Nell'epoca del trumpismo assistiamo allo sdoganamento di sentimenti di intolleranza nei confronti delle minoranze e, favorendo i vari successi elettorali delle élite populiste, il pubblico sembra rendersi viepiù anestetizzato verso gli ormai quotidiani sfoghi e intemperanze al limite della xenofobia riducendo i freni inibitori della pericolosità del fenomeno.
Ora che Trump è al potere e ha posto il suo veto su tutte le risoluzioni che l'Unesco ha emanato contro Israele, dobbiamo sfruttare i benefici di questa pausa che ci è stata data e cercare di unirci al di sopra delle nostre differenze. Invece di coltivare il liberalismo, proviamo a far crescere quel pluralismo di opinioni che serve come base per un'unione superiore. Dobbiamo mantenere le nostre differenze e costruire la nostra unione al di sopra di esse.
I nazionalisti vogliono un mondo spezzettato, dove conta la potenza, la forza: vogliono avere mano libera per governare con pugno di ferro in casa loro. Chi si oppone a questa visione dovrebbe lottare ancora per un mondo aperto, nel quale possano viaggiare alla pari merci e persone, e nel quale le regole non siano dettate soltanto dagli operatori economici ma anche dagli interessi dei cittadini, attraverso istituzioni transnazionali.
Chi vuole davvero sfasciare l'Europa unita, che è stata sino a ora un grande riferimento politico e culturale dopo la tragedia della seconda guerra mondiale, è solo ed esclusivamente Vladimir Putin. L'asse Putin-Le Pen potrebbe essere quello che metterebbe fine per sempre al sogno europeo.
Molte istituzioni internazionali e paesi come gli Usa sembrano essere accanto al popolo ucraino, ma a oggi il conflitto non sembra cessare, più di 1.6 milioni di persone sono registrate come sfollati all'interno dell'Ucraina e il silenzio su questo conflitto, che ormai dura da anni, regna sovrano. Il 19 Luglio è tuttavia lontano, ma Enjoy the silence dei Depeche Mode è decisamente musica di tutti i giorni.
Dobbiamo fare in modo che il sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma diventi l'occasione per rilanciare il progetto di un'unione federale con un Parlamento europeo forte e con competenze ben definite. Si deve trovare un equilibrio tra l'Unione Europea e gli Stati membri. L'Europa deve prendere decisioni vere su questioni importanti, ma molti altri aspetti devono essere restituiti ai governi nazionali.
L'Unione politica non è la panacea di tutti i mali. È lo spazio comune per fare politica e per esercitare una vera sovranità, capace di rispondere alle minacce di Isis, Putin o Trump, di organizzare l'integrazione e l'assistenza di chi ha diritto a richiederla, di battere i cambiamenti climatici. L'Ue è un progetto da riconquistare.
Non si è fatta attendere la risposta iraniana alle nuove sanzioni da parte degli Stati Uniti all'indomani dei test missilistici iraniani dello scorso gennaio e sul travel ban, con un duro discorso di Khamenei e un intervento televisivo del presidente Rohani. Una risposta dura, che tuttavia non aggiunge molto a quanto già noto sulle posizioni iraniane, e soprattutto non mette di fatto in discussione i risultati finora raggiunti.
La questione sahrawi è da tempo in un cono d'ombra, eppure la controversia diplomatica che vede contrapposti il Regno del Marocco e la Repubblica araba democratica dei Sahrawi, resta cruciale per l'equilibrio della regione.
Grillo e Trump: da posizioni per fortuna non coincidenti - il primo è un ex comico che per ora resta un leader politico d'opposizione, il secondo un ex conduttore televisivo, oltre che costruttore edile e finanziere, eletto presidente della prima potenza globale - entrambi condividono la guerra senza quartiere al sistema dell'informazione, di cui vorrebbero la sottomissione.
Oggi l'impressione è che l'Europa lasci agli Stati quel che è residuo e, soprattutto, che le quote di sovranità nazionale non siano devolute a una entità più ampia che risponda a una più ampia sovranità, ma che - nel processo di transizione - finiscano con l'evaporare, andando a determinare un potere sostanzialmente privo di controllo democratico.
Ahmadreza Djalali sceglie ad aprile 2016 di partecipare anche a un convegno nella sua Tehran. Un errore che paga carissimo: dal 24 di quel mese, data del suo arresto, di Ahmad arrivano in Italia notizie a singhiozzo. Frammenti di verità misti a speculazione del regime. Torture, prigione, minacce, spionaggio. Di Ahmad non si sa più nulla.