Sardegna
Sardegna regione a statuto speciale |
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(IT, LIJ) Regione autonoma della Sardegna (SC, SDC, SDN) Regione autònoma de Sardigna (CA) Regió autònoma de Sardenya |
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La Sardegna vista dall'ISS |
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Localizzazione | |||||
Stato | Italia | ||||
Amministrazione | |||||
Capoluogo | Cagliari | ||||
Presidente | Francesco Pigliaru (PD) dal 17/02/2014 | ||||
Lingue ufficiali | italiano e sardo; sassarese, gallurese, catalano e ligure a livello locale | ||||
Data di istituzione | 26 febbraio 1948 | ||||
Territorio | |||||
Coordinate del capoluogo |
40°03′00″N 9°05′00″E / 40.05°N 9.083333°E | ||||
Altitudine | 334 m s.l.m. | ||||
Superficie | 24 100,02[1] km² | ||||
Abitanti | 1 656 003[2] (31-05-2016) | ||||
Densità | 68,71 ab./km² | ||||
Province | 4 + 1 città metropolitana | ||||
Comuni | 377 | ||||
Regioni confinanti | nessuna (isola) | ||||
Altre informazioni | |||||
Fuso orario | UTC+1 | ||||
ISO 3166-2 | IT-88 | ||||
Codice ISTAT | 20 | ||||
Nome abitanti | (IT) Sardo -a pl. Sardi -e (SC) (SDC) Sardu -a (SDN) (CA) Saldu -a (LIJ) Sordu -a |
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Patrono | Sant'Antioco di Sulcis, Nostra Signora di Bonaria | ||||
PIL | (PPA) 33.638 mln € | ||||
PIL procapite | (PPA) 20.071 €[3] | ||||
Cartografia | |||||
La Sardegna e le sue province dopo la L.R. 2/2016 |
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Sito istituzionale |
La Sardegna (AFI: /sarˈdeɲɲa/[4]; Sardìgna o Sardìnnia in sardo[5], Sardhigna in sassarese, Saldigna in gallurese, Saldenya in algherese[6], Sardegna in tabarchino) è la seconda isola più estesa del mar Mediterraneo. La posizione strategica della Sardegna al centro del Mediterraneo occidentale[7][8][9] e la sua ricchezza mineraria ha favorito nell'antichità il suo popolamento e lo svilupparsi di traffici commerciali e scambi culturali tra i suoi abitanti e i popoli rivieraschi.[10]
La Sardegna, insieme con le isole e gli arcipelaghi che la circondano, copre inoltre l'intero territorio amministrativo di una regione italiana a statuto speciale, la cui denominazione completa ed ufficiale è Regione autonoma della Sardegna/Regione autònoma de Sardigna[11]. Amministrativamente è divisa in quattro province, una città metropolitana e 377 comuni, è ritenuta parte dell'Italia insulare ed è in terza posizione per superficie[12], ma in undicesima per popolazione.[13] Lo Statuto Speciale, sancito nella Costituzione del 1948, garantisce l'autonomia amministrativa delle istituzioni locali a tutela delle peculiarità geografiche e linguistiche.
Ricca di montagne[14], boschi, pianure, territori in gran parte disabitati, corsi d'acqua, coste rocciose e lunghe spiagge sabbiose, per la varietà dei suoi ecosistemi l'isola è stata definita metaforicamente come un micro-continente[15]. In epoca moderna molti viaggiatori e scrittori hanno esaltato la sua bellezza, rimasta incontaminata almeno fino all'età contemporanea[16][17], nonché immersa in un paesaggio che ospita le vestigia della civiltà nuragica.[18]
Indice
Geografia fisica[modifica | modifica wikitesto]
La Sardegna ha una superficie complessiva di 24.100 km²[1] ed è per estensione la seconda isola del Mediterraneo[19], dopo la Sicilia, e la terza regione italiana, sempre dopo la Sicilia e il Piemonte[20]. La lunghezza tra i suoi punti più estremi (Punta Falcone a nord e Capo Teulada a sud) è di 270 km[21], mentre 145 sono i km di larghezza (da Capo dell'Argentiera a ovest, a Capo Comino ad est)[21]. Gli abitanti sono 1,66 milioni[2] per una densità demografica di 69 abitanti per km². Dista 188 km (Capo Ferro - Monte Argentario) dalle coste della penisola italiana[22], dalla quale è separata dal mar Tirreno, mentre il Canale di Sardegna la divide dalle coste tunisine del continente africano che si trovano 178 km più a sud (Capo Spartivento - Cap Serrat)[22]. A nord, per 11 km[23], le Bocche di Bonifacio la separano dalla Corsica e il mar di Sardegna, a ovest, dalla penisola iberica e dalle isole Baleari. Si situa tra il 41º ed il 39º parallelo, mentre il 40º la divide quasi a metà.
Geologia[modifica | modifica wikitesto]
La storia geologica della Sardegna iniziò con la cosiddetta fase sarda dell'orogenesi caledoniana all'inizio del Paleozoico[24], in cui si formò il primo nucleo dell'attuale Sulcis[24], per poi emergere completamente, insieme alla Corsica, durante l'orogenesi ercinica (Carbonifero).
Attraverso gli spostamenti e gli scontri tra la grande placca africana, quella eurasiatica e quella nord-atlantica, tra i trentacinque e i tredici milioni di anni fa lungo la costa che attualmente va dalla Catalogna alla Liguria, si creò una profonda frattura da cui circa venti milioni di anni fa, si originò a nord-est il distacco di una micro-placca che comprendeva le attuali Sardegna e Corsica[25].
Le due isole raggiunsero la loro posizione attuale circa sei/sette milioni di anni fa e al fenomeno della migrazione si aggiunse più tardi la tensione di apertura del mar Tirreno[26], che creò conseguentemente la conformazione orientale tra le due isole e la penisola italiana.
Benché nel passato siano stati documentati dei terremoti, la Sardegna è ritenuta una zona non sismica e tutti i comuni che la compongono sono classificati in zona sismica 4.[27][28] Sul suo territorio infatti non passano faglie che possano generare terremoti di rilievo. Gli unici risentimenti macrosismici appartengono a scosse che sono avvenute e potranno avvenire nel Tirreno centrale e meridionale.
Montagne e colline[modifica | modifica wikitesto]
Più dell'80% del territorio è montuoso e collinare[23]. Il 68%[23] è formato da colline e da altopiani rocciosi per un'estensione complessiva di 16.352 km²[29]. Alcuni di questi sono assai caratteristici e vengono chiamati giare o tacchi. L'altimetria media è di 334 m s.l.m[30]. Le montagne costituiscono il 14% del territorio[23] per un'estensione complessiva di 3.287 km²[29].
Culminano nel centro dell'isola i monti di Punta La Marmora, a 1.834 m, Bruncu Spina (1829 m) e Monte Spada (1595 m), situati nel Massiccio del Gennargentu[31], nonché il Monte Albo e il Supramonte che comprende il Monte Corràsi di Oliena (1.463 m). A nord, emergono i Monti di Limbara (1.362 m), i Monti di Alà (1.090 m) e il Monte Rasu (1.259 m). In Ogliastra svettano i tacchi con Punta Seccu alta 1000 m in territorio di Ulassai. A sud il Monte Serpeddì (1.069 m), il Massiccio dei Sette Fratelli, (1.023 m), il Monte Linas (1.236 m) ed i monti dell'Iglesiente e del Sulcis che digradano verso il mare con minori altitudini[32].
Pianure, fiumi e laghi[modifica | modifica wikitesto]
Le zone pianeggianti occupano il 18% del territorio[23] (per 4.451 km²[29]); la pianura più estesa è il Campidano[30] che separa i rilievi centro settentrionali dai monti dell'Iglesiente, mentre la piana della Nurra si trova nella parte nord-occidentale tra Sassari, Alghero e Porto Torres. I fiumi hanno prevalentemente carattere torrentizio[30]: i più importanti sono il Tirso, il Flumendosa, il Coghinas, il Cedrino, il Temo ed il Flumini Mannu[33]. I maggiori sono sbarrati da imponenti dighe che formano ampi laghi artificiali[30] utilizzati principalmente per irrigare i campi, tra questi il bacino del lago Omodeo, il più vasto lago artificiale d'Italia[34]. Seguono poi il bacino del Flumendosa, del Coghinas, del Posada. L'unico lago naturale è il lago di Baratz, situato a nord di Alghero.
Isole e coste[modifica | modifica wikitesto]
Le coste si articolano nei golfi dell'Asinara a nord, di Orosei ad est, di Olbia a nord-est, di Cagliari a sud e di Alghero e Oristano ad ovest. Per complessivi 1.897 km[35], sono alte, rocciose e con piccole insenature che a nord-est diventano profonde e s'incuneano nelle valli (rias).[36]
Litorali bassi e sabbiosi, talvolta paludosi, si trovano nelle zone meridionali e occidentali: sono gli stagni costieri, zone umide importanti dal punto di vista ecologico. La più estesa delle quali è quella dello stagno di Cabras e delle zone paludose adiacenti.[37]
Molte isole ed isolette la circondano e tra queste la più grande è l'isola di Sant'Antioco (109 km²), seguono poi l'Asinara (52 km²[38]), l'isola di San Pietro (50 km²[39]), La Maddalena (20 km²) e Caprera (16 km²). I quattro punti estremi sono: Capo Falcone (a nord), Capo Teulada (a sud), Capo Comino (ad est) e Capo dell'Argentiera (ad ovest)[21].
Clima[modifica | modifica wikitesto]
Il clima mediterraneo è tipico della Sardegna[40]. Lungo le zone costiere, dove risiede la gran parte della popolazione, grazie alla presenza del mare[41] si hanno inverni miti. Le estati sono calde e secche[40], caratterizzate da una notevole ventilazione. Le brezze marine e la costante ventilazione permettono di sopportare le elevate temperature estive che superano normalmente i 30 °C e raggiungono anche i 35 °C[41]. Nelle zone interne pianeggianti e collinari il clima, a causa della maggior lontananza dal mare, si registrano temperature invernali più basse ed estive più alte[41] rispetto alle aree costiere. Il clima è nel complesso abbastanza mite, ma durante l'arco dell'anno si possono avere valori minimi invernali di alcuni gradi al di sotto dello zero[42] e massimi estivi anche superiori ai +40 °C[43].
Sui massicci montuosi nei mesi invernali nevica frequentemente e le temperature scendono sotto lo zero, mentre nella stagione estiva il clima si mantiene fresco e raramente fa caldo per molti giorni consecutivi. La Sardegna inoltre è una regione molto ventosa; i venti dominanti sono il Maestrale ed il Ponente[44].
Ambiente naturale[modifica | modifica wikitesto]
Il paesaggio naturale della Sardegna alterna profili montuosi dalla morfologia complessa a macchie e foreste, stagni e lagune a torrenti tumultuosi che formano gole e cascate, lunghe spiagge sabbiose a scogliere frastagliate e falesie a strapiombo[45]. Le formazioni calcaree costituiscono il 10% della sua superficie e sono frequenti i fenomeni carsici nei settori centro-orientale e sud-occidentale, con la formazione di grotte, voragini, doline, laghi sotterranei, sorgenti carsiche, come quelle di Su Gologone di Oliena e di Su Marmuri di Ulassai. Notevoli sono le formazioni rocciose granitiche, caratterizzate da guglie frastagliate modellate dall'erosione degli agenti atmosferici, creando delle singolari sculture sparse su tutta l'isola, come l'Orso di Palau, l'Elefante di Castelsardo, il Fungo di Arzachena e sa Conca a Nuoro nel Monte Ortobene[46].
Sono sotto tutela come parchi naturali alcuni dei più importanti tratti della costa e ampi territori dell'interno. Questo patrimonio naturale si integra con quello storico e culturale, rappresentato dagli antichi siti d'interesse archeologico e dai resti dei più recenti complessi dell'attività mineraria. La Regione Autonoma per conservare e valorizzare questo patrimonio unico, ha definito con la legge n. 31 del 7 giugno 1989 le aree protette sottoposte a tutela. Complessivamente si contano: 2 parchi nazionali, 2 parchi regionali, 60 riserve naturali, 19 monumenti naturali, 16 aree di rilevante interesse naturalistico, 5 oasi del WWF[47]. Dal 1985 la Sardegna è dotata di un corpo forestale proprio, denominato Corpo Forestale e di Vigilanza Ambientale della Regione Sardegna.
Fauna terrestre[modifica | modifica wikitesto]
Il patrimonio faunistico annovera diversi esempi di specie di grande interesse. La fauna dei Vertebrati superiori mostra analogie e differenziazioni rispetto a quella del continente europeo: le analogie si devono alla migrazione nel corso delle glaciazioni oppure all'introduzione da parte dell'uomo nel Neolitico o in epoche più recenti, mentre le differenziazioni si devono al lungo isolamento geografico che ha originato neo-endemismi a livello di sottospecie o, più raramente, di specie.[48]
Le popolazioni dei grandi mammiferi erbivori (Cervidi e Muflone) hanno subito una drastica contrazione, arrivando a vere e proprie emergenze fino agli settanta, ma negli ultimi decenni hanno ripreso una sensibile crescita grazie alle azioni di tutela. Il Cinghiale sardo, invece, è ampiamente diffuso, così pure diverse specie di Roditori e Lagomorfi. I predatori più grandi sono la comune volpe sarda e il raro gatto selvatico sardo, ai quali si affiancano i piccoli carnivori come i Mustelidi. Tra i mammiferi, a parte la capra sarda, razza caprina, particolare curiosità desta una variante dell'asino domestico, ossia l'asinello bianco, presente solo sull'isola dell'Asinara (se ne contano circa 90 esemplari), ma anche il caratteristico Cavallino della Giara (Equus caballus Giarae), una specie di cavallo endemica[49], di origine incerta o molto probabilmente importati dai naviganti Fenici o Greci nel V-IV secolo a.C..
L'interesse per l'avifauna si articola in tre contesti: i rapaci, l'avifauna delle aree umide e quella delle scogliere. I rapaci sono rappresentati da quasi tutte le specie europee, fra le quali ci sono alcune sottospecie endemiche; si sono estinte due specie di avvoltoi e sopravvivono solo nei territori di Bosa e Alghero alcune colonie di grifoni. L'avifauna delle zone umide vanta un lungo elenco di specie, molte minacciate dalla forte contrazione dell'habitat. L'elevato numero di stagni costieri e lagune (circa 12.000 ettari, pari al 10% del patrimonio italiano) fa sì che questa regione annoveri ben otto siti di Ramsar (secondo posto in Italia, dopo l'Emilia-Romagna). Il simbolo di questa fauna è il fenicottero maggiore, che in alcuni stagni forma colonie di migliaia di esemplari.
Questa specie, storicamente svernante negli stagni sardi, da diversi anni è anche nidificante[50]. Dei 1.897 km di coste, il 76% è costituito da scogliere e da un grande numero di isole e scogli. È questo il regno degli uccelli marini, che possono formare colonie di migliaia di individui. Fra le specie di maggiore interesse c'è il rarissimo gabbiano corso. Ci sono, infine, 4 sottospecie endemiche di uccelli che sono il fringuello (f.c. sarda), il Picchio rosso maggiore (d. m. ssp. harterti), la cinciallegra (P. m. ssp. ecki) e la ghiandaia (g.g. ssp ichnusae). I vertebrati terrestri minori comprendono rettili ed anfibi fra i quali si annoverano molti importanti endemismi tirrenici, sardo-corsi o sardi; di questi, alcuni hanno una marcata ed esclusiva localizzazione geografica.
Flora terrestre[modifica | modifica wikitesto]
Pur derivando da un substrato comune mediterraneo, la flora in Sardegna è caratterizzata da specificità ed endemismi. Le zone fitoclimatiche presenti si limitano al Lauretum e alla sottozona calda del Castanetum, quest'ultima limitata alle aree interne e montuose più fredde: la vegetazione boschiva è, perciò, rappresentata in gran parte da macchia mediterranea e foresta sempreverde e solo oltre i 1.000 metri è significativa la frequenza delle specie caducifoglie del Castanetum.[51]
L'essenza prevalente è il leccio, accompagnato e in parte sostituito dalla roverella nelle stazioni più fredde e dalla sughera in quelle più calde. Nelle stazioni fredde persistono, inoltre, relitti di un'antica flora del Cenozoico (tasso, agrifoglio, acero trilobo). Sulla sommità dei rilievi metamorfici del Paleozoico, a 1.000-1900 metri, si sviluppano steppe e garighe assimilabili alla flora alpina che, nelle altre regioni, occupa quote di 2.500-3.500 metri. La copertura boschiva è ciò che resta di intensi disboscamenti che hanno raggiunto il suo culmine nella seconda metà del XIX secolo.[52]
Il passaggio di vasti territori dalla Cassa Ademprivile al Demanio dello Stato e, in seguito, all'ex A.F.D.R.S. ha permesso la salvaguardia e la lenta ricostituzione del patrimonio boschivo residuo, nonostante la minaccia annuale degli incendi. Il grave degrado di vaste aree espone l'isola alla desertificazione, ma il patrimonio boschivo vanta alcune peculiarità, come la macchia-foresta del Sulcis, ritenuta la più vasta d'Europa, e la Foresta demaniale di Montes, una delle ultime leccete primarie del Mediterraneo. L'opera di tutela e recupero del patrimonio residuo pone la Sardegna come la regione italiana con maggiore superficie forestale, con 1.213.250 ettari di boschi (secondo i dati dell'Inventario nazionale foreste e carbonio del Corpo forestale dello Stato, pubblicati nel maggio 2007).[53]
Di grande interesse botanico, per gli endemismi e le rarità, sono anche le associazioni floristiche minori che popolano gli stagni costieri, i litorali sabbiosi e le scogliere.
Flora e fauna acquatiche[modifica | modifica wikitesto]
I paesaggi sommersi sono complessi e ricchi di colori e di varietà di pesci, spugne e coralli e sono caratterizzati dalla straordinaria limpidezza dell'acqua[54]; questa limpidezza favorisce il prosperare di numerose colonie di posidonia.[55]. Il segno inequivocabile della presenza delle praterie di posidonia è la presenza di mucchi di alghe che talvolta si trovano abbondanti sulle spiagge[56]. Un cenno particolare va fatto alla foca monaca: a lungo perseguitata dai pescatori e disturbata dai vacanzieri, è una specie a forte rischio d'estinzione[57]: l'ultima riproduzione documentata risale agli inizi degli anni ottanta.[58]
Endemismi[modifica | modifica wikitesto]
L'ambiente naturale sardo è caratterizzato da un elevato numero di endemismi. Alcuni di questi sono paleoendemismi, ossia relitti della fauna e della flora ancestrale risalente al Cenozoico prima del distacco della placca sardo-corsa dal continente europeo; queste specie, veri e propri fossili viventi, si sono anticamente estinte nelle terre continentali mentre sono sopravvissute in condizioni particolari in Sardegna.
La maggior parte delle specie endemiche sono invece neoendemismi, prodotti da un'evoluzione differenziale a partire dal Neozoico o da epoche più recenti, grazie all'isolamento geografico. Gli endemismi botanici accertati sono oltre 220 e rappresentano circa il 10% di tutta la flora sarda. Alcuni di questi sono delle vere rarità anche per il basso numero di esemplari e per la limitatissima estensione dell'areale, in alcuni casi ridotto a pochi ettari.
Nel 2002 nelle grotte del Gennargentu è stata scoperta la specie Plecotus sardus, una specie endemica di pipistrello[59], mentre nel 2014 è stata annunciata la scoperta dell' Amblyocarenum nuragicus, un ragno endemico dell'isola[60].
Grotte naturali[modifica | modifica wikitesto]
Le rocce della Sardegna sono ritenute tra le più antiche d'Italia.[61] Le formazioni carsiche coprono un'area abbastanza ristretta in rapporto a quelle granitiche o metallifere e costituiscono il 6% della superficie totale, ossia 1500 km².
Le formazioni geologiche più antiche risalgono al Paleozoico, ma altre formazioni sono apparse in periodi successivi, nel Mesozoico, nel Terziario e nel Quaternario, contribuendo alla creazione di una rimarchevole varietà di formazioni rocciose.
Molte grotte sono state scoperte per azzardo da archeologi alla ricerca di manufatti appartenuti alle antiche civiltà o da geologi alla ricerca di falde acquifere per migliorare l'approvvigionamento idrico o da minatori durante lavori in miniera.
Il patrimonio speleologico sardo comprende più di 1500 grotte[62]. L'area del Supramonte è quella più ricca, insieme alla zona del Sulcis-Iglesiente e al promontorio di Capo Caccia. Tra quelle sommerse, la Grotta di Nereo è ritenuta la più vasta in tutto il Mediterraneo. Le grotte litoranee più conosciute sono le Grotte di Nettuno ad Alghero e le grotte del Bue Marino a Cala Gonone. Fra quelle terrestri, alcune di rilievo sono quelle di Sa Oche-Su Bentu a Oliena, Is Zuddas a Santadi, Su Mannau a Fluminimaggiore, la grotta di Su Marmuri ad Ulassai, quella di Ispinigoli[63] presso Dorgali, di San Giovanni presso Domusnovas e la grotta di Santa Maria nel Sulcis.[64]
Storia[modifica | modifica wikitesto]
«La Sardegna è una delle terre mediterranee, in cui la geografia ha più duramente e direttamente inciso sugli eventi della sua storia»: a cominciare dai primi elementi che sono l'insularità e la sua posizione nel Mediterraneo, al centro di «vicende antichissime, di flussi ininterrotti di civiltà, eppure così defilata rispetto agli approdi finali di questi larghi ed intricati sommovimenti».[65] Dall'insularità dipende non tanto il suo isolamento, quanto il modo in cui gli influssi esterni hanno operato nei diversi territori dell'isola.[66] L'insularità è una forza permanente e decisiva del passato sardo, ma insieme a questa c'è la montagna responsabile, se non più del mare, dell'isolamento delle popolazioni[67]. Secondo Maurice Le Lannou è la morfologia stessa dell'isola che ha generato il suo carattere arcaico e totalmente auctotono.[68]
Di seguito sono evidenziati tre periodi - fra i tanti della storia della Sardegna - che maggiormente hanno segnato l'Isola:
- il periodo nuragico;
- quello giudicale;
- quello del Regno di Sardegna.
Sardegna nuragica[modifica | modifica wikitesto]
Circa settemila nuraghi[69], mediamente uno ogni 3 km², centinaia di villaggi e tombe megalitiche sono la testimonianza di una singolare civiltà che si è sviluppata nell'isola a partire dal II millennio a.C. Il nuraghe[70] era il centro della vita sociale degli antichi Sardi, ma, oltre alle torri, altre strutture caratterizzarono la loro cultura, come le tombe dei giganti[71] e i pozzi sacri[69] dalla raffinata tecnica costruttiva; un altro simbolo di questa civiltà sono i bronzetti[72], arrivati numerosi fino ai giorni nostri.
I Nuragici erano un popolo di guerrieri e navigatori, di pastori e di contadini, suddiviso in tante tribù[70] che abitavano nei cosiddetti "cantoni"[69]. Commerciavano con i Micenei e i Minoici, con i popoli Iberici, i Fenici e gli Etruschi, lungo rotte che attraversavano il mar Mediterraneo dalla Spagna al Libano.
Sardegna giudicale[modifica | modifica wikitesto]
Altro periodo storico singolare nel contesto mediterraneo fu quello giudicale, quando a partire dal IX secolo le istituzioni locali si riformarono, rendendosi autonome da Bisanzio; ebbe così inizio il periodo dei giudicati, una forma originale di governo che durò per i successivi seicento anni[73].
Nell'isola probabilmente si formò in origine un'unica entità statuale autonoma nella sostanza, su cui Bisanzio esercitava una autorità solo nominale. Solo dopo il tentativo di conquista musulmana da parte di Mujāhid al-ʿĀmirī, sventato dai Sardi per terra e dalle flotte di Pisa e Genova per mare[74], si formarono i quattro regni indipendenti di Torres, di Gallura, di Arborea e di Calari che diedero vita ad una efficace organizzazione politica ed amministrativa caratterizzata da elementi di modernità rispetto ai regni coevi continentali. Il territorio era diviso in curatorie[75] che, secondo alcuni studiosi, ricalcavano i confini degli antichi cantoni nuragici.
Grazie all'abbondanza di risorse naturali, prosperarono nuovamente l'agricoltura e la pastorizia; i commerci ebbero nuovo impulso e così le arti, come l'architettura in stile romanico pisano. Si sviluppò, inoltre, un sistema giuridico locale il cui apice fu raggiunto con la promulgazione della Carta de Logu arborense nel XIV secolo «considerata una delle più importanti Costituzioni di princìpi del Medioevo»[76].
Tuttavia le ingerenze fra gli stessi Giudicati delle repubbliche marinare, in particolare di Pisa, si erano fatte col passare dei secoli sempre più insistenti e, al volgere del XIII secolo, solo il regno giudicale di Arborea era riuscito a mantenere la propria indipendenza e sovranità.
Regno di Sardegna[modifica | modifica wikitesto]
Il Regno di Sardegna fu istituito nel 1297 da papa Bonifacio VIII in ottemperanza al trattato di Anagni del 24 giugno 1295; venne istituito per risolvere la crisi politica e diplomatica sorta tra la Corona d'Aragona e il ducato d'Angiò a seguito della Guerra del Vespro per il controllo della Sicilia. L'atto di infeudazione, datato 5 aprile 1297, affermava che il regno apparteneva alla Chiesa e veniva dato in perpetuo ai re della Corona di Aragona in cambio di un giuramento di vassallaggio e del pagamento di un censo annuo.
Fu conquistato territorialmente a partire dal 1324 con la guerra mossa dagli aragonesi, in alleanza con i sardi arborensi, contro i pisani. La conquista fu successivamente a lungo contrastata dalla resistenza sull'isola dello stesso regno di Arborea e poté considerarsi parzialmente conclusa solo nel 1420, con l'acquisto dei rimanenti territori dall'ultimo Giudice per centomila fiorini d'oro[77].
Le istituzioni del Regno (aventi sede a Cagliari, la capitale[78]), oltre al Vicerè, di nomina reale, erano le Cortes e la Real Udiencia: le Cortes erano un parlamento pattizio, in cui erano rappresentate le città regie, la chiesa e la nobiltà feudale[79]; la Real Udiencia, istituita nel 1564, era il supremo tribunale del Regno, da cui deriva l'attuale Corte d'appello e, in assenza del Vicerè, ne assumeva i compiti di governo[80].
Con l'acuirsi delle scorrerie dei pirati saraceni, a partire dal XVI secolo fu impiantato un efficiente sistema di difesa con numerose torri litoranee e le piazzeforti di Alghero e Cagliari mentre nel XVII secolo furono fondate le due Università di Sassari e Cagliari[81].
Il Regno di Sardegna fece parte della Corona di Aragona fino al 1713 (anche dopo il matrimonio di Ferdinando II con Isabella di Castiglia, allorquando l'Aragona si legò prima alla Castiglia, e poi dal 1516, in epoca già asburgica, anche alle altre entità statuali da loro governate) quando subito dopo la guerra di successione spagnola, entrò a far parte dei domini degli Asburgo d'Austria; nel 1720 con il trattato dell'Aia la Sardegna venne ceduta, dopo la breve riconquista da parte della Spagna, a Vittorio Amedeo II, al tempo duca di Savoia. In cambio, all'Austria fu assegnata la Sicilia.
Nel 1847, con la cosiddetta Fusione perfetta, tutti i possedimenti della Casa Reale sabauda confluirono nel Regno; per mezzo di tale controverso atto giuridico scomparvero conseguentemente le ultime vestigia statuali acquisite in periodo iberico (carica vicereale, parlamento degli Stamenti[82], suprema corte della Reale Udienza). L'isola divenne così, nell'interpretazione che ne ha dato il Casula[82], una regione di uno Stato più ampio, dalla configurazione non più composta come lo era stato dopo il 1720, bensì unitaria. La residuale denominazione "Regno di Sardegna" venne mantenuta ancora per anni finché, una volta raggiunta l'unificazione politica della penisola italiana, mutò nome nel nuovo Regno d'Italia[83]. Purtuttavia, l'inno del regno sabaudo rimase, fino all'instaurazione della repubblica italiana, s'hymnu sardu nationale (l'inno nazionale sardo), affiancato alla Marcia Reale[84].
Onorificenze[modifica | modifica wikitesto]
Attestato e medaglia di bronzo dorata di eccellenza di I classe di pubblica benemerenza del Dipartimento della Protezione civile | |
«Per la partecipazione all'evento sismico del 6 aprile 2009 in Abruzzo, in ragione dello straordinario contributo reso con l'impiego di risorse umane e strumentali per il superamento dell'emergenza.» — D.P.C.M. 11 ottobre 2010, ai sensi dell'art.5, comma 5, del D.P.C.M. 19 dicembre 2008. |
Toponimo[modifica | modifica wikitesto]
Ben conosciuta nell'antichità sia dai Fenici che dai Greci, fu da questi ultimi chiamata Ichnussa (in greco Ιχνούσσα) o Sandàlion (Σανδάλιον) per la somiglianza della conformazione costiera all'impronta di un piede (sandalo)[85]. Sempre i Greci la chiamarono anche Argyróphleps Nèsos (Αργυρόφλεψ Νήσος) ossia l'isola dalle vene d'argento per l'abbondanza nelle sue miniere di quel metallo[86] Per loro la Sardegna era l'isola più grande di tutto il mar Mediterraneo e tale rimase nella conoscenza degli antichi navigatori per lungo tempo, in quanto la lunghezza delle coste sarde (1.232 km escluse le isole) è effettivamente maggiore di quelle siciliane o cretesi.
Secondo recenti studi linguistici, l'appellativo latino Sardinia deriverebbe da un'altra denominazione greca conosciuta come Sardò, Σαρδώ (con l'accento sulla ω - òmega - ossia la o, come i nomi in lingua sardiana di Buddusò e Gonnosnò), nome di una leggendaria donna della quale si ha notizia nel Timeo di Platone e le cui origini venivano da Sàrdeis, Σάρδεις, capitale della Lidia, luogo dal quale Erodoto farà provenire sia le genti etrusche che quelle sarde[87].
Sallustio nel I secolo d.C. sosteneva che: «Sardus, generato da Ercole, insieme ad una grande moltitudine di uomini partito dalla Libia occupò la Sardegna e dal suo nome denominò l'isola», e Pausania nel II secolo d.C. confermava quanto detto da Sallustio aggiungendo che: «Sardo venne dalla Libia con un gruppo di coloni ed occupò l'Isola il cui antico nome, Ichnusa, mutò in Sardò (...)»[88]. In una stele in pietra risalente all'VIII / IX secolo a.C. ritrovata nell'odierna Pula, centro comunale comprendente l'antica città di Nora, appare scritto in fenicio la parola b-šrdn che significa in Sardegna, a testimonianza che tale toponimo era già presente sull'Isola all'arrivo dei mercanti fenici[89].
Stemma, bandiera e inno[modifica | modifica wikitesto]
Il Decreto del presidente della Repubblica del 5 luglio 1952 concede alla Regione autonoma la possibilità di fregiarsi di uno stemma e di un gonfalone. La legge regionale 15 aprile 1999, n. 10 stabilisce all'Art. 1: La Regione adotta quale sua bandiera quella tradizionale della Sardegna: campo bianco crociato di rosso con in ciascun quarto una testa di moro bendata sulla fronte rivolta in direzione opposta all'inferitura. Di origine incerta, l'emblema dei quattro mori rappresenta un forte elemento identitario ed il suo uso è documentato costantemente a partire dalla costituzione del regno di Sardegna e Corsica (1324) fino alla nascita della Regione Autonoma.
Nelle varie epoche storiche, lo stemma è stato rappresentato con diverse varianti: la forma grafica attuale riproduce quella consolidatasi nel secolo XVIII ai fini istituzionali.[90] Nel luglio 2012 è stata presentata in Consiglio regionale una proposta di legge che prevede il riconoscimento del canto "Su patriotu sardu a sos feudatarios", composto nel 1794, quale inno ufficiale della Sardegna[91]; noto popolarmente con il nome di Procurade de moderare, barones, sa tirannia, il testo fu scritto dal magistrato Francesco Ignazio Mannu in un periodo di fermento politico nutrito degli ideali democratici francesi e contrassegnato da un rinnovato sentimento patriottico, di cui fa fede la data istituzionalizzata del 28 aprile che, conosciuta come Sa die de sa Sardigna, rammenta la ribellione popolare antipiemontese contro i soprusi baronali[92].
Cultura[modifica | modifica wikitesto]
Attraverso un lungo ed elaborato percorso storico, alle iniziali culture indigene si aggregarono molteplici apporti di civiltà provenienti dal mondo mediterraneo, contribuendo a formare un'eterogeneità culturale dai tratti fortemente originali. L'archeologia ha evidenziato chiaramente questa lunga evoluzione, ritrovandone tracce nel variare dell'architettura delle costruzioni attraverso i secoli, ma questo lungo cammino si riscontra anche nelle tradizioni legate intimamente all'arte delle produzioni artigianali,[93] alle variegate espressioni musicali, alle regole interne del mondo agro-pastorale e alla cultura sarda in generale.
I ritrovamenti e le preziose testimonianze del passato sono raccolte e custodite in numerosi musei e nei parchi archeologici sparsi sul territorio. Da diversi anni è in vigore una legge emanata dalla Regione autonoma della Sardegna che ha dato nuovo impulso alla riorganizzazione dei luoghi preposti alla custodia delle testimonianze del passato. Oltre ai musei, alle biblioteche ed agli archivi storici, sono stati riorganizzati anche i parchi archeologici e gli ecomusei, espressione viva della memoria storica del territorio.[94]
Lingua protosarda[modifica | modifica wikitesto]
Secondo alcune interpretazioni, gli antichi Sardi del periodo prenuragico e nuragico conservarono senza rilevanti alterazioni lingua e costumi pre-indoeuropei dell'Europa Antica. In base ad alcune teorie, la lingua sardiana o protosarda sarebbe stata affine a quella etrusca[95][96], mentre secondo altre lo sarebbe stata con quelle basco-iberiche; un'altra ipotesi ancora suppone che nell'isola fossero presenti popolazioni contraddistinte sia da parlate indoeuropee che pre-indoeuropee[97].
Lingue dall'antichità all'età moderna[modifica | modifica wikitesto]
Le prime testimonianze scritte in Sardegna risalgono al periodo fenicio-punico con documenti come la Stele di Nora, mentre la successiva provincia romana della Sardegna e Corsica ebbe ovviamente come lingua ufficiale il latino. Questo sarà soppiantato nell'uso ufficiale solo dal greco bizantino durante l'Esarcato d'Italia, ma ritornò in auge nella variante medievale come lingua colta, affiancando il sardo usato per vari documenti ufficiali come condaghe e Carta de Logu.[98]. Altri documenti furono redatti in più lingue, come gli Statuti Sassaresi, in latino e sardo, o in toscano, come il Breve di Villa di Chiesa a Iglesias. L'istituzione del Regno di Sardegna porterà all'utilizzo prima del catalano e poi dello spagnolo, che resterà lingua ufficiale fino a metà Settecento, sostituito dalle riforme di Giovanni Battista Lorenzo Bogino con l'italiano, introdotto per la prima volta nell'isola con un atto potestativo nel mese di luglio del 1760[99][100], e tuttora in uso.
Lingue attuali e dialetti[modifica | modifica wikitesto]
In Sardegna si parlano oggi diverse lingue romanze: sulla base dei dati ISTAT del 2006, l'italiano, correntemente espresso dalla gran parte dei locutori nella sua variante regionale, è la lingua più diffusa nell'isola, parlata abitualmente dal 52,5% della popolazione in ambito familiare[101]. Segue il sardo, ritenuto, subito dopo l'italiano,[102] la più conservativa tra le lingue romanze.[103] Secondo i dati ISTAT del 2006, il 29,3% della popolazione sarda alterna italiano e sardo in ambito familiare, mentre il 16,6% parla prevalentemente il sardo o altre parlate linguisticamente non italiane[101]. La lingua sarda, diffusa in larga parte dell'isola,[104][105] è ripartita da una parte dei glottologi[106] in due varianti fondamentali:
- nel cosiddetto "capo di sopra" il sardo logudorese (sardu logudoresu) è la variante rimasta più simile al latino in desinenze e pronuncia e generalmente considerata quella di maggior prestigio letterario; in essa furono scritte molte poesie e componimenti come, per esempio, l'inno del Regno sabaudo, No potho reposare e l'inno patriottico Procurad'e moderare, barones, sa tirannia. Nel logudorese viene generalmente compresa come sottovarietà la variante nuorese e barbaricina (sardu nugoresu e sardu barbaritzinu), che si caratterizza per una ancor maggiore conservazione e fedeltà al latino ma con frequenti elementi arcaici del sostrato preindoeuropeo. Nella regione del Guilcer sono diffuse parlate di transizione col campidanese, a cui si sono ispirati gli studiosi che hanno elaborato la variante scritta della Limba Sarda Comuna, adottata dalla Regione nel 2006;
- nel cosiddetto "capo di sotto" il sardo campidanese (sardu campidanesu) presenta vocaboli di matrice fenicio-punica oltre che nuragica, ed è parlato nell'intero meridione isolano, costituendone anche la variante più diffusa; nell'Ogliastra la parlata ha una matrice campidanese arcaica, con molti vocaboli barbaricini.
Altri linguisti[107] teorizzano, invece, la sostanziale omogeneità del sistema linguistico sardo, anche tenendo conto dell'oggettiva impossibilità nel tracciare un confine netto tra i sistemi dialettali per via dell'esistenza di numerose parlate con caratteri mediani (es. arborense, barbaricino meridionale, ogliastrino etc.).
Il sardo è stato utilizzato in diverse epoche come lingua istituzionale; tra i documenti più importanti vi sono i condaghi, gli Statuti Sassaresi e la Carta de Logu. Con l'approvazione della legge 482 del 1999, il sardo e il catalano sono stati riconosciuti e tutelati a livello statale come minoranze linguistiche storiche, mentre la tutela di sassarese, gallurese e tabarchino è riconosciuta dalla legge regionale 26 del 1997. Nell'ambito delle iniziative per la lingua sarda, la Regione ha avviato dei progetti denominati LSU (Limba Sarda Unificada) e LSC (Limba Sarda Comuna) al fine di definire e normalizzare trascrizione e grammatica di una lingua unificata che comprenda le caratteristiche comuni di tutte le varianti. Nell'aprile del 2006 la Limba Sarda Comuna è diventata lingua ufficiale per le comunicazioni in sardo dell'amministrazione regionale. Nel 2012 la giunta Cappellacci[11] introduce la dicitura «Regione Autònoma de Sardigna» in sardo, con la stessa evidenza grafica dell'italiano, nei documenti, nello stemma della Regione e in tutte le produzioni grafiche legate alla propria comunicazione istituzionale[108].
Accanto alla lingua sarda propriamente detta, nel nord dell'isola sono parlati due idiomi romanzi di derivazione corso-toscana:
- nella regione nord-occidentale dell'isola, il sassarese (sassaresu) è parlato a Sassari e con piccole variazioni nella Nurra, Romangia e Anglona. È un idioma nato in tardo periodo medievale dalla commistione fra corso, pisano, ligure e la successiva forte influenza del sardo logudorese;
- nella regione nord-orientale dell'isola, la Gallura, è parlato il gallurese (gadduresu /gaɖːu'rezu/) che si avvicina particolarmente al dialetto parlato nella Corsica del Sud, frutto e testimonianza dei contatti fra le due isole e delle migrazioni nello Stretto di Bonifacio avvenute dalla preistoria fin quasi ai giorni nostri ed in particolare dal medioevo al XVIII secolo.
Vi sono infine delle isole linguistiche, presenti nel versante occidentale dell'isola:
- nella città di Alghero dal XIV secolo è parlata una variante arcaica del catalano orientale, l'algherese (alguerès), che risulta lingua co-ufficiale nel Comune;
- nel Sulcis, nell'isola di San Pietro (Carloforte) e nella parte settentrionale dell'isola di Sant'Antioco (Calasetta) è parlato un dialetto ligure coloniale, denominato tabarchino (tabarchin) perché portatovi dagli immigrati di origine ligure (Pegli) esiliati dall'isola di Tabarka in Tunisia nel XVIII secolo;
- costituiscono poi testimonianza delle locali migrazioni i casi di Arborea e Tanca Marchese, dov'è anche parlato il veneto dei coloni ivi giunti per le bonifiche del fascismo, e della frazione di Fertilia, che ospita nuclei di origine ferrarese ed esuli istriani giunti nel dopoguerra.
Archeologia[modifica | modifica wikitesto]
I primi insediamenti preistorici della Sardegna risalgono al Paleolitico Inferiore (450.000-150.000 a.C.) secondo gli archeologi che nel 1979-1980 scoprirono un'industria litica presso il rio Altana a Perfugas, in Anglona[109][110].
Nel IV millennio a.C. si sviluppò la prima espressione culturale di cui si trovano tracce in tutta l'isola, la Cultura di Ozieri[111]. I ritrovamenti archeologici conservati nei più importanti musei isolani hanno messo in risalto quale progresso sociale e culturale conseguirono le popolazioni preistoriche sarde.
Le testimonianze archeologiche della civiltà nuragica sono innumerevoli. Frammentata in cantoni e al centro di intensi scambi commerciali con i popoli che abitavano le coste del Mediterraneo, ha lasciato sull'isola importanti e numerose vestigia. I Fenici frequentarono assiduamente la Sardegna introducendovi le prime forme di urbanesimo[112]. Cartagine e Roma se la contesero lasciandovi tracce indelebili.
Sin dalla nascita dell'archeologia il territorio sardo fu ritenuto di grande interesse per i primi ricercatori. Nel XIX secolo il canonico Giovanni Spano diede inizio all'esplorazione dei maggiori siti, descrivendo poi le sue scoperte nel Bullettino archeologico sardo. Nei primi anni del XX secolo, l'archeologo Antonio Taramelli intraprese una serie di scavi nel sud dell'isola e la sua attività di recupero ed individuazione di nuovi siti continuò per circa trent'anni. Nel dopoguerra Giovanni Lilliu portò alla luce il villaggio nuragico di Su Nuraxi a Barumini, concorrendo ad aprire nuove prospettive e conoscenze sulla storia degli antichi Sardi[113].
A inizio XXI secolo sono in corso su tutto il territorio ulteriori e numerose campagne di scavi, che potrebbero fornire nuove testimonianze storiche sui periodi meno conosciuti[113].
Architettura[modifica | modifica wikitesto]
Dell'architettura preistorica in Sardegna sono presenti numerose testimonianze come le domus de janas (tombe ipogeiche), le tombe dei giganti, i circoli megalitici, menhir, dolmen e templi a pozzo[114]; tuttavia, l'elemento che più di ogni altro caratterizza il paesaggio preistorico sardo sono i nuraghi[115]., che si trovano numerosi e in varie tipologie. Numerose sono anche le tracce lasciate dai Fenici che introdussero sulle coste nuove forme urbane.
I Romani diedero un assetto organizzativo all'intera isola con la strutturazione di diverse città e la realizzazione di numerose infrastrutture di cui sono rimasti i resti, come il Palazzo di Re Barbaro a Porto Torres o l'anfiteatro romano di Cagliari. Anche dell'epoca protocristiana e bizantina rimangono diverse testimonianze in tutto il territorio sia sulle coste che all'interno, soprattutto legate ad edifici di culto.
Un particolare sviluppo ebbe nel periodo giudicale l'architettura romanica. A partire dal 1063 i judikes, attraverso cospicue donazioni, avevano favorito l'arrivo nell'isola di monaci di diversi ordini da varie regioni della penisola italiana e della Francia. Queste circostanze portarono ad operare nell'isola maestranze di diversa provenienza: pisani, lombardi e provenzali, ma anche di cultura araba, provenienti dalla penisola iberica, dando luogo a manifestazioni artistiche inedite, caratterizzate dalla fusione di queste esperienze.
Il caposaldo nell'evoluzione delle forme architettoniche è stata la basilica di San Gavino a Porto Torres[116]. Fra gli esempi più rilevanti si possono citare le cattedrali di Sant'Antioco di Bisarcio (Ozieri), San Pietro di Sorres a Borutta, san Nicola di Ottana e la cappella palatina di Santa Maria del Regno di Ardara e la basilica di santa Giusta. Oltre alle chiese di Nostra signora di Tergu, la basilica di Saccargia a Codrongianos e Santa Maria di Uta e, relativamente al XIII secolo, le cattedrali di santa Maria di Monserrato (Tratalias) e San Pantaleo (Dolianova).
Con il loro arrivo nel 1324 gli Aragonesi concentrarono le loro prime realizzazioni a Cagliari; la prima chiesa gotico-catalana della Sardegna fu il santuario di Nostra Signora di Bonaria.[117] Sempre a Cagliari negli stessi anni fu realizzata la cappella aragonese all'interno della cattedrale. Nella prima metà del XV secolo venne edificato un vero gioiello gotico, il complesso di san Domenico, che comprendeva la chiesa ed il convento, quasi completamente distrutto durante i bombardamenti aerei del 1943, e di cui rimane solo il chiostro. Altre realizzazioni furono le chiese di san Francesco di Stampace (di cui rimane solo una parte del chiostro), sant'Eulalia e san Giacomo. Ad Alghero nella seconda metà del XV secolo fu iniziata la costruzione della chiesa di San Francesco e nel XVI secolo della cattedrale.
L'architettura rinascimentale, pur scarsamente rappresentata, annovera esempi notevoli come l'impianto della Cattedrale di San Nicola di Sassari (tardo gotica ma dal forte influsso rinascimentale), la chiesa di Sant'Agostino di Cagliari (progettata dai Palearo Fratino), la chiesa di Santa Caterina a Sassari (progettata dal Bernardoni, allievo di Vignola) .
Al contrario, l'architettura barocca ha trovato ampio risalto:[118] esempi interessanti sono la Collegiata di Sant'Anna a Cagliari, la facciata della cattedrale di San Nicola a Sassari, la chiesa di San Michele a Cagliari, nonché le cattedrali di Cagliari, Ales e Oristano, ricostruite tra Seicento e Settecento.
A partire dal XIX secolo, grazie alle nuove idee ed esperienze importate da alcuni architetti sardi formatisi a Torino, si diffondono nell'isola nuove forme architettoniche di ispirazione neoclassica[119]. Tra le figure più importanti di questa fase architettonica e urbanistica è da citare quella dell'architetto cagliaritano Gaetano Cima, le cui opere sono disseminate in tutto il territorio sardo[120]. Accanto alle opere del Cima, sono da citare quelle di Giuseppe Cominotti (Palazzo e Teatro Civico di Sassari) e Antonio Cano (Cupola di S. Maria di Betlem a Sassari e la Cattedrale di Santa Maria della Neve a Nuoro). Nella seconda metà dell'Ottocento a Sassari fu realizzato il neogotico palazzo Giordano (1878) che rappresenta uno dei primi esempi di revivalismo nell'Isola, mentre risale al 1933 la facciata neoromanica della cattedrale di Cagliari.
Un'interessante realizzazione di gusto eclettico, derivato dal connubio fra ispirazioni a modelli revivalisti e liberty, risulta essere il palazzo Civico di Cagliari, completato nei primi anni del XX secolo. L'avvento del fascismo ha influenzato fortemente negli anni venti e trenta l'architettura anche in Sardegna[121]: interessanti realizzazioni di quel periodo sono i nuovi centri di Fertilia, Arborea e la città di Carbonia, uno dei massimi esempi di architettura razionalista[122].
Lo sviluppo turistico iniziato negli anni sessanta ha fatto sì che in Costa Smeralda si procedesse alla costruzione di edifici di notevole pregio architettonico unitamente al villaggio di Porto Cervo, più recenti sono altri edifici decisamente moderni come la torre del T Hotel o la sede della Banca di Credito Sardo, entrambi a Cagliari ed il secondo opera di Renzo Piano; esistono, inoltre, diverse tipologie abitative tradizionali, come la casa alta delle zone collinari e montane, costruite in pietra e legno, e le case a corte in ladiri (mattone in terra cruda)[123] del Campidano e diverse tipologie insediative, come gli stazzi in Gallura, i furriadroxius e i medaus nel Sulcis[124].
Arte[modifica | modifica wikitesto]
Il Neolitico fu il periodo in cui si rilevano le prime manifestazioni artistiche. Numerosi ritrovamenti delle tipiche statuine della Dea Madre e di ceramiche incise con disegni geometrici testimoniano le espressioni artistiche della preistoria sarda. Successivamente la Cultura nuragica produrrà le innumerevoli statuine in bronzo e l'enigmatica statuaria in pietra dei Giganti di Mont'e Prama.
Il connubio tra le popolazioni nuragiche e i mercanti provenienti da ogni parte del Mediterraneo portò ad una raffinata produzione di gioielli in oro, anelli, orecchini e monili di ogni genere, ma anche ceramiche, stele votive e decorazioni parietali.[125]
I Romani oltre all'architettura legata alle opere pubbliche, introdussero i mosaici e ornarono con sculture e pitture le ricche ville dei patrizi.[126]
Nel Medioevo, durante il periodo giudicale, le architetture delle chiese romaniche furono arricchite di capitelli, di sarcofagi, di affreschi, di altari in marmo e impreziosite successivamente da retabli, dipinti da importanti pittori come il Maestro di Castelsardo, Pietro Cavaro, Andrea Lusso, e la scuola del cosiddetto Maestro di Ozieri a cui facevano capo Giovanni del Giglio e Pietro Giovanni Calvano di origine senese.
Nel XIX secolo, per poi proseguire nel Novecento, si affermano nell'immaginario collettivo degli isolani i miti della genuinità del popolo sardo, di un'isola incontaminata e fuori dal tempo. Raccontata dai tanti viaggiatori che visitarono la Sardegna in quel periodo, tali miti verranno celebrati prevalentemente da artisti sardi quali Giuseppe Biasi, Francesco Ciusa, Filippo Figari, Mario Delitala e Stanis Dessy. Nelle loro opere racconteranno i valori autoctoni del mondo agro pastorale, non ancora omologati alla modernità che premeva dall'esterno[127]. Altri artisti importanti della seconda metà del Novecento sardo sono Costantino Nivola, Maria Lai, Albino Manca e Pinuccio Sciola.
Letteratura[modifica | modifica wikitesto]
La prima opera letteraria in sardo risale alla seconda metà del Quattrocento: un poemetto ispirato alla vita dei santi martiri turritani ad opera dall'arcivescovo di Sassari Antonio Cano. La produzione letteraria ebbe un notevole sviluppo nel Cinquecento, il protagonista principale fu Antonio Lo Frasso, la sua Los diez libros de Fortuna de Amor è citata nel Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes. L'opera è scritta principalmente in spagnolo, ma ci sono parti scritte in catalano ed in lingua sarda. Quello del plurilinguismo è un tratto caratteristico degli scrittori sardi di quell'epoca tra cui Sigismondo Arquer, Giovanni Francesco Fara e Pietro Delitala. Delitala sceglie di scrivere in italiano, o allora toscano, e Gerolamo Araolla scrive nelle tre lingue[128]. Ma già nel Seicento si ha una totale integrazione nel mondo iberico come dimostrato dalle opere in spagnolo dei poeti José Delitala y Castelvì, Josè Zatrilla e gli scrittori Francesco Angelo de Vico e Salvatore Vidal.
Nel 1720 il Regno di Sardegna passò a Vittorio Amedeo II di Savoia e la lingua ufficiale divenne l'italiano anche se era permesso l'uso del francese. Nell'Ottocento si ha un rinnovato interesse degli autori sardi e non per la storia della Sardegna: Giovanni Spano intraprende i primi scavi archeologici, Giuseppe Manno scrive la prima grande storia generale dell'isola, Pasquale Tola pubblica importanti documenti del passato e scrive biografie di sardi illustri. Alberto La Marmora percorre l'isola in lungo in largo, studiandola nei particolari e scrivendo un'imponente opera in quattro parti intitolata Voyage en Sardaigne, pubblicata a Parigi e poi introdotta negli ambienti colti europei.
Nei primi del Novecento la società sarda viene raccontata da Enrico Costa, dal poeta Sebastiano Satta e da Grazia Deledda, quest'ultima insignita del premio Nobel per la letteratura nel 1926. In questo secolo accanto alla produzione letteraria va ricordata l'esperienza politica di personaggi di grande valore come Antonio Gramsci ed Emilio Lussu. Nel secondo dopoguerra emersero figure come Giuseppe Dessì con il suo Paese d'ombre. In anni più recenti vasta eco ebbero i romanzi autobiografici di Gavino Ledda Padre padrone e di Salvatore Satta Il giorno del giudizio, oltre alle opere di Sergio Atzeni e dei viventi attivi negli ultimi decenni (Nuova letteratura sarda).[128]
Musica e danza[modifica | modifica wikitesto]
La musica tradizionale sarda, sia cantata che strumentale, è molto antica. In un vaso risalente alla cultura di Ozieri, circa 3.000 anni a.C., sono raffigurate scene di danza.[129] La caratteristica danza sarda chiamata su ballu tundu viene accompagnata dal suono delle launeddas, un antico strumento che viene fatta risalire ad un'epoca antecedente all'VIII secolo a.C.. Su questo strumento sono stati eseguiti diversi studi fra la fine degli anni 1950 ed i primo anni 1960 dal musicologo Andreas F. Weis Bentzon. Le launeddas sono tradizionalmente diffuse soprattutto nel Sarrabus, nel Campidano, nel Sinis e in Ogliastra.
Il Canto a tenore è tipico delle zone interne della Barbagia ed è ritenuto un'espressione artistica peculiare e unica al mondo. La prima testimonianza potrebbe risalire ad un bronzetto del VII secolo a.C. dove è raffigurato un cantore nella tipica posa dei tenores. Questo tipo di canto nel 2005 è stato riconosciuto dall'Unesco come Patrimonio orale e immateriale dell'Umanità[130]. Il cantu a chiterra (canto sardo accompagnato dalla chitarra) è un canto nato in Logudoro e diffusosi successivamente anche in Gallura e Planargia. Questo canto ha avuto una gran diffusione a partire dal XX secolo grazie alle numerose feste paesane durante le quali si svolgono delle vere e proprie competizioni tra cantadores, accompagnati da un chitarrista e spesso anche da un fisarmonicista,[131] ed ha avuto popolarità a livello internazionale grazie all'attività di Maria Carta. In ambito colto, la Sardegna ha dato i natali a diversi compositori tra i quali si ricordano Luigi Canepa, Gavino Gabriel, Lao Silesu ed Ennio Porrino.
Costumi[modifica | modifica wikitesto]
Dai colori vivaci e dalle forme più svariate e originali, i costumi tradizionali rappresentano un chiaro simbolo di appartenenza a specifiche identità collettive. Sono considerati uno scrigno di tradizioni etnografiche e culturali dalle caratteristiche molto peculiari, frutto di secolari stratificazioni storiche.[132] Sebbene il modello base sia omogeneo e comune in tutta l'isola, ogni paese ha un proprio abbigliamento tradizionale, maschile e femminile, che lo differenzia dagli altri paesi.
Nel passato gli abiti si diversificavano anche all'interno delle comunità, svolgendo una precisa funzione di comunicazione in quanto rendevano immediatamente palese lo stato anagrafico e il ruolo di ciascun membro in ambito sociale, la regione storica o il paese di appartenenza, un particolare stato civile (baghiàna/u, gathìa/u). Ancora oggi in varie parti dell'isola si possono incontrare persone anziane vestite in costumene, ma sino a metà Novecento il costume rappresentava il vestiario quotidiano in buona parte della Sardegna[133].
I materiali usati per la loro confezione sono tra i più vari: si va dall'orbace alla seta, al lino, dal bisso al cuoio. I vari componenti dell'abito femminile sono: il copricapo (mucadore), la camicia (camisa), il corpetto (palas, cossu), il giubbetto (coritu, gipone), la gonna (unnedda, sauciu), il grembiule (farda, antalena, defentale), in Ogliastra le donne di alcuni paesi hanno dei particolari ganci angancerias de prata sul copricapo. Quelli dell'abito maschile sono: il copricapo (berritta), la camicia (bentone o camisa), il giubbetto (gipone), i calzoni (cartzones o bragas), il gonnellino (ragas o bragotis), il soprabito (gabbanu, colletu), la mastruca, una sorta di giacca in pelle di agnello o di pecora priva di maniche (mastrucati latrones ovvero "briganti coperti di pelli" era l'appellativo con il quale Cicerone denigrava i Sardi ribelli al potere romano).
Feste[modifica | modifica wikitesto]
Le feste scandiscono da sempre la vita delle comunità isolane e in epoca moderna, soprattutto con la rivalutazione di molte sagre minori, sono legate al desiderio (ed alla necessità) di riaffermare la propria unica identità culturale[134]. In Sardegna, andare per feste significa immergersi in una cultura antica alla scoperta di suoni e di armonie sconosciute, di balli ritmici con ricchi costumi tradizionali, di gare poetiche fuori dal tempo, di sfrenate corse di cavalli, di sfilate folcloristiche - a piedi o a cavallo - con preziosi e coloratissimi abiti d'altri tempi.[135]
Spesso le feste durano diversi giorni e coinvolgono tutta la comunità; molte volte, per l'occasione, vengono preparati dolci speciali e organizzati banchetti con pietanze tradizionali a cui tutti possono partecipare. Le feste popolari più conosciute sono: Faradda di li candareri (proclamato patrimonio orale e immateriale dall'UNESCO nel 2013) a Sassari, la Cavalcata sarda a Sassari, Sant'Efisio a Cagliari, la Sagra di S.Antioco patrono di (Sant'Antioco), la Sagra del Redentore a Nuoro, S'Ardia a Sedilo, Sa Sartiglia a Oristano, San Gavino a Porto Torres, San Michele ad Alghero, la festa di Santa Vitalia a Serrenti, la festa dell'Assunta ad Orgosolo, la sagra di Santa Maria de is Acuas o Santa Mariàcuas a Sardara, la nota Festa del Rimedio ad Ozieri, San Simplicio a Olbia, i festeggiamenti del carnevale in Barbagia e Ogliastra, il carnevale allegorico di Tempio Pausania e i riti della Settimana Santa in varie parti dell'isola.
Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO[modifica | modifica wikitesto]
- Il nuraghe e le espressioni della civiltà nuragica, il cui esempio più significativo è stato identificato in su Su Nuraxi di Barumini, dal 1997;
- Canto a tenore (Cantu a tenore / Cuncordu) patrimonio orale e immateriale dal 2005;
- Dieta mediterranea, patrimonio orale e immateriale dal 2010;
- Canto della Sibilla (Cant de la Sibil·la), canto gregoriano in catalano eseguito la notte di Natale solo nella Cattedrale di Alghero e di Palma di Maiorca, patrimonio orale e immateriale dal 2010.
- Faradda di li candareri, famosa manifestazione della città di Sassari, patrimonio orale e immateriale dal 2013.
Università[modifica | modifica wikitesto]
La Sardegna è sede di due università statali: l'Università di Cagliari e l'Università di Sassari.
Enogastronomia[modifica | modifica wikitesto]
La cucina sarda è molto varia ed è basata su ingredienti semplici e originali, derivati sia dalla tradizione pastorale e contadina, che da quella marinara. Varia da zona a zona non solo nel nome delle pietanze ma anche nei componenti utilizzati[136]. Come antipasti sono diffusi i prosciutti di cinghiale e di maiale, le salsicce, accompagnati da olive e funghi, mentre per i piatti a base di pesce sono svariati gli antipasti di mare. Alcuni primi piatti tipici sono i malloreddus, i culurgiones ogliastrini, i cui ingredienti cambiano da paese a paese, il pane frattau, la fregula, la zuppa gallurese e le lorighittas. Come secondi piatti, gli arrosti costituiscono una peculiare caratteristica, tanto che quello del maialetto è considerato l'emblema della cucina sarda.
Il pane[modifica | modifica wikitesto]
Diverse tecniche, trasmesse di generazione in generazione per lavorare la pasta, insieme ai molteplici procedimenti per farla lievitare, contribuiscono ad offrire una vasta scelta di originali forme di pane in ogni regione dell'isola.[137] Alcuni tipi di pane più diffusi sono: il Pane carasau, tipico pane della Barbagia, composto da una sfoglia croccante, rotonda e piatta, il nome deriva da carasare che in sardo significa tostare, cosparso d'olio, salato e scaldato al forno viene chiamato pane guttiau[138]; il pistoccu (tipico ogliastrino), di spessore maggiore della sfoglia di pane carasau; la spianada, conosciuta anche come Cogones o Cogoneddas, pagnotta di semola di grano duro, dalla forma rotonda e non molto spessa[139]; in Ogliastra è tipico il pani pintau, i prodotti più significativi provengono da Tertenia e Ulassai, in quest'ultimo paese si realizza anche un pane unico nel suo genere il Pani de binu cotu, per le feste. Il civraxiu, tipico del Campidano, è una grande pagnotta che si consuma a fette; il coccoi a pitzus, pagnotta decorata di semola di grano duro; il pane 'e poddine, tipico del Logudoro e dell'Anglona, dal diametro di circa 40 cm, e noto anche con il nome di pane di Ozieri o anche pane ladu, è molto simile al pane che i greci, gli arabi e gli ebrei chiamano pita.
Dolci e pani votivi[modifica | modifica wikitesto]
Legata a particolari ricorrenze, la lavorazione dei pani votivi e la preparazione dei dolci in certe regioni dell'isola può diventare un'arte. Gli ingredienti sono semplici e vanno dalla farina di grano duro alle mandorle, al miele. In alcuni dolci si usa come ingrediente anche il formaggio o la ricotta[140]. A gennaio in alcune regioni, per i falò di Sant'Antonio, vengono preparati come dolci le cotzuleddas, i pirichitos e il pistiddu. Per Carnevale si preparano le frisolas, le catas, le orilletas e le tzìpulas.
Per la festa di San Marco sono tipici i pani votivi artistici, gialli per la presenza dello zafferano, decorati con delle particolari fantasie floreali viste come delle vere e proprie effimere opere d'arte. Per la Pasqua si preparano le pitzinnas de ou, le casadinas, le tzilicas e la pischedda. Per Ognissanti dolci caratteristici sono il pane de saba e i vari pabassinos. Per i matrimoni si preparano dolci molto variegati e ricchi di decorazioni come i singolari gatò, sos coros, s'arantzada . In altre occasioni sono comunemente diffusi il torrone ( turrone / -i ), le seadas, i rujolos, i mostaccioli, i sospiri, particolarmente delicate e pregiate le copulette (tiriccas) di Ozieri.
I formaggi[modifica | modifica wikitesto]
La Sardegna ha un'antica tradizione pastorale e offre una vasta produzione di formaggi pecorini esportati ed apprezzati ovunque, soprattutto in Nord America. Attualmente sono tre i formaggi D.O.P: il Fiore Sardo, il Pecorino Sardo ed il Pecorino Romano che, a dispetto del nome, è prodotto per il 90% nell'isola.
Vini e liquori[modifica | modifica wikitesto]
Come evidenziato da alcune ricerche archeologiche, la coltura della vite in Sardegna risale all'epoca della civiltà nuragica[141]. Tale tradizione è continuata con i Romani e poi attraverso le varie occupazioni straniere si è ancora arricchita. Tra i vini rossi si annoverano il Cannonau, il Monica, il Carignano del Sulcis, il Girò, mentre tra i bianchi vi sono quelli previsti dal disciplinare Vermentino di Gallura DOCG, la Malvasia di Bosa, il Nasco, il Torbato di Alghero, il Nuragus di Cagliari, il Moscato, la Vernaccia di Oristano[142]. A fine Novecento diversi vitigni minori sono stati riscoperti e sono oggetto di un'importante valorizzazione da parte di diversi produttori sardi.
È il caso di vitigni come il Cagnulari (che era in via di estinzione), del Caddiu (valle del Tirso), del Semidano[142] e altri. Vista la lunga tradizione, molti vini sono D.O.C., e variano di gusto e di gradazione a secondo delle regioni in cui vengono prodotti. Si produce l'acquavite che è nota con il nome di Filu 'e ferru o Abbardente. Tra i liquori il Mirto (sia bianco che rosso) ed il Villacidro sono tra i più diffusi.
Economia[modifica | modifica wikitesto]
Secondo Eurostat[143] nel 2009 la Sardegna aveva un reddito pro capite a parità di potere di acquisto pari all'80,0 % della media dell'Unione europea; le regioni italiane più povere erano la Sicilia e la Calabria con il 68 %, la più ricca era la Provincia Autonoma di Bolzano con il 148 %. Tra le altre regioni insulari europee della fascia mediterranea la più ricca era la piccola regione greca dell'Egeo Meridionale col 114 %; seguivano la Sardegna solo l'Egeo Settentrionale col 76 %, le Azzorre col 75 % e appunto, la Sicilia.
Questi pochi dati, ad un'analisi superficiale, indicano che, all'interno di un paese con differenze regionali rilevanti rispetto ad altri paesi dell'Unione Europea, il livello di benessere dei sardi non è fra i peggiori, anzi, è tra i più elevati del mezzogiorno (tenendo in conto solo le medie regionali). Facendo il paragone con le altre regioni insulari della fascia mediterranea, pur non essendoci così elevate differenze, e tenendo conto della estensione territoriale e della consistenza demografica (solo la Sicilia e le Canarie sono più popolose, tutte le altre hanno meno di un milione di abitanti), la situazione della Sardegna non appare particolarmente rosea. Le ragioni del ritardo sono antiche e complesse: l'insularità è di per sé una diseconomia[144], la zona mediterranea è complessivamente in ritardo rispetto all'Europa centro-settentrionale, ma le scelte di politica economica di Governo e Regione non hanno permesso la diminuzione sostanziale del divario con l'Italia centro-settentrionale nonostante l'impiego di ingenti somme di denaro pubblico negli ultimi decenni.
I limiti principali allo sviluppo economico della Sardegna sono quindi legati soprattutto alla carenza di infrastrutture, in particolare nei trasporti sia esterni che interni, al costo complessivo del lavoro, del denaro e alla pressione fiscale, che gravano in egual modo sulle regioni geograficamente più favorite, e che non permettono alle imprese sarde in qualsiasi settore di essere competitive in un mercato sempre più aperto. L'illusione di un'economia differenziata, con la difesa ad oltranza di distretti industriali obsoleti, ha distratto finanziamenti e risorse che potevano essere meglio impiegati nell'unico settore di punta, il turismo, in produzioni di nicchia ad alto valore aggiunto, soprattutto in agricoltura, e nella formazione professionale e ricerca nei settori trainanti per un loro ammodernamento.
Dati economici[modifica | modifica wikitesto]
Oltre al commercio, al pubblico impiego e alle nuove tecnologie, l'attività trainante dell'economia è il turismo, sviluppatosi inizialmente lungo le coste settentrionali dell'isola. Il terziario è il settore che occupa il maggior numero di addetti; gli occupati sono ripartiti nei tre settori nelle seguenti percentuali:
- 8,7% al primario;
- 23,5% al secondario;
- 67,8% al terziario.
Il tasso di disoccupazione nel 2007, secondo l'ISTAT, si attestava sull'8,6%, nell'ultimo trimestre del 2008 il tasso è lievitato al 10,8%, ed è riconducibile alla recessione economica internazionale. La Sardegna ha il reddito pro capite più elevato tra le regioni del Mezzogiorno, con 16.837 euro.[145]
Industria[modifica | modifica wikitesto]
La nascita del settore industriale sardo contemporaneo (escludendo quindi il settore minerario) è principalmente dovuta all'apporto dei finanziamenti statali al Piano di Rinascita[146] negli anni sessanta-settanta, che portò alla formazione dei cosiddetti poli di sviluppo industriali nei settori chimico, petrolifero e metallurgico[147][148] in varie aree dell'isola. Oltre ad essi sono attive imprese industriali nel settore alimentare, manifatturiero, metalmeccanico[149], edile e legato alla lavorazione del sughero[150].
L'energia viene prodotta da centrali termoelettriche (a carbone), idroelettriche (nei bacini artificiali) e da varie centrali eoliche[151].
Miniere[modifica | modifica wikitesto]
La Sardegna è la regione italiana con il sottosuolo più ricco di minerali[21]. Prima l'ossidiana[21][152], poi l'argento, lo zinco e il rame[21][152] sono stati fin dall'antichità una vera ricchezza per l'isola, posizionandola al centro di intensi traffici commerciali. Molti centri minerari erano sfruttati per l'estrazione di piombo, zinco, rame e argento, e dall'Ottocento in poi furono aperte miniere di carbone, antimonio e bauxite e oro[153]. Dopo il secolare sfruttamento, dalla seconda metà degli anni sessanta[152] molti siti minerari hanno cessato l'attività e le zone minerarie si stanno convertendo sempre di più al turismo legato all'archeologia industriale[154][155].
Agricoltura e allevamento[modifica | modifica wikitesto]
Il 47,9% della superficie della Sardegna è sfruttata per pascoli e agricoltura[156]: di questo per il 60,1 % per l'allevamento, il 34,1 % per l'agricoltura e il resto è occupato da coltivazioni legnose[156]. In Sardegna vivono oltre 3 milioni di ovini[156], quasi la metà dell'intero patrimonio nazionale[157], a fronte di circa 12.600 pastori[158]. La Sardegna si è specializzata da millenni nell'allevamento ovino e, in minor misura, caprino e bovino[156]. Nell'isola si contavano nel 2012 126000 capi appartenenti alla razza "capra sarda". Oltre alla carne, dal latte ricavato si produce anche una grande varietà di formaggi[159].
Anche l'agricoltura ha avuto un ruolo molto importante nella storia economica dell'isola, soprattutto nella grande piana campidanese, particolarmente adatta alla cerealicoltura[159]. Nel XXI secolo è legata a produzioni specializzate come quelle cerealicola, vinicola, dell'olivicoltura, degli agrumi e del carciofo. Le bonifiche hanno aiutato ad estendere le colture e di introdurre alcune coltivazioni specializzate quali ortaggi e frutta, accanto a quelle storiche dell'ulivo e della vite che sono presenti nelle zone collinari.
Nel patrimonio boschivo è presente la quercia da sughero, la quale cresce spontanea favorita dall'aridità del terreno e che viene esportata; la Sardegna produce infatti circa l'80% del sughero italiano[160].
Pesca[modifica | modifica wikitesto]
Resa insicura in passato dalle frequenti scorrerie saracene e barbaresche[161], la pesca è un'attività affermatasi tra il Settecento e l'Ottocento[161], grazie alla pescosità dei mari circostanti e alla notevole estensione costiera dell'isola[162]. È molto sviluppata a Cagliari, ad Alghero e nelle coste del Sulcis[162], oltre ad avere rilevanza anche in Gallura e nell'Oristanese (anguille[163] e muggini[162]). Ottima è la produzione di mitili, specialmente a Olbia[162].
Nelle zone di Alghero, Bosa e Santa Teresa è molto attiva la pesca alle aragoste[164] insieme alla raccolta del corallo[162]. Di antica tradizione e mai abbandonata è la pesca del tonno[165] specie nei dintorni di Carloforte[166].
Artigianato[modifica | modifica wikitesto]
L'artigianato tradizionale sardo è un insieme di arti popolari estremamente vario, sviluppato in campi molto diversi, ricco di gusto e originalità. Alcune di queste forme artistiche sono di origine antica ed hanno subito l'influenza delle diverse culture che hanno segnato la storia dell'isola[167].
La tessitura in lana, cotone e lino di tappeti, arazzi, cuscini e tende è in larga parte ancora praticata a mano con telai di concezione molto antica. I gioielli tradizionali sono in filigrana[168]. Tra essi la corbula, ossia il bottone sardo. La lavorazione del legno è caratterizzata da prodotti originali come le cassapanche intagliate, le sedie impagliate di Assemini, le biseras dei Mamuthones,(le maschere tradizionali mamoiadine), e le produzioni in sughero di Calangianus[169].
L'artigianato della cestineria è molto diffuso, specie nell'oristanese. Le ceramiche hanno una forma semplice e lineare. Altra antica tradizione artigianale sarda è quella legata alla coltelleria artigianale, con la produzione della arresoja, resolza o resorza[170] nella cui lavorazione si distinguono gli artigiani di Pattada e Arbus.
Turismo[modifica | modifica wikitesto]
Grazie al clima mite, ai paesaggi incontaminati, alla purezza delle acque marine, la Sardegna attira ogni anno un gran numero di vacanzieri (nel 2007 le presenze turistiche per la prima volta hanno superato i 10 milioni di visitatori)[171]. I primi investimenti ed i primi piani di sviluppo risalgono al 1948 e furono attuati attraverso l'ESIT (Ente Sardo Industrie Turistiche). Il primo boom turistico si sviluppò a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta, soprattutto ad Alghero e nella sua Riviera del Corallo. Pochi anni dopo nacque la Costa Smeralda che ben presto si affermò tra il jet set internazionale, divenendo la località turistica sarda per eccellenza grazie al turismo indotto dalla cultura di massa.
Dagli anni novanta, con la diffusione delle compagnie aeree low cost ha preso piede il fenomeno dei viaggi di breve durata in ogni periodo dell'anno; questa nuova tipologia di turismo ha avuto nell'isola un notevole sviluppo, favorendo la diversificazione, la destagionalizzazione ed interessando anche le zone interne ed il turismo culturale[172], oltre che il turismo equestre, l'escursionismo, il birdwatching, la vela e il free climbing.
Trasporti e comunicazioni[modifica | modifica wikitesto]
Per contrastare efficacemente gli effetti dell'insularità, è stata sviluppata nel tempo una buona rete di servizi e di impianti portuali ed aeroportuali. Ben distribuiti nel territorio queste strutture collegano l'isola al continente italiano ed europeo per mezzo di linee aeree e tramite navi che partono dai porti più importanti. Durante la stagione turistica, il traffico lungo tutte le vie di comunicazione e nelle stazioni marittime, aumenta in modo considerevole e gli spostamenti nelle località interne richiedono tempo. Le strade sono spesso ricche di tornanti e panoramiche (a parte le principali direttrici), con curve e saliscendi a secondo l'orografia del territorio: andare piano è d'obbligo.
Il servizio regionale di trasporti pubblico ARST (Azienda Regionale Sarda Trasporti) collega tramite autobus la totalità dei comuni con almeno una corsa giornaliera, ed è presente negli aeroporti e nei porti in coincidenza con l'arrivo degli aerei e dei traghetti. Le località più isolate sono invece servite da compagnie private. Nelle città di Alghero, Cagliari (con tutta l'area metropolitana), Carbonia, Iglesias, Macomer, Nuoro, Olbia, Oristano, Porto Torres, Quartu Sant'Elena, Sassari e Selargius sono presenti sistemi di trasporto pubblico urbano[173][174].
Trasporti marittimi[modifica | modifica wikitesto]
Tramite moderne stazioni marittime e traghetti, la Sardegna è collegata con i più importanti porti italiani del mar Tirreno e del mar Ligure[175], ma anche con la Francia e la Spagna[176]. I porti di partenza dal resto d'Italia sono: Civitavecchia, Genova, Livorno, Piombino, Napoli e Palermo[175]. I porti di collegamento con la Corsica sono: Ajaccio, Bonifacio e Propriano[176]. La Francia continentale è collegata tramite i porti di Tolone e Marsiglia[176], la Spagna con lo scalo di Barcellona[176]. I porti di arrivo sono: Arbatax, Cagliari, Golfo Aranci, Olbia e Porto Torres[175] e Santa Teresa di Gallura. Le compagnie di navigazione che garantiscono i servizi verso l'isola sono[175][176]: Tirrenia, Moby Lines, corsica ferries-sardinia ferries, Grandi Navi Veloci, Grimaldi Lines e le francesi Sncm e CMN. La compagnia regionale Saremar e altri armatori (quali NGI, EneRmaR e Delcomar) collegano infine la Sardegna con alcune delle sue isole minori[177].
Trasporti aerei[modifica | modifica wikitesto]
Tre aeroporti internazionali (Alghero-Fertilia, Olbia-Costa Smeralda, Cagliari-Elmas) smistano il traffico in arrivo e in partenza verso le principali città italiane e svariate destinazioni europee, quali il Regno Unito, la Scandinavia, la Spagna e la Germania, mentre due sono gli aeroporti regionali[178]. Le principali compagnie aeree italiane attive in Sardegna sono Meridiana, con base a Olbia (ex Alisarda fondata nel 1963 dal principe Aga Khan Karīm al-Hussaynī), Alitalia e Air Dolomiti. Tra le compagnie straniere figurano alcune low cost come Ryanair, EasyJet, Tui Fly, Blue Air, Air Berlin e Wizz Air.
Trasporti su rotaia[modifica | modifica wikitesto]
La rete ferroviaria, costruita in buona parte sul finire del XIX secolo, si sviluppa per circa 600 km e si limita a congiungere le città principali e i porti. L'intera rete ferroviaria non è elettrificata e si compone delle linee a scartamento ordinario del gruppo Ferrovie dello Stato Italiane, con la principale linea sarda Cagliari-Golfo Aranci e altre 3 linee che diramandosi da questa permettono di raggiungere Sassari e Porto Torres a nord[179] ed Iglesias e Carbonia a sud-ovest[179]. I collegamenti locali sono garantiti da quattro ferrovie a scartamento ridotto dell'ARST, a cui se ne sommano altrettante (per circa 440 km di sviluppo) impiegate per il servizio turistico Trenino Verde[180].
Rete stradale[modifica | modifica wikitesto]
La Sardegna è l'unica regione italiana priva di autostrade, ne fa le veci la rete di superstrade costruite fra i principali centri, completamente pubbliche e gratuite, arterie da cui si diramano poi strade secondarie verso tutte le località. La superstrada SS 131 Carlo Felice attraversa l'isola da nord a sud collegando Cagliari con Sassari e Porto Torres, passando per Oristano e Macomer, mentre una sua deviazione, la SS 131 DCN - Diramazione Centrale Nuorese , raggiunge Olbia passando per Nuoro e Siniscola. Nella zona settentrionale dell'isola, la superstrada SS 291 della Nurra e la SS 597 di Logudoro collegano Alghero e Olbia via Sassari. Nel meridione la SS 130 Iglesiente collega il capoluogo con Carbonia e Iglesias, mentre ad est la strada a scorrimento veloce "nuova SS 125 Orientale Sarda", collega Cagliari con Tortolì. Le dorsali Cagliari-Oristano-Sassari-Porto Torres e Alghero-Sassari-Olbia-Golfo Aranci fanno parte dello SNIT - Sistema Nazionale Integrato dei Trasporti.[181]
Città | Abitanti | |
---|---|---|
1 | Cagliari | 154.442 |
2 | Sassari | 127.538 |
3 | Quartu Sant'Elena | 71.271 |
4 | Olbia | 58.824 |
5 | Alghero | 44.057 |
6 | Nuoro | 37.196 |
7 | Oristano | 31.635 |
8 | Selargius | 28.960 |
9 | Carbonia | 28.954 |
10 | Iglesias | 27.292 |
Società[modifica | modifica wikitesto]
Evoluzione demografica[modifica | modifica wikitesto]
Nonostante una civilizzazione plurimillenaria e una popolazione residente quasi triplicatasi nell'arco di circa 140 anni, la Sardegna è una delle poche regioni europee in cui un'economia moderna e diversificata convive con un ecosistema naturale ancora intatto, se non vergine, in vaste aree del territorio; questo fatto è spiegabile demograficamente grazie alla bassa densità abitativa, pari a 69 ab./km², dato al terzultimo posto fra le regioni italiane, preceduto solo dalla Valle d'Aosta con 39 ab./km² e dalla Basilicata con 60 ab./km².
Questa densità si ritrova equamente distribuita in maniera diversa in base ai territori, con un minimo nella provincia di Nuoro con 37,69 ab./km², passando per i 52,84 ab./km² della provincia di Oristano, i 54,68 ab./km² della provincia del Sud Sardegna, i 64,22 ab./km² della provincia di Sassari per finire con i 345,87 ab./km² della città metropolitana di Cagliari. Lo scostamento di tali valori è dovuto sostanzialmente alla dislocazione della popolazione sul territorio dell'isola: alte densità si ritrovano infatti attorno ai maggiori centri urbani (Cagliari e area metropolitana, Sassari, Olbia, Alghero, Nuoro e Oristano), mentre densità scarse sono tipiche delle zone dell'entroterra caratterizzate da centri abitati di piccole dimensioni e vaste zone non urbanizzate.
Città e aree urbane[modifica | modifica wikitesto]
I centri urbani più importanti sono Cagliari, capoluogo regionale, e Sassari, secondo polo di rilevanza regionale.
Cagliari (154.333 ab.[182]) è a capo dell'omonima città metropolitana di 431.000 abitanti circa, i cui centri principali sono Quartu Sant'Elena (71.132 ab.), Selargius (28.995 ab.), Assemini (26.742 ab.), Capoterra (23.691 ab.), Sestu (20.698 ab.), Monserrato (20.107 ab.), Sinnai (17.116 ab.) e Quartucciu (13.175 ab.).
Sassari (127.601 ab.) e Alghero (44.075 ab.) sono le città che costituiscono la rete metropolitana del Nord Sardegna (col capoluogo sassarese come centro catalizzatore) che si espande soprattutto verso la Nurra e il golfo dell'Asinara che include anche Porto Torres (22.331 ab.), Sorso (14.675 ab.) e altri centri minori: Sennori, Castelsardo, Valledoria e Stintino per un totale di poco più di 225.000 abitanti.
I centri urbani rimanenti svolgono funzione di polarità locale e hanno tutti una popolazione compresa tra 10.000 e 60.000 abitanti: Olbia (59.124 ab.), Nuoro (37.146 ab.), Oristano (31.644 ab.), Carbonia (28.808 ab.), Iglesias (27.199 ab.), Tempio Pausania (14.254 ab.), Villacidro (14.120 ab.), Arzachena (13.545 ab.), Guspini (12.005 ab.), Siniscola (11.477 ab.), Sant'Antioco (11.314 ab.), La Maddalena (11.369 ab.), Tortolì (11.020 ab.), Ozieri (10.681 ab.), Terralba (10.285 ab.) e Macomer (10.247 ab.).
Dei 377 comuni sardi, 20 possono fregiarsi ufficialmente del titolo di città: Alghero, Bosa, Cagliari, Carbonia, Castelsardo, Iglesias, Ittiri, Lanusei, Macomer, Nuoro, Olbia, Oristano, Ozieri, Porto Torres, Quartu Sant'Elena, Sassari, Siniscola, Sorso, Tempio Pausania e Tortolì.
Immigrazione[modifica | modifica wikitesto]
La presenza dell'uomo moderno sull'isola risale al paleolitico superiore (grotta Corbeddu), ma è solo a partire dal neolitico che si ha una capillare occupazione del territorio grazie all'arrivo di nuove popolazioni dall'Europa continentale che introdussero la cosiddetta rivoluzione neolitica, originatasi nel Vicino oriente. Durante l'età dei metalli altre genti, provenienti da varie regioni europee, si spinsero sull'isola, sovrapponendosi o mischiandosi con chi le precedeva[183].
La particolare posizione geografica, inserita al centro del Mediterraneo occidentale, le ricchezze minerarie e le fertili pianure, hanno fatto della Sardegna, sin dall'antichità, un'isola molto ambita dalle potenze coloniali antiche. Dal VIII secolo a.C. circa, i Fenici si insediarono in alcune località costiere dove edificarono le prime città. Sempre in guerra con i nuragici, mai assoggettati del tutto, sia i Cartaginesi che i Romani fondarono nuovi insediamenti e deportarono nell'isola un vasto numero di schiavi, utilizzati per lavorare nelle miniere e nelle pianure come agricoltori, per la produzione intensiva di cereali[184].
Importante, nel medioevo, fu anche l'afflusso di genti toscane, liguri e còrse e successivamente iberiche durante la dominazione aragonese e spagnola, mentre in epoca moderna, nel XVIII secolo, ci fu l'insediamento dei tabarchini nell'isola di San Pietro (Carloforte) e nell'estremità settentrionale dell'isola di Sant'Antioco (Calasetta). Nella prima metà del XX secolo arrivarono alcune popolazioni venete, chiamate da Mussolini ad insediarsi nelle bonifiche dell'oristanese e che nel 1928 fondarono Mussolinia, in seguito rinominata Arborea. Molti minatori peninsulari giunsero da diverse parti d'Italia per popolare il grosso centro minerario di Carbonia, nel Sulcis (1938). Nel 1946 arrivarono gli esuli istriano-giuliano-dalmati scampati all'epurazione etnica perpetrata in Dalmazia e nell'Istria, che si stabilirono a Fertilia, nella Nurra di Alghero.[185][186] Tra la fine del XX secolo è l'inizio del XXI si è registrato un discreto flusso immigratorio di cittadini provenienti da altri paesi europei ed extra-europei. La popolazione straniera al 31-12-2014 ammontava a 45.079 persone, il 2,7% della popolazione totale sarda.[187].
Emigrazione[modifica | modifica wikitesto]
I primi flussi emigratori considerevoli si registrano verso la fine dell'Ottocento[188], fatto correlato anche all'interruzione del trattato commerciale con la Francia nel 1888. Considerando il periodo che va dal 1876 al 1903 gli espatri sardi furono verso il bacino del Mediterraneo e l'Europa (complessivamente il 61,9%[189]), mentre il resto dei flussi emigratori era quasi interamente destinato verso le Americhe[189] (di cui oltre il 92% con meta il Brasile[189]). Dai primi anni del Novecento il flusso divenne costante[188], dal 1901 al 1905 la destinazione principale fu l'Africa[189]. Dal 1906 al 1914 la media annuale crebbe in maniera considerevole e anche le destinazioni cambiarono infatti l'America divenne la meta più ambita seguita dall'Europa, mentre in Africa si indirizzò il flusso minore[189]
Dopo l'intervallo della I guerra mondiale il flusso riprese e nell'intervallo fra il 1919 ed il 1925 l'Europa assorbì la maggioranza degli emigranti[189]. In totale considerando l'intervallo dal 1876 al 1925 si contano 44.619 emigrati verso l'Europa[189], 44.169 verso l'America[189] e 34.190 verso l'Africa[189]. Dal 1987 al 1999, secondo le statistiche, sono emigrati 15.647 isolani[188] (82% in Europa, 16% nelle Americhe), mentre ne sono rientrati 12.869[188], con una differenza di 2.598 unità. La situazione all'inizio del XXI secolo vede la popolazione sarda emigrata all'estero stabilita nell'81% dei casi in alcuni dei maggiori paesi europei (Francia, Belgio, Paesi Bassi, Germania e Svizzera)[188], altre mete sono nazioni come Inghilterra, Spagna, Argentina e Venezuela. Fra questi un numero cospicuo è costituito da giovani laureati[190]. Una caratteristica particolare del movimento migratorio sardo fu quello dell'emigrazione femminile che in alcuni periodi, come negli anni sessanta era pari come numero a quella maschile.
Amministrazione e politica[modifica | modifica wikitesto]
Lo Statuto autonomo[modifica | modifica wikitesto]
Secondo quanto disposto nel sito ufficiale della Regione, lo Statuto speciale è la Carta fondamentale della Sardegna.[191]. Approvato con Legge costituzionale nel 1948, esso fa parte integrante dell'ordinamento costituzionale italiano dove l'art. 116 prevede speciali condizioni di autonomia per l'Isola (insieme ad altre quattro regioni).
Per quanti si occupano di studi sardi, le speciali condizioni di autonomia sono il riconoscimento di situazioni storiche, geografiche, sociali, etniche e linguistiche fortemente caratterizzate.[192] Nel quadro della situazione statale, secondo l'allora Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano, lo Statuto speciale rappresenta un unicum in risposta ad impegni, mai rispettati completamente, presi verso i sardi dai precedenti governi.[193].
Il percorso verso l'autonomia, dopo la sua perdita temporanea con la Fusione perfetta nel 1847, fu lungo e travagliato ed è passato attraverso un difficile processo di integrazione nello Stato unitario, richiedendo anche un pesante sacrificio di sangue durante la Grande guerra.[194]. A detta di alcuni storici, davanti al sacrificio delle fanterie sassarine sui fronti del Carso l'Italia avrebbe contratto un debito verso l'Isola.[194] Lo stesso Presidente del consiglio Vittorio Emanuele Orlando, visitando il fronte in uno dei momenti più critici promise ricompense alla fine del conflitto. Di ritorno a Roma disse in Parlamento: «Quando vidi i fanti della Brigata Sassari ebbi l'impulso di inginocchiarmi. La Nazione ha contratto un debito di riconoscenza per i sacrifici ed il valore dei Sardi in guerra, e questo debito pagherà».[194][195]. Al ritorno dal fronte gli ex-combattenti si organizzarono politicamente dando vita al Partito Sardo d'Azione la cui principale rivendicazione fu l'autonomia, riconosciuta con lo Statuto speciale - dopo la parentesi fascista - dall'Italia repubblicana il 22 dicembre 1947, cent'anni dopo la Fusione perfetta.[194] Lo Statuto fu emanato il 26 febbraio 1948.
Organizzazione della Regione[modifica | modifica wikitesto]
Le funzioni attribuite dallo Statuto alla Regione sono riconducibili a tre: funzione legislativa, funzione amministrativa, funzione politica e sono esercitate dai seguenti organi:
- Il Presidente, votato direttamente dagli elettori sardi, guida la Giunta regionale composta da assessori da lui nominati e su cui ha potere di revoca delle deleghe[196]. Oltre a organizzare il lavoro dell'organo esecutivo regionale, il Presidente è la figura di rappresentanza della regione nei vari ambiti nazionali e internazionali, oltre che garante dell'autonomia della stessa[196]. Inoltre è colui che indice le votazioni riguardanti gli organi elettivi regionali nonché i referendum regionali. Dal 12 marzo 2014 il ruolo è ricoperto da Francesco Pigliaru[197], a capo della coalizione di centrosinistra risultata vincente nelle elezioni regionali del 16 febbraio dello stesso anno.
- La Giunta regionale, scelta dal presidente della Regione (che ne è a capo), è l'organo di governo dell'Isola e detiene il potere esecutivo in ambito regionale[198]. Oltre al presidente della Regione, fanno parte della Giunta 12 assessori[198], aventi delega su un settore specifico di attività e a capo di altrettanti assessorati[198].
- Il Consiglio regionale corrisponde al parlamento locale[199], essendo l'assemblea dotata di potere legislativo nell'ordinamento della Regione. Si compone di 60 consiglieri[200], ed ogni legislatura ha una durata quinquennale.
Partiti politici[modifica | modifica wikitesto]
Oltre ai partiti politici nazionali, sono presenti nell'Isola diversi partiti regionali, fra cui movimenti di ispirazione autonomista o indipendentista. Tra di essi il partito di più lunga tradizione sardista è il Partito Sardo d'Azione, fondato da Emilio Lussu e Camillo Bellieni[201] e che nella persona di Mario Melis negli anni ottanta espresse il Presidente della Giunta Regionale. Altri partiti locali sono presenti con propri eletti in Consiglio Regionale, e sono attivi diversi altri movimenti e gruppi politici indipendentisti.
Suddivisione amministrativa[modifica | modifica wikitesto]
Suddivisioni territoriali storiche[modifica | modifica wikitesto]
La Sardegna ha avuto nel tempo diverse suddivisioni amministrative e territoriali. Inizialmente, già in periodo romano, il territorio sardo era stato suddiviso in diocesi ecclesiastiche, successivamente, nel periodo medioevale, la Sardegna era ripartita in giudicati e in curatorie, con dei brevi intermezzi signorili e comunali. Poi durante il dominio aragonese e spagnolo, l'isola venne divisa in vari feudi con marchesati, baronie e contee, che lasciarono tracce profonde come nel caso della regione storica delle Baronie. Nel XIX secolo la Regione era già organizzata con prefetture, province, tribunali, mandamenti e comuni.
La Sardegna è suddivisa in regioni storiche che derivano direttamente, sia nella denominazione che nell'estensione, dai distretti amministrativi, giudiziari ed elettorali dei regni giudicali, le curatorie (in sardo curadorias o partes) che probabilmente ricalcavano una suddivisione territoriale ben più antica operata dalle tribù nuragiche.[202] Alcune denominazioni non sono più in uso, mentre altre persistono anche in epoca moderna.
Suddivisione territoriale[modifica | modifica wikitesto]
Nel 1848 durante il Regno di Sardegna l'Isola fu suddivisa in 3 divisioni (Cagliari, Nuoro e Sassari), in 11 province (Alghero, Cagliari, Cuglieri, Iglesias, Isili, Lanusei, Nuoro, Oristano, Ozieri, Sassari e Tempio Pausania), in 84 mandamenti e 363 comuni. Sempre durante il regno sardo-piemontese nel 1859 la Sardegna fu suddivisa in due province (Cagliari e Sassari), in 9 circondari (le ex province meno Cuglieri e Isili), in 91 mandamenti e 371 comuni. Questa suddivisione si mantenne fino al 1927 quando furono eliminati tutti i circondari in Italia.
Dal gennaio 1927 la Sardegna fu suddivisa in 3 province: Cagliari, Nuoro e Sassari, a cui si aggiunse Oristano nel luglio 1974. Il numero di questi enti raddoppiò con la piena operatività dal 2005 delle province di Carbonia-Iglesias, Medio Campidano, Ogliastra e Olbia-Tempio.
In seguito ai referendum regionali del 2012, riguardanti anche le istituzioni provinciali, è stato dato avvio a un processo di riorganizzazione amministrativa di questi enti intermedi concluso nel 2016: con la Legge Regionale 2 di quell'anno sono state abrogate le province istituite nel 2001[203] ritornando ad uno schema con quattro di queste suddivisioni amministrative. Ad esse si affiancava la città metropolitana di Cagliari, composta oltre che dal capoluogo da sedici comuni, per una popolazione di oltre 432 000 abitanti e una superficie di 1 248 km²: tale istituzione (anch'essa concretizzatasi nel 2016) portava a trasformare il restante territorio della provincia di Cagliari e di quelle del Medio Campidano e di Carbonia-Iglesias nella nuova provincia del Sud Sardegna, che si aggiungeva a quelle di Oristano, Nuoro e Sassari.
La riforma ha previsto inoltre la costituzione di nuove circoscrizioni sovracomunali adeguate per lo svolgimento delle funzioni attribuite alle unioni di comuni e alle associazioni di unioni di comuni.
Stemma | Città metropolitana e Province | Comuni | Superficie (km²) | Abitanti (31/05/2016[204]) |
---|---|---|---|---|
Città metropolitana di Cagliari | 17 | 1.248 | 432.037 | |
Provincia di Sassari | 92 | 7.692 | 494.094 | |
Provincia di Oristano | 87 | 3.034 | 160.324 | |
Provincia di Nuoro | 74 | 5.786 | 212.477 | |
Provincia del Sud Sardegna | 107 | 6.339,46 | 357.071 | |
Regione Autonoma della Sardegna | 377 | 24.100,02 | 1.656.003 |
Circoscrizioni giudiziarie e sedi di tribunale (circondari)[modifica | modifica wikitesto]
L'intero territorio regionale della Sardegna costituisce il distretto della Corte d'appello di Cagliari[205] (con sezione staccata di Sassari), all'interno del quale si trovano i sei Tribunali (Cagliari, Lanusei, Nuoro, Oristano, Sassari e Tempio Pausania[206]), la cui circoscrizione territoriale di ciascuno viene definita circondario.
Installazioni militari[modifica | modifica wikitesto]
In Sardegna sono presenti varie installazioni militari (basi, poligoni, aeroporti, depositi). In totale esse occupano oltre 350 km², corrispondenti a circa l'1,5% della superficie dell'isola [207] e circa il 61% del totale delle servitù militari italiane, rendendo la Sardegna l'area più militarizzata d'Italia e tra le più militarizzate d'Europa[208]. Alle aree militari a terra si affiancano aree a mare per una superficie totale di 20000 km² (poco meno della superficie regionale), che vengono interdette alle attività civili durante le operazioni di esercitazione[207]. Particolarmente significativi sono i poligoni di Quirra, di Capo Teulada e di Capo Frasca, presso i quali prendono parte alle esercitazioni non solo truppe italiane ma anche di altri paesi NATO. Presso La Maddalena, era presente una base navale statunitense, ora dismessa, in cui operavano tra l'altro sommergibili a propulsione atomica.[207]
Sport[modifica | modifica wikitesto]
Diffusosi in Sardegna dalla seconda metà dell'Ottocento in poi (in particolare da secondo dopoguerra), lo sport fu praticato inizialmente nelle città, per poi diffondersi nelle periferie e nei centri minori. Le prime società sportive furono fondate a Cagliari, a Sassari e nel Sulcis dove era alta la concentrazione di operai che lavoravano nelle miniere.
Con riferimento ai dati ISTAT 2009 lo sport coinvolge circa il 28% della popolazione sopra i 3 anni con circa 460.000 praticanti[209] (cifra che raddoppia considerando anche coloro che praticano semplice attività fisica[209]), divenendo un fenomeno di massa, sostenuto anche da iniziative della Regione Sardegna (legge n. 17/1999)[209], che favoriscono l'organizzazione di eventi sportivi anche a livello internazionale. L'isola è rappresentata a livello nazionale con una o più squadre nelle massime serie, A o B, in vari sport di squadra.
Sport tradizionali[modifica | modifica wikitesto]
Uno sport in particolare, S'istrumpa, o lotta sarda, disciplina riconosciuta dal CONI e dalla Federazione Internazionale Lotte Celtiche (F.I.L.C), è una pratica sportiva tipica della Sardegna le cui origini sono antichissime. Rivalutata di recente e praticata soprattutto nella Sardegna centrale, i campioni sardi sono conosciuti a livello internazionale[210].
Calcio[modifica | modifica wikitesto]
Cagliari Calcio[modifica | modifica wikitesto]
Nel capoluogo dell'isola ha sede il Cagliari Calcio, società fondata nel 1920[211] e che nella stagione 2016-2017 milita nella Serie A del Campionato italiano[212]. Gli incontri casalinghi vengono disputati allo stadio Sant'Elia di Cagliari. La squadra vinse lo scudetto nella stagione 1969-1970[213].
Lo storico titolo fu per la città di Cagliari un'occasione di orgoglio portando all'attenzione nazionale e internazionale tutti i sardi e la Sardegna stessa[214].
Calcio femminile[modifica | modifica wikitesto]
L'A.S.D. Torres Calcio è una società di calcio femminile di Sassari ed è la principale della regione, nonché la più titolata d'Italia. Detiene infatti il record di scudetti, coppe Italia e supercoppe italiane[215].
Pallacanestro[modifica | modifica wikitesto]
La massima espressione del basket sardo è la Polisportiva Dinamo Sassari, che dopo una ventennale militanza nel Campionato di Legadue, ha raggiunto nella stagione 2009/2010 la promozione nella massima serie del campionato italiano maschile di pallacanestro, laureandosi campione d'Italia nella stagione 2014-2015 e qualificandosi in più occasioni ai play-off scudetto e nelle competizioni europee[216]. La Dinamo Sassari ha inoltre vinto altri tre trofei nazionali, due Coppa Italia e una Supercoppa italiana. Nel passato la Brill Cagliari ha militato nella Serie A dal 1968 al 1978. Nel basket femminile le principali società sono la Mercede Basket Alghero, la Virtus Cagliari e il CUS Cagliari.
Nell'ambito del basket in carrozzina figurano l'Anmic Dinamo Sassari, facente parte della Polisportiva omonima, e il GSD Porto Torres.
Manifestazioni sportive internazionali[modifica | modifica wikitesto]
In campo velico, le competizioni internazionali che si disputano nell'isola sono molteplici e di grande prestigio (tra di esse la Veteran Boat rally, considerata una delle più grandi regate di barche d'epoca[217], e la Sardinia Rolex Cup, ritenuta dagli appassionati l'equivalente mediterranea dell'Admiral's Cup[218]). Anche il rally ha lunga tradizione sugli sterrati sardi, con il Rally Costa Smeralda[219] e dal 2004 con la tappa italiana del Campionato Mondiale Rally[220]. Il Giro di Sardegna di ciclismo è stato vinto da importanti campioni[221], mentre per la corsa campestre vede ogni anno ad Alà dei Sardi il trofeo Alasport, anch'esso con la partecipazione di campioni internazionali della specialità[222].
Personalità illustri[modifica | modifica wikitesto]
Nel corso della storia la Sardegna ha dato i natali a personalità versate in ogni genere di arte e disciplina. Durante il Novecento ha espresso figure di rilevanza internazionale come Antonio Gramsci, la scrittrice premio Nobel Grazia Deledda ed Enrico Berlinguer, segretario del più grande partito comunista dell'occidente. Inoltre, a livello italiano l'isola di Sardegna ha avuto modo di esprimere quali presidenti della Repubblica Antonio Segni e Francesco Cossiga, oltre a Giuseppe Saragat, nato a Torino da genitori sanluresi.
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Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]
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