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O chiusura o svendita per i lavoratori dell’acciaio

Di Marianne Arens
12 febbraio 2016

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Questo articolo è stato precedentemente pubblicato in inglese l’8 febbraio 2016

Il 4 gennaio il Ministro dell’Industria Federica Guidi ha annunciato che il governo sta cercando un acquirente per la società siderurgica Ilva e la sua fabbrica di Taranto, che l’acciaieria ha bisogno di un nuovo propietario, entro la fine di giugno 2016, e che i potenziali acquirenti hanno fino al 10 febbraio per segnalare il loro interesse.

L’Ilva, con 12.000 dipendenti, è la terza acciaieria per grandezza in Europa; altri 8.000 lavoratori sono impiegati da subappaltatori. Le operazioni siderurgiche iniziarono 110 anni fa e la società, che faceva parte del gruppo statale Italsider, nel 1995 è stata venduta dallo Stato al gruppo Riva.

L’Ilva è stata in amministrazione coatta da parte del governo per due anni. Attualmente sono in corso procedimenti giudiziari contro la famiglia Riva, che possiede la società, sia per evasione fiscale, che per l’inquinamento ambientale all’origine di centinaia di morti. Attivi pari a 1,2 miliardi di euro, che Riva aveva depositato in conti svizzeri, erano stati stanziati inizialmente per la ristrutturazione dello stabilimento e l’eliminazione dei peggiori danni ambientali a Taranto, ma non sono stati messi a disposizione dalle banche e dalle autorità svizzere.

I lavoratori degli stabilimenti di Taranto, Cornigliano e Novi Ligure sono di fronte alla prospettiva di licenziamenti di massa e grossi tagli salariali. I commissari di Stato dell’Ilva l’11 gennaio hanno segnalato che oltre 3.500 dipendenti saranno licenziati “temporaneamente”. Le misure riguardano 1.713 lavoratori della produzione di lastre e tubi, 831 operai delle fornaci e 975 lavoratori di gestione, riparazione e manutenzione.

Lo scorso anno, una media di 2.000 lavoratori sono stati congedati temporaneamente dal lavoro; questi lavoratori temporanei hanno ricevuto, per molti anni, fino all’80 per cento del loro salario dalla Cassa Integrazione. Dal 2005 il “contratto di solidarietà” aziendale aveva fornito una certa garanzia di posti di lavoro e di reddito; ma, a partire dal gennaio 2016, la riforma della legge del lavoro, il Jobs Act di Matteo Renzi, ha reso obsolete quelle speciali garanzie di lavoro e salario.?I lavoratori temporanei si trovano davanti a massicci tagli salariali del 20 per cento e, a più lungo termine, alla completa cessazione dei loro redditi.

La prevista vendita dell’Ilva renderà la riassunzione dei lavoratori “temporaneamente” licenziati altamente improbabile. A livello mondiale vi è un eccesso di offerta di acciaio, i prezzi sono in calo e la concorrenza è feroce. Possibili acquirenti interessati, come ArcelorMittal, JSW Steel o Marcegaglia potrebbero rapidamente licenziare più lavoratori o chiudere altri stabilimenti.

I lavoratori dell’industria siderurgica sono sotto pressione da tutti i lati, e la situazione porterà inevitabilmente a conflitti di classe esplosivi.

Occupazione del Municipio a Genova

La protesta da parte dei lavoratori siderurgici di Cornigliano, all’inizio dell’anno, è un’anticipazione di lotte di classe a venire.

La mattina dell’11 gennaio 2016, 500 lavoratori dell’industria siderurgica hanno occupato il municipio di Genova e chiesto che venisse garantito il loro “contratto di solidarietà”, per il quale avevano fatto grandi sacrifici quando gli altiforni e il laminatoio a caldo erano stati chiusi. Da allora, un impianto di laminazione a freddo e due officine per il rivestimento di zinco sono in funzione a Cornigliano e 1.600 lavoratori vi sono ancora impiegati.

Una manifestazione, originariamente, doveva portare alla prefettura, ma è stata deviata all’ultimo momento verso Palazzo Tursi, sede del governo della città. I lavoratori hanno preso a spallate la porta della sala del consiglio e hanno cercato di occuparla. Ripetevano slogan contro il Premier Matteo Renzi (PD) e il sindaco di Genova, Marco Doria, ha impedito al segretario locale del Partito Democratico, Alessandro Terrile, di fuggire. Poco prima, in una riunione regionale del partito, Terrile aveva chiesto la rimozione delle garanzie speciali dei lavoratori dell’industria siderurgica Ilva: “Non possiamo più permetterci di pagare con i soldi della riqualificazione di Cornigliano le integrazioni degli stipendi dei lavoratori dell’Ilva”, aveva asserito.

Successivamente, gli sforzi congiunti di un segretario sindacale e del prefetto di Genova, Fiamma Spena, convinsero i dimostranti a terminare l’occupazione.

I sindacati chiedevano una tavola rotonda nazionale, a cui sarebbero stati invitati il governo Renzi e il sindacato dell’acciao. Maurizio Landini, capo del più grande sindacato metallurgico, FIOM, ha dichiarato alla stampa: “Noi abbiamo chiesto che il Governo convochi sindacati e lavoratori per discutere del futuro di tutto il settore siderurgico”.

Il giorno dopo, il sindaco Doria ha detto che le azioni dei lavoratori lo avevano inizialmente lasciato senza parole; ha condannato veementemente l’occupazione dicendo: “È stata un’aggressione all’istituzione democratica Comune di Genova”. Marco Doria, ex membro del partito comunista, è vicino al Pd di Matteo Renzi. Egli è un discendente di Andrea Doria, l’originale proprietario del magnifico palazzo comunale, che i lavoratori avevano così sdegnosamente occupato.

Circa l’Ilva Doria ha detto: “Il gruppo Ilva è in stato comatoso, sull’orlo del tracollo, per ora non è avvenuto perché la collettività nazionale ha compiuto sforzi per tenerlo in piedi”. Doria ha asserito che Renzi assicurerebbe, nel caso di vendita dell’Ilva, la tutela degli attuali livelli occupazionali anche attraverso l’inserimento della clausola sociale all’interno del bando di gara.

Il mito del salvataggio Riva

Doria non è l’unico che sta diffondendo il mito di un salvataggio Ilva da parte della “comunità nazionale” e che cerca di fare apparire positivo il cambio di gestione da parte dello Stato. Il britannico Jeremy Corbin, dell’ala di “sinistra” del Labour Party, a proposito dell’Ilva, a una conferenza del suo partito ha detto: “Il nostro Governo potrebbe facilmente intervenire, se lo volesse..., ma non è pronto ad imparare la lezione che il Governo italiano ci avrebbe potuto dare: che si può intervenire, sia temporaneamente che permanentemente, che ci sono molti modi di farlo, se si è seri nel voler difendere l’infrastruttura economica e la base produttiva di questo Paese”.

In questa dichiarazione ci sono altrettante bugie quante parole. Il governo Renzi e i suoi predecessori non hanno salvato né “infrastruttura economica”, né posti di lavoro e sicuramente non la salute dei lavoratori. C’è un motivo per cui le leggi, che rendono legittimi doni fiscali di miliardi di euro al gruppo Ilva, sono chiamati “salvataggio Riva”. Il governo sta agendo nell’interesse della borghesia italiana e addossa i costi sulla classe lavoratrice.

Un altro eclatante esempio dello stesso fenomeno ha avuto luogo quando Renzi ha nominato l’ingegnere Marco Pucci a direttore generale di transizione dell’Ilva. Pucci è stato condannato a sei anni e mezzo di carcere nel maggio 2015 a causa della sua responsabilità per il terribile incidente alla ThyssenKrupp otto anni fa.

Il 6 dicembre 2007 sette operai bruciarono vivi quando un’esplosione provocò un terribile incendio nello stabilimento ThyssenKrupp di Torino. La catastrofe avrebbe potuto essere evitata con semplici precauzioni di sicurezza, ma nulla era stato investito nello stabilimento perché ne era prevista la chiusura. Marco Pucci era, a quel tempo, uno dei dirigenti responsabili.

Per più di otto anni, il procedimento giudiziario è stato ritardato da una o dall’altra autorità. Fino ad oggi Pucci rimane libero ed è in attesa di un’altra sentenza d’appello. Fino a poco tempo fa, ha guidato l’impianto AST ThyssenKrupp di Terni. I parenti dei lavoratori dell’industria siderurgica morti hanno protestato contro la sua nomina a direttore generale Ilva e poco dopo Pucci si dimise.

Incidenti sul lavoro

Questo caso mette in evidenza l’atteggiamento del governo circa la vita e la salute dei lavoratori dell’industria siderurgica. Nei due anni in cui l’Ilva è stata sotto la supervisione dello Stato, il governo non ha mosso un dito per risolvere i problemi ambientali o per migliorare la sicurezza degli impianti. Al contrario: a malapena, in qualsiasi momento del passato, ci sono stati tanti infortuni sul lavoro.

Angelo Iodice (54 anni), operaio e responsabile della sicurezza, è morto il 4 settembre 2014, quando un carrello trasportatore si staccò dal suo ancoraggio e lo travolse. Alessandro Morricella (35) fu investito da acciaio fuso incandescente durante un controllo di routine di un forno. Morì dopo quattro giorni in coma. Solo pochi giorni dopo, un lavoratore temporaneo fu ustionato da vapore bollente.

Il 17 di novembre 2015, Cosimo Martucci (48), lavoratore per un’agenzia interinale, è morto dopo essere stato colpito da un tubo d’acciaio caduto dal gancio di un camion a lungo raggio. Solo ore dopo, ci fu un altro incidente in una sala a colata continua, per fortuna, nessuno rimase ferito.

Un incidente simile, che ricorda l’incidente alla ThyssenKrupp nel 2007, avvenne il 14 gennaio 2016, quando ci fu un’esplosione nell’impianto di colata continua, che portò all’emissione di 20 tonnellate di acciaio liquido. Eccezionalmente nessuno è rimasto ferito.

“Abbiamo sentito un boato accompagnato da una fiammata”, raccontano gli operai addetti alla colata. “Abbiamo temuto di morire. L’acciaio fuso, a temperatura di circa 1.600 gradi si è rovesciato a tre metri da noi. Un collega è caduto mentre cercava di fuggire”.

La guardia di sicurezza che ha inviato gli scossi operai all’infermeria, ha riferito che le lacrime correvano giù per le loro facce. “E ‘impossibile immaginare cosa sarebbe successo se l’esplosione fosse avvenuta sul lato opposto della sala, dove stavano gli operai”, ha detto. Ha accusato la società, che non aveva messo in atto nessuna misura di sicurezza e che non aveva tratto alcuna conclusione da un incidente correlato, avvenuto il 18 novembre, quando un episodio quasi identico aveva avuto luogo nello stesso dipartimento.

Lo stesso atteggiamento disumano è evidente anche nel trattamento dei lavoratori della siderurgia, delle loro famiglie e dell’intera città di Taranto. Allo stabilimento siderurgico Ilva è stato permesso di perpetrare una catastrofe ambientale di prim’ordine, senza alcuna opposizione.

Quando, il 20 gennaio, il commissario UE sulla concorrenza ha avviato un’inchiesta sul governo italiano, perché aveva salvato l’azienda siderurgica Ilva con due miliardi di euro, il ministro Guidi ha risposto che il motivo principale del pagamento di quel denaro era per affrontare l’”emergenza ambientale”. Ma gli abitanti di Taranto non hanno visto alcun cambiamento: strade, piazze, automobili, giardini, cortili delle scuole e asili sono ancora coperti di polvere rossa. Le emissioni della fabbrica sono responsabili per almeno 400 morti premature.

Un livello di disoccupazione di oltre il 20 per cento nella regione costringe i lavoratori dell’industria siderurgica a continuare a denti stretti. Un operaio siderurgico Ilva ha riassunto il dilemma dei lavoratori: “O muori di cancro qui o la tua famiglia deve soffrire la fame”.