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Pd nave senza nocchiero: tra i parlamentari monta la rabbia con Renzi. Boccia: "Si rimandi la direzione". Al Senato Marcucci sotto accusa

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MATTEO RENZI
Agf
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“Ci ha dato buca…”, sbotta in Transatlantico un deputato di maggioranza Pd, mentre legge sullo smartphone il messaggio del capogruppo Ettore Rosato. Dice così: “Considerato lo slittamento in Commissione e per garantire una discussione che tenga conto delle motivazioni della sentenza della Consulta e del dibattito nel partito sulla legge elettorale l’assemblea del gruppo è rinviata a mercoledì 15 al termine dei lavori d’aula”. Salta l’assemblea di domani sera, quella dove la maggioranza dei deputati Dem sognava di poter chiarire con Matteo Renzi lo ‘spiacevole incidente dei vitalizi’. “Ci ha dato buca…”, dice il deputato che preferisce restare anonimo. “A questo punto è meglio rimandare anche la direzione di lunedì”, attacca Francesco Boccia.

E’ solo la punta dell’iceberg del malumore montante verso il segretario. Nel gruppo della Camera ma anche al Senato. A sera una novantina tra deputati e senatori trova sfogo in una riunione a Montecitorio con Dario Franceschini. Della serie: il segretario non viene a Roma e snobba i gruppi, il ministro intanto riunisce i suoi che sono tanti nei gruppi parlamentari. E ripete loro il concetto del premio di coalizione, lasciando intendere che poi, trovato l'accordo su questo, si può anche andare a votare. Formalmente insomma non c'è astio verso Renzi che ancora sogna il voto a giugno. Ma i parlamentari che accorrono alla corte di Franceschini trovano la cornice giusta per sfogarsi. Come trovare un riparo nella tempesta. "Il tema della legge elettorale va affrontato senza strappi", è il concetto che si sente risuonare di più nella riunione.

A Palazzo Madama nel pomeriggio il malcontento tiene banco in una riunione di maggioranza a porte chiuse. Tradotto: una cinquantina di senatori, franceschiniani e renziani. Una di quelle riunioni che diventano automaticamente sedute di psicanalisi per via della fase complicatissima. Malessere e sfarinamento. Spaesamento e rabbia. Il pungiball di tutti è il renziano Andrea Marcucci. A lui tocca incassare le accuse di chi dice che “non si può stare in un gruppo parlamentare per fare solo i figuranti” e chi dice che “il Pd deve uscire dal silenzio: il problema non può essere solo la data del voto”.

Volevano abolire la navetta tra le due Camere, il ping pong delle leggi tra Camera e Senato che la riforma Boschi voleva eliminare, sono rimasti su una nave senza nocchiero. Gli scherzi del destino.

Ma questa è politica. Anche se sembra si giochi a nascondino. Il ‘nocchiero’ non a caso è ancora a Firenze, anche se al Nazareno lo aspettavano oggi. Rimanda. Conferma la direzione nazionale del Pd lunedì prossimo, aperta a parlamentari e segretari locali, così tanta gente che il partito sta cercando una sala da affittare, probabilmente in un hotel di Roma, per ospitare il dibattito. E intanto domani slitta l’assemblea dei deputati. E’ la goccia che fa traboccare il vaso del malumore che cova da una settimana in qua. E cioè dalla sera in cui Renzi decise di mandare un sms a Giovanni Floris per la diretta di ‘Di martedì’: “Per me votare nel 2017 o nel 2018 è lo stesso. L’unica cosa è evitare che scattino i vitalizi perché sarebbe molto ingiusto verso i cittadini, sarebbe assurdo”. Apriti cielo.

All’indomani, nel gruppo alla Camera c’è gente pronta a raccogliere le firme per scrivere una lettera aperta al segretario. L’accusa sui vitalizi non va giù. Il capogruppo Rosato li ferma in corner, convocando appunto un’assemblea per domani sera. Si contava sulla presenza di Renzi. “Ma non c’è e quindi perché tenerla?”, allarga le braccia rassegnata una deputata della maggioranza renziana.

“Ogni giorno ce n'è una nuova! – sbotta Boccia - Se la motivazione, anche comprensibile del rinvio dell'assemblea di gruppo è legata all'attesa delle motivazioni della Consulta, allora diventa inevitabile rinviare anche la direzione. E poi vorrei capire se è stata convocata una direzione oppure un'assemblea larga. In quel caso va tutto bene ma non chiamiamola direzione. A questo punto aspettiamo le motivazioni della consulta e ripartiamo dalle assemblee dei gruppi parlamentari che avranno la responsabilità di decidere sugli effetti di quelle motivazioni. Poi avrà senso riunire la direzione formalmente per fare una discussione definitiva sul percorso da seguire”.

L’accusa sui vitalizi brucia ancora così tanto che se ne discute pure al Senato. “Non possiamo essere noi i primi ad alimentare le campagne di anti-politica”, è il ragionamento esplicitato da alcuni e condiviso da molti. La discussione si fa sempre più accesa. Oltre al renziano Andrea Marcucci, c’è Franco Mirabelli, punto di riferimento di Areadem al Senato, e altri senatori della maggioranza Dem. Non c’è il capogruppo Luigi Zanda che per prassi non partecipa alle riunioni di corrente.

L’aria non è tesa. I giornalisti non ci sono e tutti vogliono vuotare il sacco. I franceschiniani decidono che in direzione lunedì chiederanno al segretario di “uscire dall’immobilismo: recuperiamo il rapporto con il paese e usciamo da un dibattito solo di palazzo”. A Marcucci, luogotenente del renzismo al Senato, tocca fare il Renzi della situazione. Nel senso che gli tocca prendersi le accuse riferite al segretario. Per fortuna – o sfortuna – c’è un incubo che unisce tutti: la manovra lacrime e sangue d’autunno, l’Europa che incombe e “la subalternità italiana che sembra dietro l’angolo”, per dirla alla Marcucci. Anche perché nella seduta di psicanalisi a Palazzo Madama tutti sanno che un assaggio della nuova amara pillola europea verrà testato a breve: con la manovrina aggiuntiva che Padoan sta preparando al Tesoro, condita di aumento delle accise su tabacchi e benzina. Lo spread poi allunga le sue ombre sull’Italia: di nuovo come nel 2011.

Sono questi timori che ancora non fanno naufragare del tutto l’ipotesi del voto a giugno, sulla quale formalmente Renzi ancora scommette pur sapendo che “la strada ormai è stretta”. Ma “non si può parlare solo di data del voto”, ripetono a Marcucci a Palazzo Madama.

Renzi fa arrivare a Roma il messaggio che se non c'è il voto a giugno, allora ci potrebbe essere un congresso da convocare subito, in modo da svolgere le primarie per il segretario prima delle amministrative di primavera. Cioè l'obiettivo sarebbe anticipare la catastrofe annunciata delle tornate locali. Ma nemmeno questa pare una linea definita. La nave sbanda, la tempesta non si placa.