Il governo ha un problema di soldi: la coperta è sempre troppo corta

di 25.03.2015 10:21 CET
Renzi Padoan
Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan Reuters

20 febbraio 2015, Matteo Renzi nella conferenza stampa dopo l'ennesimo consiglio dei ministri sul Jobs Act descrive "una giornata storica: nessuno sarà più lasciato solo". In particolare il premier è raggiante quando parla del riordino dei contratti e della 'guerra al precariato'.

25 marzo 2015, il decreto in questione, assieme a quello sulla 'conciliazione dei tempi di lavoro con la maternità' è "scomparso dai radar". La definizione è del presidente della Commissione Lavoro della Camera, il PD Cesare Damiano. Né a Montecitorio né al Senato le due Commissioni competenti, investite del compito a esprimere un parere, hanno convocato una seduta per discutere del tema.

Tre giorni fa il Corriere della Sera ipotizzava che, ancora una volta, i problemi sono le coperture. "I contratti precari hanno in media un basso salario ma portano nelle casse pubbliche parecchi soldi, visto che i contributi possono coprire, a seconda dei casi, il 24,5% o addirittura il 30,75% della paga. Il nuovo contratto a tutele crescenti, invece, non porterà quasi nulla. Perché, oltre al licenziamento più facile, a renderlo attraente è proprio il fatto che i contributi non si pagano, con uno sconto che può arrivare fino a un massimo di 8.060 euro l'anno per tre anni. Un successo politico potrebbe diventare un problema economico".

La Ragioneria di Stato avrebbe dubbi sulle coperture, un po' come già accaduto nella parte del Jobs Act che introduceva il contratto a tutele crescenti. L'ex ministro del Lavoro Damiano, ascoltato dal fattoquotidiano.it, è stato molto critico.

 "Se uno va di fretta, rischia di scoprire dopo che non funziona. Nella scrittura dei decreti, noto alcune ingenuità e superficialità. Varrebbe la pena di fare lavori più accurati. Se non vogliamo solo un fuoco di paglia, una fiammata propagandistica, sui tanti contratti a tutele crescenti, bisogna innanzitutto rendere strutturali gli incentivi alle assunzioni, e non solo per il 2015".

Ma il governo, in cronica ricerca di risorse, ha anche altre gatte da pelare e si chiamano clausole di salvaguardia, la spada di Damocle prevista dalla legge Stabilità 2015 che rischia di abbattersi sul paese, abbattendolo definitivamente: aumenti IVA e di accise che peseranno nel 2018 fino a 30 miliardi.

Per evitare il deflagrare di questa bomba, il governo Renzi dovrà fare sul serio sugli annunciati tagli di spesa, la mitologica quanto nebulosa spending review. O incrociare le dita sulla presunta ripresa (lo 0,1% stimato dall'ISTAT ha fatto stappare troppe bottiglie di champagne), sperando che diventi reale, trascinando le entrate fiscali.

Ma in seno all'esecutivo non sempre si fa di conto. "Dobbiamo ridurre la pressione fiscale specifica sul lavoro e sulle imprese per renderla, nel 2018-2020, analoga per dimensioni a quella della Germania. Per raggiungere questo obiettivo dovremmo rinunciare a 36-37 miliardi di gettito annuo". Lo ha detto il numero 2 di Padoan al Mef, Enrico Morando. Dove li andrà a prendere il governo delle tasse sul risparmio e delle mazzate alle partite IVA? La coperta al solito è corta, ma a restare scoperti finora sono sempre stati gli stessi.