23 ottobre 2016

NELLO SPECCHIO NERO DELL'ANARCHISMO

«Nello specchio nero dell'anarchismo»

André Breton
da finimondo.org
A cinquant'anni esatti dalla scomparsa di André Breton, fondatore ed animatore di quel surrealismo la cui retorica politica marxista non riuscì mai a nascondere del tutto l'essenza libertaria, riproponiamo qui due suoi testi apparsi negli anni 50 sul settimanale anarchico che vedeva la partecipazione dei surrealisti. Nel primo testo Breton ricorda senza mezzi termini come, nonostante una lunga e brontolante militanza a fianco della sinistra rivoluzionaria, è nell'anarchismo che il surrealismo affonda le proprie radici; il secondo testo è un suo pubblico intervento in solidarietà con alcuni anarchici all'epoca imprigionati e condannati in Spagna. Dalla loro lettura fuori tempo si potranno forse scorgere riferimenti senza tempo: sia sull'urgenza di «risalire ai princìpi» che hanno permesso ad un ideale umano di costituirsi — laddove «si incontrerà l'anarchismo ed esso soltanto» — e sia su «come in ogni azione di resistenza, sarebbe imperdonabile voler dissociare coloro che hanno agito con il più grande coraggio da coloro che l’accusa mischia ai primi per colpire in essi la semplice opposizione passiva al regime».
 
***
 
La Torre chiara
 
Dove il surrealismo si è per la prima volta riconosciuto, molto prima di definirsi a se stesso e quando era solo una libera associazione fra individui che rifiutavano spontaneamente e in blocco le costrizioni sociali e morali della loro epoca, è nello specchio nero dell'anarchismo. Fra gli alti luoghi dove ci ritrovavamo, in questo indomani della guerra del 1914, e la cui potenza di adunata era a prova di tutto, si annoverava la fine della Ballade Solness di Laurent Tailhade:
 
Colpisci i nostri cuori andati in brandelli
Anarchia! o portatrice di fiaccola!
Allontana la notte! schiaccia i vermi!
E innalza al cielo, foss'anche con le nostre tombe,
La Torre chiara che sulle onde domina!
 
In quel momento il rifiuto surrealista è totale, assolutamente inadatto a lasciarsi canalizzare sul piano politico. Tutte le istituzioni su cui poggia il mondo moderno e che hanno appena dato la loro risultante nella Prima Guerra mondiale sono da noi considerate aberranti e scandalose. Per iniziare, è contro tutto l'apparato di difesa della società che ce la prendiamo: esercito, «giustizia», polizia, religione, medicina mentale e legale, insegnamento scolastico. Sia le dichiarazioni collettive che i testi individuali dell'Aragon d'allora, di Artaud, di Crevel, di Desnos, dell'Éluard d'allora, di Ernst, di Leiris, di Masson, di Péret, di Queneau o miei attestano la comune volontà di farli riconoscere come flagelli e di combatterli in quanto tali. Ma per combatterli con qualche possibilità di successo, bisogna attaccarli nella loro armatura che in ultima analisi è d'ordine logico e morale: la pretesa «ragione» che ha corso e che con etichetta fraudolenta ricopre il «senso comune» più scalcagnato, la «morale» falsificata dal cristianesimo mirante a scoraggiare ogni resistenza contro lo sfruttamento dell'uomo.
Un enorme fuoco ha covato allora — eravamo giovani — e credo di dover insistere sul fatto che esso si è costantemente ravvivato con ciò che si sprigiona dall'opera e dalla vita dei poeti:
 
Anarchia! o portatrice di fiaccola!
 
che essi non si chiamino più Tailhade, ma Baudelaire, Rimbaud, Jarry, che tutti i nostri giovani compagni libertari dovrebbero conoscere come tutti dovrebbero conoscere Sade, Lautréamont, lo Schwob delle Parole di Monelle.
Perché una fusione organica non ha potuto operarsi in quel momento fra elementi anarchici propriamente detti ed elementi surrealisti? Dopo venticinque anni, me lo sto ancora domandando. Non v'è dubbio che l'idea di efficacia, che sarà lo specchietto per le allodole di tutta quest'epoca, ha deciso altrimenti. Quanto è stato considerato come il trionfo della rivoluzione russa e l'avvento di uno Stato operaio ha comportato un grande cambiamento di punto di vista. La sola ombra sul quadro — che doveva precisarsi come macchia indelebile — consisteva nella repressione dell'insurrezione di Kronstadt il 18 marzo 1921. Mai i surrealisti riuscirono a passarci sopra del tutto. Non di meno restava che verso il 1925 solo la III Internazionale sembrava disporre dei mezzi idonei a trasformare il mondo. Era possibile credere che i segni di degenerazione e di regressione già facilmente osservabili ad Est fossero ancora scongiurabili. I surrealisti hanno vissuto allora sulla convinzione che la rivoluzione sociale estesa a tutti i paesi non poteva mancare di promuovere un mondo libertario (alcuni dicono un mondo surrealista, ma è lo stesso). All'inizio tutti lo pensavano, compresi quelli (Aragon, Éluard, ecc.) che in seguito sono decaduti dal loro ideale originario fino a farsi una carriera invidiabile (agli occhi degli uomini d'affari) nello stalinismo. Ma il desiderio e la speranza umana non potranno mai essere al riparo di chi tradisce:
 
Allontana la notte! schiaccia i vermi!
 
È noto a sufficienza quale spietata devastazione sia stata fatta di queste illusioni durante il secondo quarto di questo secolo. Con spaventosa derisione, al mondo libertario che si sognava si è sostituito un mondo in cui la più servile obbedienza è di rigore, dove vengono negati i diritti più elementari all'uomo, e dove ogni vita sociale ruota attorno allo sbirro e al boia. Come in tutti i casi in cui un ideale umano giunge al colmo della corruzione, il solo rimedio è quello di ritemprarsi nella grande corrente sensibile in cui ha preso nascita, di risalire ai princìpi che gli hanno permesso di costituirsi. È al termine stesso di questo movimento, oggi più necessario che mai, che si incontrerà l'anarchismo ed esso soltanto — non la caricatura che se ne presenta o lo spauracchio che se ne fa, ma quello che il nostro compagno Fontenis descrive «come il socialismo stesso, ovvero questa rivendicazione moderna per la dignità dell'uomo (la sua libertà quanto il suo benessere): il socialismo, concepito non come la semplice risoluzione di un problema economico o politico, ma come l'espressione di masse sfruttate nel loro desiderio di creare una società senza classi, senza Stato, dove tutti i valori e le aspirazioni umane possano realizzarsi».
Questa concezione d'una rivolta e d'una generosità indissociabili l'una dall'altra e, non dispiaccia ad Albert Camus, illimitabili l'una come l'altra, i surrealisti oggi la fanno propria senza riserve. Scaturita dalle brume di morte di quest'epoca, essi la considerano la sola capace di far risorgere ad occhi da un momento all'altro più numerosi
 
La Torre chiara che sulle onde domina!
 
 
 
[Le Libertaire, n. 297, 11 gennaio 1952]
 
*
 
Discorso di Wagram
 
Compagni,
se c’è nel mondo un luogo in cui il cuore della libertà continua a battere, se c’è un luogo da dove i suoi battiti ci giungono meglio scanditi che da qualunque altra parte, sappiamo tutti che questo luogo è la Spagna. Entusiasma pensare che quindici anni di dittatura non l’hanno spezzata.
In occasione degli scioperi di Barcellona del marzo 1951, si è potuto constatare che non soltanto non era diminuita affatto la combattività, tanto negli ambienti operai che in quelli universitari, ma che un magnifico contagio si estendeva subito all’insieme della popolazione, isolando d’un tratto i detentori e profittatori del regime nella volontà di espellerli come un corpo estraneo al paese.
Tutti coloro che hanno parlato di questi scioperi, anche senza simpatia profonda per la lunga sofferenza del popolo spagnolo, sono rimasti colpiti dalla loro tendenza ad un allargarsi estremamente rapido come una macchia d’olio. Evidentemente si trattava di un fenomeno che smentiva tutti i loro prognostici. Essi non si rendono conto come un semplice boicottaggio di tram, deciso a causa di un aumento di tariffa sui trasporti, abbia potuto diffondersi con tale ampiezza. Passavano di sorpresa in sorpresa: la polizia aveva stranamente tardato a reagire, l’esercito era rimasto in aspettativa; uno sciopero che impegnava migliaia di operai aveva potuto essere iniziato per telefono, con un ordine, evidentemente apocrifo, della falange. Una manifestazione di simile portata (i corrispondenti della stampa concordarono nell’attribuirgli importanza decisiva) pare rendere bene il clima di quelle giornate quasi insurrezionali.
Si è potuto dire che, dal principio alla fine del movimento, la sua «unità di stile» gli era stata data dall’humour.
Così, contrariamente a ciò che ci si poteva aspettare, dati i mezzi coercitivi su cui poggia una dittatura, un simile movimento si era rivelato possibile e sulla strada del suo generalizzarsi e aveva potuto appena appena essere frenato.
In quegli avvenimenti, il fatto ancora più significativo fu che gli scioperanti ebbero una vittoria integrale.
Ricordiamoci che le compagnie dovettero rinunciare ad aumentare il prezzo del biglietto del tram, che il governatore e il capo della polizia di Barcellona furono sostituiti, e così pure il dirigente provinciale dei sindacati, fantoccio autorizzato da Franco.
Soprattutto ricordiamo che le sanzioni prese in occasione della rivolta catalana dovettero essere tolte, e gli scioperanti ottennero di essere pagati mediante ore supplementari.
C’è in questo un fatto nuovo che non sarà mai troppo meditato. Non si può che vedervi una grande incrinatura di tutto l’insieme della struttura dittatoriale.
Si può ammazzare e avvilire tutto ciò che può essere avvilito, si può brandire di volta in volta il crocifisso e il mitra, affamare un popolo e privarlo di ciò che rimane di comunità umana, ma non perciò si riesce a cancellare l’anima di questo popolo, così com’essa si è incarnata durante la mia infanzia nella persona di Francisco Ferrer e quale si è ritemprata nel valore leggendario della C.N.T. e della F.A.I.
Alcune, tra le cause immediate dei moti di Barcellona, sono state individuate senza fatica. Paul Parisot, in Preuves, insiste sulla miseria delle masse, sull’asfissia economica della Spagna.
Il Fomento de la produción, secondo organo economico spagnolo (e del padronato catalano) riconosceva nel novembre 1950 che l’operaio catalano per nutrirsi aveva bisogno di 1/2 del suo salario.
Il corrispondente di United Press a Parigi segnalava, nell’ultima settimana di dicembre, un aumento del 30% sui prodotti di prima necessità, come il pane, lo zucchero e le uova. A questo, egli diceva, si aggiunge l’esodo in massa dalle campagne verso le città, particolarmente verso Barcellona, esodo che aumenta la miseria nella città dove regna di già la disoccupazione e provoca una diminuzione di terra coltivata.
Queste considerazioni, in realtà davvero essenziali, hanno un solo difetto: lasciano da parte quella fiamma oscura, specifica del genio spagnolo che tramite Goya si è trasmessa, senza diminuzioni, dal Cervantes di Numanzia a Federico Garcia Lorca.
È questa fiamma che mi commuove sempre di ritrovare negli occhi dei nostri compagni spagnoli in esilio, incontrati qui o nel mondo. Ci sono stati grandi navigatori nella loro storia ed io sono persuaso che essi raggiungeranno il punto verso il quale non hanno mai cessato di dirigersi, nonostante tutti i venti contrari.
Non dimentichiamolo: il mostro che, per ora, ci tiene ancora in suo potere si è fatto gli artigli in Spagna. È là che ha incominciato a fare fruttare i suoi veleni: la menzogna, la demoralizzazione, la soppressione. È là che, per la prima volta, ha fatto luccicare le canne dei fucili al mattino presto e le sue camere di tortura al calar della notte. Gli Hitler, i Mussolini, gli Stalin hanno avuto là i loro laboratori sperimentali, la loro scuola di lavori pratici. I forni crematori, le miniere di sale, le scale sdrucciolevoli della N.K.V.D., l’estendersi a perdita d’occhio dei campi di concentramento, sono stati omologati a partire da là. È dalla Spagna che parte il dissanguamento che testimonia di una ferita potenzialmente mortale per il mondo. È in Spagna che, per la prima volta, il diritto di vivere liberi è stato colpito.
Compagni, parlando in questo modo ho coscienza di non allontanarmi da ciò che ci riunisce qui questa sera. Undici dei nostri compagni di Spagna sono, da ora, destinati alle pallottole franchiste. Noi sappiamo che la maggior parte di essi è in prigione da quasi due anni: è evidente che in questo modo Franco tasta l’opinione internazionale per sapere se essa sopporterà, su una scala molto più grande, la repressione del sollevamento del febbraio-marzo 1951 che ha fatto, si valuta, parecchie migliaia di arresti.
Quand’anche noi non conoscessimo la natura del delitto che espone alla morte i nostri compagni, è chiaro che in nessun modo potremmo riconoscere una sentenza pronunciata da ufficiali fascisti, dopo un simulacro di difesa fatta da altri fascisti, e questo a parte lo scandalo che c’è sempre nel fatto che un individuo, paludato da magistrato, domandi ed ottenga «la testa degli altri».
Ma la natura del delitto noi la conosciamo e sappiamo anche sotto quale legge scellerata esso cada, la «legge della repressione contro il banditismo ed il terrorismo», decretata il 18 aprile 1947. È sufficiente riflettere un istante su queste parole — banditismo e terrorismo — per riconoscere che sono applicabili abusivamente a qualunque attività di resistenza, come per esempio quella che da noi si è opposta al fascismo tedesco.
Non è meno evidente che i mezzi di lotta contro questa ideologia, dal momento che essa ha usurpato il potere, non potrebbero essere diversi, sia che ci situiamo nella Francia occupata di qualche anno fa, o nella Spagna di oggi, imbavagliata, legata, ma non vinta.
Questi mezzi abbiamo imparato a conoscerli e non abbiamo la memoria abbastanza corta per esigere che siano pacifici. È questa, e solo questa, l’occasione di dire, rivolgendoci ai giudici di Siviglia e di Barcellona: «Che i signori assassini incomincino».
Altri, dopo di me, protesteranno questa sera contro la serie di iniquità che hanno segnato lo sviluppo dell’affare di cui ci occupiamo. La famosa tecnica così detta dell’«amalgama» che dei processi come quelli di Mosca hanno perfezionato, permette, una volta di più, di riunire sotto lo stesso capo d’accusa dei compagni i quali non negano i fatti di cui sono incolpati e dei compagni che tali fatti non hanno per niente commesso, senza che ci sia possibile distinguere gli uni dagli altri, nelle condizioni di soffocamento realizzato (processo a porte chiuse, informazioni ridotte a cinque righe nei giornali di Barcellona e di Madrid).
Ma non è questa la questione: la nostra solidarietà va indistintamente a tutti loro. Come in ogni azione di resistenza, sarebbe imperdonabile voler dissociare coloro che hanno agito con il più grande coraggio da coloro che l’accusa mischia ai primi per colpire in essi la semplice opposizione passiva al regime.
Come fa osservare Solidaridad Obrera, organo della C.N.T. spagnola in esilio, l’accusa di «banditismo» cade; d’altra parte, da se stessa, se ci riportiamo a quel paragrafo del primo foglio riempito dal giudice istruttore che sottolinea abbastanza il carattere politico-sociale della persecuzione:
«Questi gruppi hanno perpetrato a Barcellona, che era l’oggetto principale della loro attività, allo scopo di continuarvi con atti criminali — qui gli occupanti nazisti non avrebbero parlato diversamente — la loro opera di perturbazione dell’ordine sociale.
In questo luogo hanno ricevuto l’appoggio dei membri della loro organizzazione (la C.N.T.) che non soltanto ha messo al loro servizio gli elementi di agitazione e dei gruppi organizzati ma ha loro procurato delle informazioni.
Essi facevano, inoltre, del proselitismo per diffondere le idee anarco-sindacaliste di azione diretta e trasmettere delle istruzioni ai gruppi di azione».
Si tratta, come si vede, di quella stessa forma di resistenza al fascismo che è stata tenuta da noi in grande onore.
Soprattutto, compagni, guardiamoci dal dubitare dell’efficacia della nostra protesta. Franco è ben lungi dal disporre di mezzi che permettano dietro la «cortina di ferro» l’organizzazione di quei processi spettacolari in cui gli stessi accusati vanno oltre i testimoni di accusa e guardano con compiacenza il loro carnefice. Egli è costretto ad agire nell’ombra e come abbiamo visto in occasione degli scioperi di Barcellona, non è impossibile farlo indietreggiare.
Prima che sia troppo tardi — perché secondo le ultime notizie sembra che i nostri compagni siano stati avvertiti dai loro falsi avvocati che stavano per essere fucilati — esigiamo ad una sola voce la revisione in piena luce dei processi di Siviglia e di Barcellona, con dei veri avvocati che abbiano tutto il tempo di studiare la causa e sotto la garanzia di osservatori stranieri.
A qualsiasi prezzo e con la massima urgenza, troviamo anche il mezzo di far giungere ai nostri compagni il nostro messaggio:
«A nome di tutti gli uomini liberi e di tutti coloro che aspirano soltanto a liberarsi, grazie.
Non cessate di sperare: siamo con il pensiero e con il cuore con voi.
Viva e gloria all’eroica C.N.T. spagnola».
 
[Le Libertaire, n. 305, 7 marzo 1952]

ALFREDO E ANNA INTERROMPONO LO SCIOPERO DELLA FAME


jumping on a wire 
Da Croce Nera Anarchica 
Il 22 ottobre Alfredo e Anna interrompono lo sciopero della fame iniziato rispettivamente il 3 e il 10 ottobre.
In seguito alla fine dell’isolamento.

seguiranno aggiornamenti

Qui i comunicati dell'inizio dello sciopero della fame dei due compagnx

COMUNICATO DEL COMPAGNO ALFREDO COSPITO SULL'OP. SCRIPTA MANENT

da Croce Nera Anarchica
 
Valentina, Danilo, Anna, Marco, Sandro, Daniele, Nicola amici, fratelli, sorelle, compagni, compagne sono stati arrestati e riarrestati.
Dovrei propinare la solita solfa sull’ennesima montatura. Invece voglio parlare del perché sono stati arrestati. Perché fratelli e sorelle hanno colpito, si sono stufati di aspettare, hanno ignorato le decisioni della maggioranza e sono passati all’azione.
Rimango comunque ottimista e di buon umore perché la logica dell’ “1+1=2” mi dice che i compagni-e che hanno colpito sono ancora in libertà quindi in grado di colpire di nuovo.
Il potere non reprime a caso. Oggi vuole isolare e annientare una parte del movimento anarchico che per quanto “esigua” è riuscita a spezzare le catene che la legavano alla “vecchia anarchia sociale”.
Un anarchismo sociale che ricerca in maniera suicida e compulsiva il “consenso a tutti i costi”.
Annacquando di continuo le proprie istanze.
Al potere fa comodo questa visione che non và “mai oltre” al contrario teme quegli anarchici che non si fanno legare le mani dal “consenso” perché convinti che solo l’azione (non dalle teorie astratte o dalla ricerca-inseguimento del “popolo”) nasca la strategia, la strada da percorrere.
Non voglio entrare nel merito delle “accuse” e delle così dette “prove”. L’unica cosa che mi sento di dire e che i fratelli e sorelle della FAI-FRI hanno sempre rivendicato a testa alta davanti ai porci togati i propri meriti le proprie azioni assumendosene le responsabilità, sputando loro in faccia, come facemmo noi a Genova.
La mia priorità assoluta non è uscire a tutti i costi dal carcere ma di uscirne a testa alta senza aver rinnegato niente di quello che sono stato, e che sono.
Uscirò con le buone o con le cattive, quello dipenderà dalle mia forza, dalle mie capacità, dalla forza dei miei fratelli e sorelle fuori ma sicuramente né uscirò a testa alta.
La mia complicità ideale va ai fratelli e sorelle della “Cooperativa Artigiana Fuoco ed Affini”-FAI, ai fratelli e sorelle della FAI-RAT(Rivolta Anonima Tremenda) ed ai fratelli e sorelle della Narodnaja Volja – FAIchiunque essi siano, dovunque siano.
La mia complicità ideale va all’anarchismo d’azione che in forme nnuove sta risorgendo in mezzo mondo dopo un lungo letargo.
Avanti senza paura.
Il futuro è nostro.
Pensiero e Dinamite
Alfredo Cospito

NUOVA USCITA DELLE ED.ANARCHICHE "EL RUSAC": LA RIVOLUZIONE SENZA ATTESA

NUOVA USCITA DELLE EDIZIONI ANARCHICHE “EL RÙSAC”
Collana “Libri”
Maria Nikiforova
La Rivoluzione senza attesa

Prezzo di copertina: 8euro per i distributori sconto del 50%
Pagine: 128

Brano tratto dall'introduzione all'edizione francese.

Fino a dove spingere il processo rivoluzionario quando questo non porta che ad un cambiamento al vertice dello Stato? Quando gli operai si stanno impossesando delle fabbriche e i contadini delle terre, come fare affinché la sedia del potere resti vuota e soprattutto le sue gambe vengano frantumate? Che fare quando la contro-rivoluzione arriva da ogni parte? Come evitare di cadere nella trappola di “fare la guerra” a scapito di “approfondire la rivoluzione”? Come riconoscere i falsi amici tra i rivoluzionari dalle intenzioni tuttavia sincere? Quali sono le conseguenze del coordinarsi con gruppi autoritari in un “fronte comune”? Quest’ultimo tipo di strategia sembra in questo caso impossibile senza rinunciare a parte delle proprie idee, ed è d’altronde questa la conclusione che trarrà Maria Nikiforova dopo aver sperimentato un’alleanza con i bolscevichi. Seguiamo il suo percorso non per rallegrarci delle sue alte gesta militari, ma come un’esperienza di situazioni piene di sconvolgimenti rivoluzionari e di difficoltà, come una finestra per affrontare una storia fatta da una successione di possibili non necessariamente accaduti.

Per chi desidera richiedere copie scrivere a:

edizionielrusac@autistici.org

18 ottobre 2016

15 OTTOBRE 2011 - LATERIZIO

da informa-azione.info
Riceviamo e diffondiamo:

Laterizio

Sono un mattone delle mura aureliane, ma mi piace pensare che in fondo sono una pietra come le altre. Ero argilla, terra cruda, prima di passare nel forno. Dopo la mia trasformazione una mano abile mi ha innalzato qui sopra quella che oggi chiamate porta S. Giovanni. Una posizione privilegiata per osservare non c’è dubbio. E io da 17 secoli osservo l’umanità passare attraverso le soglie di Roma. Ho visto l’artigiano che mi ha forgiato, ma non riesco a scordare gli occhi del suo schiavo, un giovane ragazzo che avrebbe preferito di gran lunga fuggire, o anche trovare la morte piuttosto che declinare la sua vita al padrone.

Ho visto il carpentiere portarmi su in alto, ne ho visti molti precipitare. Le mura si sa le costruiscono coloro che ne beneficeranno di meno. Anche in quel periodo, il III secolo, si parlava di crisi. Una crisi del tradizionale sistema economico, un periodo di instabilità con quelli che voi chiamate “barbari” che spingevano ai confini dell’Impero, lo scontento degli humiliores che sfociava spesso in sedizione. Quante volte ho visto le legioni imperiali affogare nel sangue i tentativi della plebe di cambiare la propria vita.

All’ombra delle mura di cui faccio parte ho sentito confabulare, congiurare, cospirare, arringare il popolo: “Che vengano i germani, che distruggano quest’impero maledetto”.

Ho visto i Visigoti di Alarico e i Vandali di Genserico con le loro orde travolgere le mura e saccheggiare la città eterna. E più in la i lanzichenecchi di Carlo V che vennero a punire il nuovo imperatore che si faceva chiamare Papa: come ogni sovrano regnava nella corruzione e nel terrore. Ma a pagare le scelte dei signori è il popolo stesso che ha eretto e solidificato le mura delle maestose città.

Ho visto la Repubblica Romana ed i suoi ideali di libertà decapitati nuovamente dall’oppressore. Ho visto delle orrende palle di fuoco cadere dall’alto. Ho visto imponenti esseri d’acciaio solcare in cielo in grandi guerre mondiali. Ho visto delle milizie con la camicia nera scimmiottare la mitologia dell’antica Roma per difendere le proprietà e l’ordine dalla stessa popolazione che dicevano di rappresentare.

Avrei voluto gridare che la Storia, vista come il solco tracciato dalla ruota del carro dei vincitori, è una menzogna, una menzogna insanguinata, un incubo da cui risvegliarsi. Avrei voluto gridare a tutti quelli che passano di lasciar perdere i grandi condottieri, gli Imperatori i Re, i Papi, gli statisti e i Presidenti e pensare, immaginare, sognare lo schiavo in rivolta, l’eretico, la prostituta ribelle che arringa la folla, il bambino che raccoglie una pietra e la scaglia sul soldato. Avrei voluto gridare. L’ho fatto. Ma lo sapete, la mia voce è muta.

Ma vedo ancora bene e sento i vostri discorsi, sento la rabbia la frustrazione ma anche la rassegnazione e la morte di ogni speranza. Vi sento dire che niente cambierà che è tutto inutile. La più grande menzogna che la democrazia – la nuova forma subdola di dominio- vi ha inculcato è che tutto è destinato a rimanere così per sempre. Perché d’altronde questo, è il migliore dei mondi possibili: quello dell’Economia.

Pensate che i grandi avvenimenti storici sono già tutti avvenuti e di non essere parte di nessun movimento tellurico della Storia. Pensate di essere gettati sul binario da seguire che è quello del lavoro, della noia, della sottomissione e del divertimento come palliativo.

Non è vero. Avete la scelta.

Ho visto, dalla mia posizione privilegiata, una fiumana di gente correre in direzione di piazza San Giovanni, il 15 ottobre del 2011. Dietro di essa una decina di mostri meccanici rincorrerla e girare all’impazzata, seguita a piedi dai gendarmi del vostro tempo, con le loro corazze forgiate apposta per fronteggiare le sedizioni urbane. Avevano la stessa faccia dei legionari e dei soldati del Papa, massacratori di ribelli nei secoli orsono. Ho visto giovani infuriati attaccarli con impeto, spazzando via con un calcio la paura, proprio come rimandavano indietro degli strani cilindri che sputavano un fumo urticante. Ho visto la folla silenziosa diventare classe pericolosa, accerchiare e uccidere col fuoco il mostro meccanico, e far fuggire a gambe levate le guardie vilmente nascoste al suo interno. Ho visto vergare sopra un altro muro “Oggi abbiamo vissuto”. Ho sentito urla, incitazioni, risate, bestemmie, maledizioni, grida di gioia e di paura. Questo grido lo brama ardentemente il brivido sottile che corre lungo le innumerevoli schiene. Per l’esistenza più profonda, inconsapevole della massa, le feste di gioia e i falò sono solo lo spettacolo nel quale essa si prepara all’istante dell’emancipazione, a quell’ora in cui il panico e la festa, riconoscendosi fratelli dopo una lunga separazione, si abbracciano nell’insurrezione rivoluzionaria.

Guardavo tutto dall’alto ma volevo far parte anche io della battaglia, cadere sulle teste dei nemici, raggiungere finalmente il suolo per essere preso da una mano lesta, non volevo e non voglio essere muro, voglio essere breccia, voglio volare.

La lenta stratificazione delle epoche storiche alla quale assisto impassibile mi ha insegnato che gli oppressi non hanno nulla da guadagnare da mura di cinta, galere, e confini.

Da qui vedo i grandi palazzi del commercio e della finanza, i luoghi di culto della rassegnazione e quelli del denaro: sono già rovine prima di decadere. All’ombra di ogni tempio nascono degli eretici così come all’ombra delle mura, tra i passanti, nasce e si diffonde il pensiero e la pratica sediziosa della solidarietà e della condivisione.

Le pietre passano di mano in mano.





RADIOCANE: FARE LA PROPRIA PARTE - DAL PIEMONTE AL KURDISTAN

da radiocane
Da un lato il tentativo di intralciare la pioggia di restrizioni e misure giudiziarie distribuite a piene mani dalla procura di Torino sulle varie situazioni di lotta. Cambiare strategia: un posizionamento individuale a fronte dei meccanismi repressivi che negli ultimi mesi si è diffuso e, in Val Susa, ha trovato il sostegno collettivo che porta anche alla nascita  della campagna “io sto con chi resiste”. Dall’altro lato, il Kurdistan, gli attacchi della Turchia alla resistenza curda e la necessità di difendere ed appoggiare l’esperienza rivoluzionaria in Rojava.
Un approfondimento a partire dall’opuscolo “Noi, semplicemente, facciamo la nostra parte”.

ascolta:

Fare la propria parte: dal Piemonte al Kurdistan

SARDEGNA: RUMORI DAL CONFINO - TESTO DEL COMPAGNO ANARCHICO MICHELE


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da croce nera anarchica

N.D.S.
La notte trail 20 e il 21 aprile 2016, durante un ‘’controllo’’ di polizia su due persone che zitte zitte se la pisciavano in un aiuola nel buio desolante di Lungarno Generale Dalla Chiesa a Rovezzano (FI), un gruppo di persone, decise a non sottostare più al controllo da parte degli aguzzini dello stato, si oppone a questi ultimi e in qualche modo riesce ad evitare che i propri amici e compagni vengano portati via. Di li a poco (con una celerità che ha dell’incredibile), di fronte al locale dove il gruppo di compagni si gode un concerto, si materializzano una decina di volanti tra carabinieri, polizia e municipalotti (e, ovviamente, anche la DIGOS, immancabile in questi casi). Come è loro consueto fare, si scaraventano fuori dalle volanti, già col manganello in mano, e si lanciano sulle prime persone che incontrano (palesemente feriti nell’ orgoglio per il mancato arresto dei due pisciatori anonimi). Quello che forse non si aspettano è di trovarsi di fronte persone decise a resistere all’ ennesima operazione sbirresca, pronte a tutto pur di opporsi alla prepotenza dei cani da guardia dello stato. Ne scaturisce ovviamente uno scontro, Michele viene subito buttato in terra e ammanettato, e poco dopo caricato in volante. Il bilancio parla di 14 sbirri feriti e 3 compagni anarchici arrestati: Michele, e subito dopo Alessio e Francesca, presenti anche loro ad assistere a quel teatrino di ordinaria repressione. Le accuse: Resistenza pluriaggravata, Lesioni a pubblico ufficiale, Oltraggio e Danneggiamento aggravato.
Ma la notte non finisce con le sirene che corrono verso la Questura di Firenze. Mentre i tre erano intenti a prendere schiaffoni in questura, 4 molotov contro la stazione dei carabinieri di Rovezzano illuminano la notte fiorentina, danneggiandone parzialmente la facciata. A seguito di ciò, i tre venivano portati nel carcere di Sollicciano la mattina dopo, dove Alessio e Francesca soggiorneranno per 3 giorni, mentre Michele spenderà due settimane.
Rumore dal confino
“Sono passati quasi sei mesi da quella notte, e ad oggi le misure di custodia cautelare restano invariate. Dopo carcere e domiciliari, arriva l’obbligo di dimora, una misura cautelare non diversa dal confino.
Le accuse sono chiare esattamente come l’intento dell’accusa: Dividere i compagni per mandarli il più lontano possibile dai propri solidali, e renderli così ‘’innocui’’. In merito a ciò, nell’ arco di sei mesi, le istanze di scarcerazione vengono respinte adducendo le scuse più disparate, dal pericolo di reiterazione considerata la premeditazione, al ‘’mancato pentimento’’ da parte dei tre.
Il 10 ottobre c’è stata l’udienza di apertura del processo per i fatti di Rovezzano, di fronte al giudice Di Girolamo e al PM Ledda, quest’ultimo agguerritissimo e più che deciso ad opporsi alla revoca delle misure di custodia cautelare che, in questo caso specifico, potrebbero protrarsi per 2 anni.
Detto ciò, mi sento di fare un paio di doverose considerazioni. Hanno parlato di ‘’pericolo di reiterazione’’ e ‘’mancato pentimento’’, e per quanto mi riguarda hanno assolutamente ragione. Quella notte a Rovezzano  ho opposto resistenza, ho cercato di impedire alla sbirraglia di compiere ‘’il proprio lavoro’’, dal momento che il loro lavoro non  è altro che l’espressione violenta della funzione repressiva dello stato, consiste nel limitare la nostra libertà, ed eliminare chi, con caparbietà e rabbia, cerca giorno per giorno di ribaltare la realtà attuale, andando contro stato e potenti, sempre a testa alta e senza temere le conseguenze repressive. E’ una pratica che nel tempo ho fatto mia, che sento giusta e necessaria, oggi più che mai, e alla quale mai rinuncerò.
Il mio è un appello a tutt* per la complicità, perché la pratica dell’opposizione al controllo da parte del braccio armato (e non) della macchina repressiva dello stato diventi consuetudine,  che ai manganelli venga risposto con i bastoni e le bottiglie e che le nostre notti siano illuminate di mille fuochi.
Che sappiano che nulla spegnerà il fuoco che ho in corpo, che so aspettare, e che tornerò al fianco dei miei compagni, più deciso che mai a mettere a ferro e fuoco tutto ciò che di marcio esiste intorno a noi.
E che guardie e governanti si ricordino che La mia Passione per la Libertà, è più forte di ogni autorità.
E che tremino a questo pensiero.”
                                                                                                                                                                                                        Michele (Dal Confino in Sardegna)

SASSARI: INTERROTTO SEMINARIO DELLA MARINA MILITARE ALL'UNIVERSITA'

Riceviamo e diffondiamo:

INTERROTTO SEMINARIO DELLA MARINA MILITARE ALL'ATENEO TURRITANO. 

Giovedì 13 ottobre un gruppo di studenti e militanti dei movimenti contro l'occupazione militare della Sardegna hanno interrotto un seminario tenuto da graduati della Marina Militare de La Maddalena presso l'aula Mossa della facoltà di giurisprudenza di Sassari.
Il seminario in questione fa parte di una serie di incontri voluti a presentare il nuovo corso di studi in Sicurezza e Cooperazione Internazionale,attivato quest'anno all'ateneo Turritano in collaborazione con l'Esercito Italiano.
I contestatori,a seminario appena iniziato,hanno esposto uno striscione recante la scritta "Fuori la guerra dall'università" interrompendo i militari e impadronendosi del microfono così da spiegare ai partecipanti i motivi dell'azione, denunciando la subdola funzione del corso di laurea pensato con l'obbiettivo di formare figure professionali che si posizionino a metà strada tra l'ambito civile e quello militare.
Durante l'intervento altri militanti hanno distribuito il volantino sottoriportato per poi scandire cori contro la militarizzazione dell'università.


COMO: COMUNICATO DI AMMUTINAMENTO AI FOGLI DI VIA