia dei repubblicani che dei rivoluzionari, con la colonna Durruti ormai impantanata, comincia a circolare l’idea che serve più organizzazione, che occorre fare le cose con ordine: prima sconfiggere il fascismo, poi fare la rivoluzione. Prima si vince la guerra, poi si vedrà. I vertici della CNT cadono con tutte le scarpe in questa trappola, disarmano gli operai e accettano i ministeri. Un errore, anche da un punto di vista banalmente tattico: per paura della rivoluzione, la borghesia spagnola un tempo “sinceramente democratica”, come direbbero gli stalinisti, comincia a sabotare anche la guerra. I cosiddetti comunisti danno vita ad una vera e propria controrivoluzione: disarmano gli operai, ri-privatizzano le collettivizzazioni, viene imposta la pena di morte alla catena di montaggio contro gli incontrollados, assassinano chi gli si oppone. La CNT è cieca o fa finta di non vedere. Lascia di fatto da sola l’insurrezione del maggio del 1937. Rinuncia persino ad indagare e denunciare le vere cause della misteriosa morte dell’eroe Durruti, tanto meno delle figure meno importanti, come Camillo Berneri che stava lucidamente raccontando cosa accadeva a Barcellona. Una rivoluzione schiacciata nel nome del popolo e dell’antifascismo.
Nel nome del popolo italiano
In Italia nel 1943-1945 le cose vanno diversamente solo per quanto riguarda il risultato finale del conflitto, il fascismo viene sconfitto, a differenza della Spagna. Ma di nuovo, nel nome del popolo, nel nome dell’unità antifascista, nel nome della liberazione nazionale si abbandona ogni velleità rivoluzionaria. Togliatti, tornato da Mosca con gli ordini di Stalin, spiegherà ai suoi compagni dubbiosi nell’appoggiare il governo del fascista Badoglio, che il comunismo si farà dopo aver vinto la guerra…stanno ancora aspettando.
I governi del CLN rappresentano una macedonia ben più ricca del frontismo spagnolo: ex fascisti, monarchici, comunisti, democristiani, socialisti, liberali. Tutti uniti, nel nome della guerra di liberazione. Naturalmente meritano rispetto tutti i partigiani che fecero la lotta armata contro il fascismo, andando incontro a morte e torture. Ma c’è tutta una storia nascosta di lotta armata fuori dal cerchio dell’unità popolare dimenticata dagli storici del nuovo regime. Si pensi al gruppo Bandiera Rossa, totalmente sconosciuto ai più, lavato via dai libri di storia popolare, il principale gruppo partigiano a Roma. Aveva posizioni anti-monarchiche e anti-badogliane, rifiutava il CLN e accusava il PCI di tradimento. Persino nei fatti più conosciuti e celebrati dalla commemorazione nazional-popolare, come l’eccidio delle fosse ardeatine, dove pagò con ben 52 vittime, anche il solo ricordo viene bandito, sia nelle celebrazioni ufficiali, sia in quelle di movimento; ancora nella scorsa primavera abbiamo avuto le intimidazioni di un gruppo di stalinisti contro dei compagni che volevano commemorare quei fatti fuori dalla storia di regime.
A Roma l’oblio, al nord l’infamia, con le rivolte partigiane del 1946 contro “Repubblica che mitraglia i contadini, libera i fascisti e mette gli operai alla disoccupazione” accusate direttamente di “fascismo”.
La discriminante è sempre il popolo. Chi ha partecipato alla lotta di liberazione nazionale, nell’unità popolare, nella legalità dell’allora nuovo ordine mondiale di Jalta, è tollerato e perdonato. Chi non ha aderito ai carrozzoni di unità popolare con monarchici e fascisti, chi la lotta armata l’ha fatta prima e dopo il periodo che piaceva a Stalin, Churchill e Roosevelt, per loro ci sono le galere della democrazia: come Belgrado Pedrini che, per aver sparato a dei poliziotti fascisti nel ’42, rimarrà in carcere nelle prigioni repubblicane fino al 1974. Nel nome del popolo italiano.
E’ per questo che, ancora oggi, quando sento parlare di popolo, mi tocco le palle.