Non potrò partecipare alla direzione nazionale del Pd, convocata per domani alle ore 15. È per me impossibile raggiungere Roma perché sarò a Bruxelles alla riunione del gruppo socialista per rieleggere Gianni Pittella presidente. Voglio, dunque, svolgere essenziali considerazioni, che avrei esposto nella direzione, se fossi stato in grado di esservi presente.
Cari amici e compagni del Partito Democratico, è arrivato il momento di dirci le cose in faccia. Il Referendum ha di fatto sancito la nostra spaccatura; da una parte c'è chi ha lottato e lavorato affinché si concretizzasse il sogno del rinnovamento, dall'altra, un pezzo di partito, sempre lo stesso da decenni, che ha continuato ininterrottamente a combattere non contro il nemico esterno, ma contro il compagno della sedia accanto.
Ero sicuro del trionfo del No al referendum fin dalla scorsa estate e gli errori di Matteo Renzi nella campagna referendaria hanno confermato le mie certezze. Questo perché da molti anni faccio il giornalista, che comporta l'abitudine a leggere la realtà così com'è e non come la interpretano le ideologie o i sondaggi. Era solare che Renzi stesse viaggiando a tutta velocità contro un muro. La questione è: perché nessuno l'ha capito?
Ma da cosa deriva il dissenso? Dalle difficoltà economiche, certo. Dal fatto che è più facile essere contro che a favore. Ma soprattutto dall'incapacità di ascoltare che caratterizza la classe dirigente, la politica di tutti gli schieramenti.
Le hanno viste le bandiere rosse nelle piazze, nei teatri, nei tanti luoghi degli incontri festosi dei Comitati del No? Per neutralizzare il risultato clamoroso del referendum, nei loro interminabili vaniloqui televisivi i soliti noti ne celano l'esistenza e insistono nel riferire quel successo soltanto ai partiti (affermando così che ha vinto la destra) ignorandone volutamente il grande protagonista, il popolo italiano.
Hanno fatto un pastrocchio e l'hanno chiamato riforma e cambiamento. Poi con quei due titoli ammiccanti pensavano di avere in tasca, in un'apoteosi di demagogia, la solenne legittimazione popolare. Ma chi di demagogia colpisce, di demagogia perisce.
Renzi pur bocciato perentoriamente dalla stragrande maggioranza di italiani che vogliono riappropriarsi di sovranità, nel momento in cui si dimette, pretende contraddittoriamente, di portarci tutti a votare a febbraio per raccogliere il 40% o più dei voti, vincendo senza fare prigionieri e scegliendosi i parlamentari. Ancora una volta, un gioco di potere puro, ma anche il canto del cigno di un uomo disperato.
Il referendum costituzionale ha visto la vittoria schiacciante del No, la sconfitta del premier Renzi e le sue irrevocabili dimissioni. Se me l'aspettavo? Sì. E alla luce di tutto quello che è successo sotto il suo governo, mi chiedo, ma cosa pretendeva?
Un rifiuto la cui latitudine comprende Nord e Sud , Est ed Ovest del paese, classi sociali diverse. In questa sua omogeneità rende evidente che il filo conduttore identicamente vincente in tutte le regioni d'Italia, è scontento, è amarezza, è voglia di rovesciare il tavolo, è un No, appunto. A Renzi oggi, ma anche a chi ci sarà domani al suo posto.
Il 5 dicembre è arrivato e l'Italia è ancora qui. I mercati non ci hanno affondato, il paese non è sull'orlo del default, non sono arrivati gli Unni a invaderci. Certo siamo un Paese più diviso, lacerato, fragile, nel pieno di una crisi di governo. Penso si debba ripartire dal Sud che ha votato No, dalla connessione sentimentale che in queste città si è ricostruita con un pezzo del nostro popolo. Ci vogliamo provare?
Io l'avevo detto fin dal principio: non andate a votare. Almeno, non tutti. Questo referendum non prevede quorum, decide chi partecipa. E coloro che partecipano, e quindi che decidono, è bene che siano in pochi. Per un semplice motivo: perché in tanti si prendono le decisioni sbagliate. Questo non perché ci siano molti stupidi, ma perché non tutti sono fatti per comandare.
Aleppo est sta vivendo il momento più duro dall'inizio dell'assedio, iniziato lo scorso luglio. Si percepisce la disperazione nelle parole degli operatori sanitari con cui Medici Senza Frontiere (Msf) è in costante contatto. È sempre più difficile trattenere le lacrime durante queste conversazioni: lo sconforto pervade le loro parole e noi stessi, sempre più impotenti di fronte agli attacchi e alla distruzione.
Così il campo della ribellione dei poveri alla sopraffazione sociale viene occupato da altre forze, a volte esplicitamente di destra, altre semplicemente populiste. Ma è la sinistra che si è ritirata nelle sfilate di moda di via Montenapoleone. Lasciamo questa sinistra al suo destino e proviamo a organizzare la lotta di classe dei poveri. Lotta di classe populista che in Italia ha salvato la Costituzione nata dalla Resistenza
A ridosso del biennio 1958 - 1959, un politico italiano di nome Amintore Fanfani si trovò costretto a dimettersi dal suo gabinetto per via di alcuni falchi che lo misero in crisi più volte. I successi ottenuti dai suoi governi sono racchiusi nei libri di storia e ci vorrebbe più di un post per elencarli. Rimaniamo allora sull'episodio storico che ci riporta indietro nel tempo e che racchiude tante analogie e forse, chissà, anche le stesse evoluzioni.
La crisi della politica non può prescindere dalla crisi delle istituzioni. Le riflessioni che, ormai, da parecchio tempo si intraprendono sulle difficoltà dell'azione politica, rappresentano sempre più un esercizio scadente verso l'inoltrarsi in un dibattito che si concretizza in pura tautologia.
Da giorni il centro di Roma si è colorato delle brillanti luci del Natale. Ma quest'anno nel cuore della capitale, martedì 6 dicembre, si accenderà una luce diversa, una luce di speranza per la situazione in Siria, dove da più di cinque anni la popolazione è intrappolata nella morsa di un terribile conflitto. Alle 18,30 di martedì, davanti a Montecitorio infatti, Medici Senza Frontiere ci invita a scendere in piazza per dimostrare la nostra solidarietà.
Renzi ha annunciato le sue dimissioni, lo sappiamo non si parla d'altro. Ma da mesi nel grande marasma del Referendum, c'è un gravissimo problema irrisolto che riguarda centinaia di vittime di racket e di usura, riconosciuti dalla magistratura, ma abbandonati dallo Stato.
Dobbiamo fare tutto quanto è nella nostra responsabilità perché questo No della maggioranza degli italiani a quello che hanno giudicato un nostro peccato di arroganza, non si trasformi in un Sì e quindi domani in una vittoria del populismo, per nostro abbandono del campo. Non credo sia quello che vogliono gli italiani. Il populismo non è inarrestabile: lo dimostra la bella vittoria di Van der Bellen in Austria contro il populista Hofer.
Papa Francesco non lo sa, ma dovrebbe bussare alla Siae e farsi pagare i diritti d'autore. Debutta di fatto come ghost writer (non accreditato) di una commedia natalizia che è agli antipodi del classico cinepanettone e promuove un'idea di presepe trasversale dichiaratamente "Bergoglio's way". Il film è "Non c'è più religione", la mano è di Luca Miniero.
Gli italiani hanno votato per la Costituzione e, come volevano in molti, contro il populismo o meglio contro la demagogia del Governo. Il populismo del "meno politici", con la variante delle "meno poltrone" ridotti senza criterio, quello dei risparmi, scesi da un miliardo a 500 milioni senza nemmeno spiegare perché. Insomma, mentre si continuava a paventare, tra i rischi inesistenti quello del populismo, era proprio il Governo a farne uso.
Lo sapevamo molto prima del voto e ora sta venendo fuori, nei retroscena più e meglio informati. Matteo Renzi sapeva di avere due obiettivi: il primo (fallito) era raggiungere la fatidica soglia del 50,01% per a favore del Sì. Il secondo era che il No non superasse il 60%. Ebbene, il No si è fermato al 59,95%. Significa che, al di là della sconfitta nel merito e al di là delle dimissioni, Renzi ha confermato attorno a sé il 40% degli elettori
Questo voto non è pro o contro l'Unione europea. È un voto su una riforma costituzionale che Matteo Renzi ha erroneamente tentato di trasformare in un plebiscito sulla propria persona e sul proprio governo. Ha voluto giocare al populista, anche usando toni anti-europei, e ha perso, dividendo le forze a favore di un cambiamento del nostro sistema democratico ed economico.