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Il ruolo dell'Italia nella guerra in Libia

Di Marianne Arens
22 giugno 2011

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Questo articolo è stato precedentemente pubblicato in inglese il 14 maggio 2011

L'Italia ha attivamente partecipato al bombardamento della Libia dal 28 aprile. Giorno e notte, i caccia italiani sono decollati dalla base aerea di Trapani Birgi in Sicilia e dalla portaerei Garibaldi per prendere parte alla guerra contro la ex colonia italiana.

Poche settimane fa, il ministro degli Esteri Franco Frattini aveva detto sul sito web del suo ministero che l'Italia non dovrebbe partecipare attivamente alla guerra contro la Libia: “Se un aereo italiano bombardasse la Libia e colpisse dei civili, l'intervento sarebbe controproducente". Il Governo teme paragoni con il periodo coloniale italiano nel periodo 1911-1943, sotto i governi "democratico" e fascista.

La decisione di partecipare alla guerra, nonostante il passato coloniale, ha avuto luogo dopo i colloqui tra il premier Silvio Berlusconi e il presidente francese Nicolas Sarkozy, il 26 aprile a Roma su come affrontare la questione degli immigrati africani. Sarkozy e Berlusconi erano d'accordo nel rifiutare “qualsiasi operazione di commercializzazione o di trasporto di idrocarburi da cui possa trarre vantaggio il regime di Gheddafi”. Subito dopo, il primo ministro italiano ha annunciato che il suo paese avrebbe partecipato attivamente alla guerra dal 28 aprile.

La partecipazione dell'Italia nella guerra nasce dalla paura che possa perdere la sua influenza in Libia a vantaggio di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti. Il Financial Times ha osservato: "Il battibecco italo-francese sull’immigrazione fa seguito ad aspri disaccordi sulla Libia. L’Italia è stata trascinata in una guerra che avrebbe preferito evitare, temendo che un asse Parigi-Bengasi possa interferire con i suoi notevoli interessi nel petrolio e il gas della Libia".

Il petrolio libico e le riserve di gas sono i motivi fondamentali per la borghesia italiana a partecipare attivamente alla lotta inter-imperialista nel vicino Paese nordafricano. L'Italia ottiene un quarto delle sue importazioni di petrolio e il dieci per cento del suo gas naturale dalla Libia. Il gruppo ENI ha investito miliardi di euro in Libia. Prima dello scoppio della guerra, l'Italia era il più grande partner commerciale della Libia, il più grande acquirente di petrolio greggio, e uno dei maggiori fornitori di armi del regime Gheddafi.

Il governo Italiano ha riconosciuto ufficialmente il Consiglio Nazionale di Transizione (CNT) di Bengasi il 4 aprile e ha inviato dieci consiglieri militari. Inoltre riconosce il CNT come governo temporaneo libico e lo ha finanziato, forse anche con le armi, secondo un portavoce a Bengasi nel fine settimana.

La decisione di partecipare attivamente alla guerra ha causato qualche dissenso nella coalizione di governo in Italia. La Lega Nord ha giustificato la sua opposizione sollevando timori di un possibile afflusso incontrollato di profughi africani, dovesse la guerra andare avanti a lungo. Gheddafi, che negli ultimi anni aveva impedito ai rifugiati africani di attraversare il Mediterraneo, detenendoli nei campi finanziati dal governo italiano, ha minacciato di farli emigrare in gran numero verso l'Italia.

La Lega Nord teme anche che l'Italia potrebbe essere trascinata dietro le altre potenze europee, specialmente la Francia. Umberto Bossi, capo della Lega Nord, ha dichiarato al giornale Padania: "siamo diventati una colonia francese". Il continuo acconsentire alle richieste di Parigi da parte dell’Italia avrebbe conseguenze molto serie. Bossi ha detto, “non è dicendo sempre di sì che si acquisisce peso internazionale”.

Ma la Lega Nord è attenta a non mettere seriamente a repentaglio il governo. E 'stata rassicurata quando è stato proposto di mettere un limite di tempo di tre o quattro settimane sulla partecipazione dell'Italia alla guerra. Tuttavia, gli altri partner della NATO rifiutano l'imposizione di limitazioni temporali alla guerra.

Il più forte sostegno alla guerra in Libia viene dalla cosiddetta opposizione di centro-sinistra e in generale dai partiti di "sinistra".

Il principale partito di opposizione, il Partito Democratico (PD), proveniente dal Partito Comunista Italiano (PCI), sostiene con entusiasmo la guerra della NATO contro la Libia. Il 23 marzo e il 4 maggio il PD si è pronunciato molto favorevolmente in Parlamento agli attacchi della NATO.

Durante la seduta del 4 maggio, il leader del PD Pier Luigi Bersani ha proposto una mozione che obbliga il governo a "continuare nell’adottare ogni iniziativa necessaria ad assicurare una concreta protezione dei civili". Ciò in seguito al testo della risoluzione Onu che ha dato il via libera alla guerra. Bersani ha detto: "vogliamo capire anche se la maggioranza è in grado di garantire gli impegni?presi". La sua mozione è stata portata a termine con una larga maggioranza, con l'astensione della coalizione di governo.

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ex funzionario di lunga data del PCI, ha giustificato la partecipazione italiana nella guerra, dicendo: "non siamo entrati in guerra. La carta delle nazioni unite prevede un capitolo, il settimo, il quale nell'interesse della pace ritiene che siano da autorizzare anche azioni volte, con le forze armate, a reprimere le violazioni della pace".

Intervistato dal quotidiano Il Manifesto per chiedere spiegazioni su quanto ciò fosse compatibile con l'articolo 11 della costituzione italiana, che vieta la guerra contro altri popoli, Napolitano ha detto che "L’articolo 11 della Costituzione deve essere letto e correttamente interpretato nel suo insieme. Partecipando alle operazioni contro la Libia sulla base della risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, l’Italia non conduce una guerra nè per offendere la dignità di altri popoli, nè per risolvere controversie internazionali”.

Politici come Fausto Bertinotti (Rifondazione Comunista che ha guidato fino al 2006) e Nichi Vendola (Sinistra Ecologia Libertà) hanno dato supporto alla borghesia italiana. Nessuno sa meglio come oscurare i fatti, con la tipica giustificazione "umanitaria" e la "difesa della democrazia" per la guerra, di questi maestri dell'inganno politico.

Fausto Bertinotti ha scritto sul suo sito web che l'opposizione anti-Gheddafi deve essere difesa. "Il pacifismo non è un concetto che è scolpito nella pietra", ha detto, aggiungendo che esso deve essere "flessibile".

Nel mese di febbraio, Nichi Vendola ha approvato gli sforzi del CNT per rovesciare Gheddafi e ha accolto con favore la risoluzione Onu 1973 a marzo. Oggi reclama un cessate il fuoco e l'assistenza umanitaria sotto il controllo dell'Unione europea.

L'UE vuole un intervento in Libia indipendente dalla NATO. Con la missione EUFOR Libia, l'UE è "armata e pronta" in attesa di una richiesta delle Nazioni Unite. La missione si compone di due gruppi di battaglia europea, ciascuno con 1.500 uomini, ed è sotto il comando di un ammiraglio italiano. Il compito della missione EUFOR Libia sarebbe quello di creare con la forza un "corridoio umanitario" nelle aree contese.

Al tempo della guerra in Iraq, Rifondazione Comunista, di cui era membro anche Vendola, si mise a capo del movimento contro la guerra. Nella sola Roma il 15 febbraio 2003 tre milioni di persone manifestarono con lo slogan "No alla guerra, senza se e senza ma". Rifondazione, però, fece in modo che il movimento non potesse minacciare il potere borghese in Italia. Oggi, invece, Rifondazione e il suo successore svolgono un ruolo chiave nella reprimere e disorientare il sentimento anti-bellico.

Gli esperti militari si pongono meno problemi a nascondere la vera natura della guerra in Libia. Andrea Nativi, direttore del giornale militare Rivista Italiana di Difesa, ha dichiarato: "Questa è una guerra e senza morti una guerra non si fa".

Rispondendo alla posizione che le operazioni italiane dovrebbero essere dirette solo contro obiettivi militari specifici, Nativi ha sostenuto una selezione più ampia di obiettivi: "più s'impongono dei caveat più dura una guerra e più dura una guerra più ci sono dei morti. Può sembrare un ragionamento cinico, ma le cose funzionano così".

L'intervento ha già causato pesanti distruzioni in Libia. Ci sono stati lanci di razzi tutti i giorni per sette settimane. I media tacciono su quante persone, civili o militari, sono stati uccisi.

Durante la notte del 10 maggio, la NATO ha di nuovo attaccato la capitale Tripoli e ha scatenato un inferno omicida di tre ore. Secondo la versione ufficiale, la missione della NATO è solo diretta a installazioni militari, al fine di "proteggere i civili libici". Ma obiettivi civili come le stazioni radio e TV e la residenza privata di Gheddafi sono stati attaccati sistematicamente.

Il vero carattere della "missione umanitaria" si vede anche nel destino dei rifugiati. Le loro vite, la loro salute e i loro diritti democratici sono, ovviamente, non ciò che si intende quando si parla di "protezione dei civili".

Molti migranti muoiono in mare aperto nelle pericolose traversate dalla Libia a Lampedusa. Il 9 maggio, è stata trovata una barca alla deriva senza aiuti per sedici giorni. Dei 72 a bordo, secondo un rapporto del Guardian, solo undici sono sopravvissuti al tremendo viaggio, 61 sono morti di fame, sete o di stenti.

 



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