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Legge elettorale, Matteo Orfini "espelle" Angelino Alfano, alleato senza "quid", per andare al voto a giugno

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Anche Matteo Orfini scopre che Angelino Alfano non ha il “quid” dell'alleato futuro: “Siamo al governo con Alfano, ma non penso che il Pd possa essere strutturalmente alleato con una forza che si chiama Nuovo Centrodestra”. Frase ovvia, in altri tempi, che però dopo anni di governo assieme e mesi di #bastaunsi diventa dirompente. Fabrizio Cicchitto, ex capogruppo del Pdl, si precipita alla sede del suo partito: “Qua – dice – si vedono cose da matti. Stanno facendo il congresso del Pd sulla pelle del paese. È ovvio che c’è chi gioca ancora a far saltare il tavolo e andare al voto”. Nella riunione viene deciso che Alfano, a Ballarò, andrà a dire che la posizione di Ncd è che si deve votare nel 2018. Come aveva detto la Lorenzin in un’intervista al Messaggero.

La storia è il classico caso in cui il Palazzo sembra un altro pianeta rispetto al Paese. La pattuglia degli ex berlusconiani in tutti i sondaggi è sotto il tre per cento. La sua dinamica interna si può così riassumere: “Berlusconi non vuole più Alfano, nel senso che non se lo riprenderebbe, Alfano vorrebbe chiudere con Renzi ma Renzi non se lo prende. Dunque proviamo a tirare fino al 2018”. Il baffuto Beppe Esposito, senatore e vicepresidente del Copasir, allarga le braccia: “Ci vogliamo dire la verità? Questa non è più politica. Ci stiamo guardando più la punta delle scarpe che la strada che vogliamo fare”.

Tornando a Orfini e alla sua, diciamo così, espulsione di Alfano come alleato. La sua dichiarazione, che ha per oggetto Ncd, ha per destinatari Franceschini, Delrio, i fautori di una legge elettorale di coalizione che vada da Ncd a Pisapia. Ovvero dal Celeste all’Arancione. Il Celeste è Roberto Formigoni, ex governatore della Lombardia e ora presidente della Commissione Agricoltura di Ncd, riconosciuto colpevole in primo grado (corruzione) per i casi San Raffaele a Maugeri, due tra i maggiori scandali della sanità regionale lombarda dell’epoca berlusconiana. L’Arancione è Pisapia, che vinse a Milano proprio su un modello di opposizione al berlusconismo. Due linee nella war room del Pd, dunque: Orfini e i fautori delle alleanze. E delle larghe intese, perché l’Innominato, ma sempre presente nella trama, è Silvio Berlusconi. Fonti degne di questo nome raccontano che l’uscita di Franceschini è stata preparata e poi seguita da una serie di colloqui con Gianni Letta e anche con qualche segnale a Confalonieri. Perché è chiaro quale è lo scenario che vorrebbe prefigurare. Si va al voto in coalizione poi, dopo il voto, occorre fare un governo in Parlamento e a quel punto si fanno le larghe intese con Berlusconi. Il quale, guarda caso, negli ultimi giorni ha iniziato a parlare benissimo di Franceschini e Calenda. E non solo.

Negli ultimi giorni il Cavaliere ha iniziato anche a lavorare su uno schema nuovo. Quello, appunto, di una lista moderata, repubblicana, che dopo il voto dialoghi con la sinistra. Occhio ai segnali. L’europarlamentare Lara Comi, cattolica, moderata, molto vicina a al presidente del Parlamento europeo Antonio Tajiani, che un giorno sì e l’altro pure critica Salvini e i populisti. Roberto Maroni che in un’intervista al Corriere sostiene che sia ancora Berlusconi a “dare le carte” e che Salvini manda ambasciatori sbagliati. Insomma, non diversamente da molti del centrosinistra, come appunto Franceschini, il Cavaliere, grande protagonista del bipolarismo destra-sinistra della seconda Repubblica, pensa che il nuovo bipolarismo sia tra sistemici e populisti, o sovranisti, comunque li si voglia chiamare. Sussurra un ex ministro: “La sua idea non è una coalizione con Salvini e la Meloni, ma un polo repubblicano, che si presenta come alternativo ma poi fa l’alleanza col Pd”.

E Alfano, strenuo difensore del governo Renzi come lo fu del governo Berlusconi? Lunedì sera Lupi, nel corso di una cena, ha confidato che, a suo giudizio, “Matteo” proverà comunque a forzare: farà un tentativo, fallirà e proverà ad andare al voto con la legge uscita dalla consulta, al massimo con quale aggiustamento tecnico. Tesi di Cicchitto, nel corso della riunione: “Noi ci posizioniamo per la stabilità e il 2018. Se puoi precipita tutto, andremo da soli”. Alfano si è avviato verso Ballarò senza tanta convinzione. Oltre che senza il “quid” dell’alleato.