Roma – venerdì 29/4 Accoglienza e detenzione: 1 anno di lotte contro il controllo dello stato @ Casale Alba 2

Un sistema integrato di isolamento, segregazione, controllo, sfruttamento e selezione delle persone arrivate in Italia. Centri, iter burocratici, regole, leggi e prescrizioni tra loro diverse ma che hanno in comune l’annullamento della libertà e dell’autonomia delle persone migranti criminalizzate o vittimizzate. Sono le centinaia di proteste, resistenze, rivolte o fughe a parlarcene.

Venerdì 29 aprile, alle 19 presentazione dell’opuscolo a cura di Hurriya.noblogs.org

A seguire dibattito e aperitivo a sostegno delle lotte contro i C.I.E.

CASALE ALBA 2 – PARCO DI AGUZZANO – ENTRATA DA VIA GINA MAZZA O VIA FERMO CORNI

Il 30 aprile, presidio a Ponte Galeria; porta la tua solidarietà sotto le mura del CIE  romano di Ponte Galeria in solidarietà con le persone ancora recluse. Appuntamento alle 16 a stazione Ostiense per andare insieme al presidio.

Stampa e diffondi la locandina

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Germania: Campagna dei/delle migranti per l’autorganizzazione e la lotta contro deportazioni e criminalizzazione

traduzione da: The Voice Forum

“The VOICE Forum” dei rifugiati, è una rete sociale indipendente di attivisti politici migranti che si battono per il rispetto dei diritti umani, l’uguaglianza, la libertà e la dignità umana e per la libertà di movimento.

demoCampagna per rompere la cultura della deportazione e la criminalizzazione dei rifugiati in Germania e in Europa

In solidarietà con la rete sociale dei rifugiati
Rompiamo la cultura della deportazione – la deportazione è criminale e lottiamo per fermarla!

Le strutture e i processi d’asilo europei criminalizzano ogni migrante (a volte, anche prima di arrivare in Europa). Questa criminalizzazione è puntualmente e meticolosamente elaborata, e si manifesta in diverse forme di discriminazione, sociale e istituzionale, nel razzismo, e trova il suo culmine nella deportazione. La deportazione è criminale. Lo è non solo perché ovviamente nega ai deportati il diritto alla libertà di movimento e quello di decidere il proprio luogo di dimora, ma anche perché non tiene in considerazione il costo fisico ed economico così come gli effetti psicologici a lungo termine, e alimenta la macchina delle deportazioni e i suoi sostenitori. Nel peggiore dei casi, qualcuno muore durante la deportazione mentre altri vengono scaricati in paesi in cui le loro vite sono in pericolo o dove vengono uccisi dalle stesse forze dalle quali erano scappati inizialmente. Da qualche anno, le autorità tedesche hanno avuto ambigue collaborazioni con le ambasciate straniere, come quella nigeriana a Berlino, per rilasciare certificati di viaggio ai cittadini di altri stati africani che vengono poi deportati in Nigeria senza alcuna garanzia di sicurezza. Sebbene questo scandalo sia stato smascherato, non c’è dubbio che entrambe le parti stiano continuando con questa subdola pratica.

afghan-refugee-protest-berlin-17-nov-15-toloIn Germania la distruzione continua dei diritti dei rifugiati, che ha assunto la massima priorità per lo stato, svuota di significato il diritto d’asilo e la protezione dalla persecuzione, segno distintivo della convenzione di Ginevra. Eppure i politici, i gruppi razzisti, persone malaccorte e ignoranti, continuano ad accusare i rifugiati per tutti i problemi della società tedesca, per giustificare e stabilizzare la cultura della deportazione e l’esclusione sociale dei rifugiati.

Stati sicuri “artificiali”

Nelle ultime settimane e mesi, molte famiglie rom sono state deportate nei cosiddetti “paesi d’origine sicuri” nella regione balcanica. Molti di questi stati come Albania, Serbia, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia e Montenegro sono paesi in cui la discriminazione, le minacce e le attuali persecuzioni fanno parte della orrenda vita quotidiana dei rom. In nessuno di questi paesi c’è una garanzia di salvezza e sicurezza per loro, ma questo al governo tedesco e ai suoi colleghi europei non interessa. Sono state annunciate altre deportazioni, comprese quelle verso l’Afghanistan, iniziate recentemente ma definite come “rimpatri volontari”. Si sta pianificando di intensificare le espulsioni, il discutibile accordo bilaterale con gli stati del Nord Africa apre la strada alla deportazione di migranti da quella regione così come da molti stati che verranno considerati “sicuri”. Questi stati sicuri sono “artificiali”. Questi stati sono sicuri solo per gli accordi che garantiscono gli interessi tedeschi, e non per le persone che sono scappate per cercare sicurezza e dignità per le loro vite.

stopI rifugiati che rifiutano di firmare gli ingannevoli documenti dell’ufficio stranieri (Ausländerbehörde) per il rimpatrio volontario vivono nella paura perpetua di essere deportati senza preavviso negli stati in cui alcuni di loro vengono minacciati di morte. Questa è una tortura psicologica continua, progettata deliberatamente dal governo tedesco per spezzare la volontà dei rifugiati in questo paese. È inconcepibile. Tutto ciò è criminale e deve finire!
I politici che guidano i partiti di governo ogni giorno sostengono con zelo la deportazione di migliaia di migranti, mentre i partiti pro-fascisti chiedono che la polizia sia autorizzata a sparare ai migranti lungo le frontiere nazionali. Le guardie spagnole sparano e uccidono migranti innocenti ai confini di Melilla e Ceuta dal 2005 in aggiunta ad altri innumerevoli abusi orrendi, ma questo non fa quasi mai notizia. Questo è ciò che si sostiene in Germania adesso, nel cuore di questa sviluppata e civilizzata Europa dove la democrazia e la libertà eccedono così tanto che vogliono esportarle nei cosiddetti paesi sottosviluppati.

Uniamoci per fermare la deportazione e l’esclusione sociale dei rifugiati in Germania!

In questi tempi disperati di attacco aggressivo al diritto d’asilo orientato ad accelerare la sua totale abolizione e implementata dal crescente terrore della destra, dalla violenza e dalle mobilitazioni di massa contro i migranti in Germania, vogliamo offrire una opposizione comune e una piattaforma di solidarietà contro questi crimini dello stato tedesco. Non è sufficiente impegnarsi in queste iniziative “Refugees Welcome” diffuse e distratte, dove la maggior parte dei partecipanti “benevolenti” aspetta che i “poveri rifugiati” siano grati d’essere accampati in tende e palazzetti dello sport mentre vengono bombardati di vestiti e scarpe di seconda mano.

La forza dei migranti conta- Per l’autodeterminazione e la libertà!

stop-tentsPer oltre 20 anni, la voce dei migranti è stata coerente nel portare alla ribalta le questioni della libertà e dell’uguaglianza, dei diritti umani e della dignità per tutti così come l’opposizione al razzismo sociale e istituzionale e alla discriminazione. Ci siamo riusciti solo grazie alla nostra capacità di autorganizzarci, autodeterminarci e alla coerenza con i nostri principi. Per questo dobbiamo continuare con la nostra autorganizzazione. Organizziamoci in comunità politiche in ogni campo profughi, ovunque siamo!

Uniamoci nella solidarietà con i parenti di coloro che sono morti o scomparsi lungo il viaggio verso l’Europa. Uniamo la nostra solidarietà contro ogni forma di repressione contro i rifugiati nei campi, nelle strade in Germania e in Europa. Più siamo uniti, più siamo forti! Sappiamo che le ragioni delle nostre fughe e i voli dai nostri paesi sono connessi allo sfruttamento globale e alla distruzione dei nostri paesi d’origine, attraverso le guerre e i cosiddetti trattati internazionali, per mano del dominio globale dell’egemonia capitalista dei paesi ricchi.
Noi siamo qui perché loro hanno distrutto i nostri paesi.
Ricordiamo le persone che hanno lasciato i loro paesi, dove i regimi fantoccio legati agli interressi occidentali continuano a opprimerle. Denunciamo lo sfruttamento delle risorse per mano dei paesi europei che sono complici con i dittatori e i loro partner nella corruzione dei paesi da cui proveniamo noi migranti, mentre allo stesso tempo ci opprimonono qui in Europa!

La nostra autodeterminazione e autonomia politica nella rete comunitaria dei rifugiati sono i principali riferimenti e sono altamente preziosi. Sono cruciali per i nostri continui sforzi di mantenere indipendente la piattaforma della comunità dei rifugiati. Chiamiamo tutti i rifugiati affinchè accettino la sfida di sostenere questi principi impegnandosi nell’autorganizzazione e autodeterminazione. Ci appelliamo a tutti i solidali e non rifugiati per sostenere il riconcentrarsi delle nostre strategie sulla via da seguire, unendoci per potenziare le lotte delle comunità migranti in una reale solidarietà, che vada al di là del simbolico e della filantropia.

I nostri scopi e obiettivi principali sono quelli di diventare solidali uno con l’altro senza alcuna discriminazione, razzismo e sessismo dello stato o di altri enti. Vogliamo promuovere un cambiamento socio-culturale e politico tramite incontri regolari, discussioni ed eventi sulla situazione nei nostri paesi e sulla nostra situazione in Germania. Organizzando eventi collegati e attività nelle nostre regioni e altrove, distruggiamo insieme ISOLAMENTO e DEPORTAZIONE – sponsorizzati dallo stato – dei migranti in Germania.

I 22 anni in movimento del forum VOCE dei Rifugiati, organizzato come rete delle comunità di rifugiati, ci hanno insegnato che l’unità, attraverso una piattaforma politica indipendente di rifugiati e l’autodeterminazione nelle comunità di rifugiati, portate avanti da attivisti rifugiati e per i rifugiati, è forza.
Attraverso le nostre reti comunitarie, nessun rifugiato dovrà essere lasciato indietro!

Uniamoci contro le deportazioni e i campi di espulsione, l’isolamento e l’esclusione sociale degli accampamenti, delle palestre, dei lager e dei container! Senza la comunità degli oppressi non può esserci una vera lotta!
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L’hotspot e Taranto: la frontiera è ovunque

HST1Mentre in Grecia tutte le migliaia di persone arrivate nelle isole vengono imprigionate, direttamente dai luoghi di sbarco, negli hotspot, che svelano così completamente la loro (prevista e prevedibile) funzione di campi di selezione e concentramento, in Italia ancora si fa poca attenzione a quello che avviene in questi luoghi di reclusione.

Negli hotspot di Lesbo, Samos e Chios ci sono state nei giorni scorsi ripetute rivolte e fughe di massa dai centri (pur considerando che le isole stesse, per loro natura, sono di fatto una prigione a cielo aperto); le ONG hanno denunciato la situazione e dichiarato la loro (apparentemente) rinuncia a collaborare, mentre  in Italia avanzano solo qualche critica. 

Eppure anche qui, da Lampedusa a Taranto, continua la lotta dei/delle migranti contro la detenzione e le identificazioni, attraverso proteste, cortei, tentativi di fuga, resistenza alla presa delle impronte, scioperi della fame. Mancando purtroppo il più delle volte un supporto solidale all’esterno, di queste proteste si san ben poco, e solo le più eclatanti sono riportate, talvolta, dai media.

L’hotspot di Taranto ha una capienza prevista di 300 posti, ma a ogni sbarco qui vengono ammassate molte più persone. È recintato, controllato da telecamere e presidiato da esercito, polizia, carabinieri, polizia municipale, protezione civile e croce rossa. Le persone sono ammassate in tensostrutture, ed esposte ai fumi della vicina ILVA.

Il foglio di via consegnato ai migranti

Il foglio di via consegnato ai migranti

Oggi 13 aprile, come riportano alcune testate locali, una trentina dei 324 migranti arrivati la notte scorsa all’hotspot di Taranto, su autobus provenienti da Reggio Calabria, sono fuggiti dal centro per evitare l’identificazione. Dopo la caccia all’uomo e l’inseguimento, sono stati poi individuati da polizia e carabinieri e ricondotti forzatamente nell’hotspot.

Nei giorni scorsi, e come in precedenza, circa 200 migranti avevano ricevuto un decreto di espulsione ed erano stati rilasciati con un  foglio di via che impone loro  di lasciare l’Italia entro 7 giorni. Nel frattempo, rimasti senza soldi e senza un tetto, sono “liberi di circolare”, e chi può prova a continuare il viaggio attraverso le frontiere blindate. Per loro fortuna la macchina delle espulsioni, in Italia, è stata inceppata dalle rivolte dei migranti nei centri di detenzione a Torino, Roma, Bari, Crotone e Caltanisetta, le strutture e i posti disponibili sono pochi e di conseguenza sembrano diminuire, per il momento, anche le espulsioni.

A quanto si è appreso, sempre nei giorni scorsi, alcuni migranti si sono cosparsi i polpastrelli di colla per ostacolare l’identificazione. «Ma la Polizia si è attrezzata con dei solventi – aggiunge il dirigente della poliza locale nell’hotspot di Taranto – per superare anche questo problema».

Di seguito diffondiamo da informa-azione

Non c’è modo di capire cosa sia l’hotspot di Taranto senza guardare le strade pattugliate, la stazione presidiata da telecamere delle tv locali e nazionali e i buoni samaritani con le pettorine delle associazioni, le guardie sui treni, gli autobus urbani tramutati in nastri trasportatori di merce umana. Il nervosismo della sbirraglia che chiede i documenti a chi osa guardare oltre i doppi cancelli per cercare gli occhi di chi è recluso.

Si rischia di soggiacere altrimenti alla narrazione dominante dell’Europa che non rinuncia alle sue istanze di civiltà e umanitarismo nonostante la minaccia del terrorismo, agitata sempre con un tempismo magico.
I Grandi burattinai ripetono che lasciare morire di bombe (eccellenza dell’esportazione Made in Italy) uomini donne e bambini non sta bene. Per quanto riguarda la miseria, la fame, le galere o la voglia di sfuggire ad un destino scritto e andare via non è affare nostro. Dunque all’estrema periferia sud dell’Europa le porte si fanno strettissime e si smistano esseri umani. Nessuno esce senza aver lasciato le proprie impronte e senza aver dichiarato la propria provenienza. Da quel punto in poi i destini si dividono. Chi risponde ai parametri per richiedere l’asilo, politico o umanitario, entra nella filiera della seconda accoglienza. Un affare miliardario per associazioni, cooperative sociali, charitas, mercanti del tempio che mai furono scacciati. Poi comincia il limbo dell’attesa dei documenti. Giorni che diventano mesi. E poi anni ad ingannare il tempo spossessati della propria autonomia, della vita stessa. Infantilizzati, gli spostamenti solo nei percorsi obbligati, un tempo di redenzione passato a dimostrare senza ombra di dubbio la propria disponibilità ad essere sfruttati dentro i sistemi economici della patria dei diritti umani mangiando pasta scondita. Qui al sud Italia spesso finendo nelle mani dei caporali delle agromafie e di sciacalli vari coperti dalla questura. Per gli altri, i cosiddetti migranti economici la sentenza è riassunta dall’ipocrisia del “respingimento differito”.

Appena fuori dall’hotspot vengono caricati sugli autobus dell’Amat (trasporto urbano che senza troppi scrupoli s’è messo a prendere ordini direttamente dal prefetto) e portati in questura nel quartiere periferico della Salinella a firmare un foglio che ne sancisce la clandestinizzazione.
Entro sette giorni saranno obbligati a raggiungere con i propri mezzi la frontiera e lasciare l’Italia.
Entro sette giorni il loro destino sarà a discrezione dello sbirro che li ferma, degli accordi tra ministri degli interni europei, delle indotte psicosi securitarie dell’Opinione Pubblica.
Dopodichè vengono sistematicamente mollati in mezzo alla strada, il cerchio è chiuso sono tutti contenti. O forse no.

Il sindaco di Taranto si è svegliato male quando s’è accorto di avere un problema grosso quanto l’affare che sperava di aver cloncluso. Un fiume di esseri umani senza nulla da perdere ad invadere la città. Con le mani nei capelli facendo una forzatura al dipositivo a cui si era piegato senza problemi pochi mesi prima fa riaprire le ex Ricciardi, un edificio scolastico in disuso già utilizzato durante l’emergenza nordafrica. Con la mediazione delle associazioni umanitarie vi fa trasferire tutti quelli che attendendo di poter salire sul treno per allontanarsi dalla ennesima prigione della loro odissea, non hanno un tetto per passare la notte.
Un luogo sicuro assicurano caritatevoli ed indaffarati gli emissari dell’associazione Babele e lo ripetono ai migranti in inglese in francese in arabo.

Il sindaco chiede un tavolo con la prefettura, dopo 48 ore la celere è alle ex ricciardi a ribadire chi comanda sul traffico di questi esseri umani.Non certo le intempestive crisi di coscienza di un sindaco connivente a tutte le peggiori imposizioni coloniali (ilva, eni, marina militare qui dettano la legge, lui scrive) e neanche le buone intenzioni dei volontari garanti della pace sociale.

Fin qui la storia ufficiale a cui affianchiamo il racconto di qualcuno che ha passato l’ultima settimana a chiedersi con le lacrime di rabbia agli occhi sfidando il senso d’impotenza e la rassegnazione che questa macchina mostruosa incute, cosa fare? Qualcuno ha provato a bucare quelle barriere fisiche sbirresche e linguistiche con questo fiume di persone, cercando nell’emergenza di stringere una complicità che potesse sabotare l’ingranaggio.

Siamo consapevoli che la prigione estesa che è questo mondo rinchiuda noi tanto quanto chi prende il mare. Che la gestione dei flussi migratori a velocità alternata serve per stabilire il prezzo del lavoro, fomentare la xenofobia, rafforzare i dispositvi di controllo sulla vita di tutti. La frontiera è ovunque, i check point invisibili sono ad ogni angolo, venti passi nel cortile sono diventati ventimila passi forse. E certe volte fa bene a chi è immerso nella sua sonnolenta routine fatta di serate nei posti occupati di assemblee con i loro rituali sentire cosa si è disposti a rischiare.

SOFFOCARE PER UN SOFFIO DI LIBERTA’ come diceva qualcuno dalle carceri greche.
Non abbiamo nessuna intenzione di unirci al lamento sulla inefficienza dello Stato visto che umanitarismo e controllo sociale sono due facce della stessa sporchissima moneta.
Ma a noi le giornate passate sono sembrate uno spiraglio da cui far filtrare aria nuova.
Per questo ci siamo presi lo spazio per parlare e farci raccontare, abbiamo provato ad avere un giorno di respiro lontano dagli occhi dei carcerieri più o meno caritatevoli.

Con chi dovremmo stringere allenanze? Con chi ha accettato umanitariamente di aiutare a gestire gli immigrati o con chi è fuggito da molte carceri per arrivare fin qui a ricordarci di desiderare anche noi tutto lo spazio e tutto il tempo che ci è stato sequestrato dalla prigione estesa?
Quello che vi sembra un borbottio sommesso che viene dal mare facile da coprire con le fanfare del potere, presto sarà un urlo assordante di libertà.

Migranti reclusi nell'hotspot di Taranto

Migranti reclusi nell’hotspot di Taranto

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L’Europa è una fortezza, la Grecia una prigione

Su un muro di Lesbo: L'Europa è una fortezza la Grecia una prigione l'Egeo un cimitero

“L’Europa è una fortezza,
la Grecia una prigione, l’Egeo un cimitero”

In questi ultimi tempi, con l’aggravarsi delle condizioni delle persone bloccate alle frontiere o rinchiuse nei moderni lager, abbiamo assistito al proliferare di articoli sulla situazione in Grecia e in generale in Europa. Di fronte a questa marea di informazioni vorremmo provare a mettere in luce alcuni aspetti che spesso vengono taciuti o presentati in modo ambiguo dalla stampa mainstream:

1) Il protagonismo dei/delle migranti nelle lotte e l’aumento della repressione

In seguito all’accordo UE-Turchia, alla chiusura della rotta balcanica e all’incremento delle deportazioni verso i campi e i centri di detenzione in Turchia, si è assistito a un aumento delle proteste da parte dei/delle migranti in tutta la Grecia; si lotta ogni giorno cercando di superare la frontiera a Idomeni ed Evros, contro l’isolamento e le condizioni di vita nei campi militarizzati come a Koutsochero e Katsikas, contro i trasferimenti coatti dagli accampamenti “autorganizzati” come al Pireo o Polykastro, contro la reclusione e le espulsioni, nei centri di detenzione come ad Elliniko e negli hotspot di Lesbo, Chios, Samos.

Idomeni. Domenica scorsa centinaia di migranti si sono organizzati per cercare di rompere la recinzione che separa il confine greco-macedone e attraversarlo. La protesta, iniziata al mattino e portata avanti tenacemente fino alla sera, è stata duramente repressa dalla polizia macedone, che ha preso di mira i migranti con gas lacrimogeni, granate stordenti e proiettili di gomma.

foto di Dimitris Tosidis

foto di Dimitris Tosidis

Mentre le persone continuavano a resistere, i governi greco e macedone – entrambi ugualmente responsabili della situazione alla frontiera –  hanno continuato a rimbalzarsi le colpe a vicenda per aver reagito troppo o troppo poco. Tsipras ha definito «vergognosi» i metodi repressivi utilizzati dalla polizia di Skopje, che a sua volta ha accusato la polizia greca di non essere intervenuta.  

La lotta dei migranti per abbattere la recinzione e superare il confine non si è fermata nonostante le centinaia di feriti di domenica, e infatti è continuata per sei lunghe ore anche mercoledi 13 aprile, sotto una pioggia incessante di lacrimogeni.  

Il governo greco e la stampa mainstream hanno attribuito ai solidali stranieri e ai volontari presenti nel campo, la responsabilità di aver incitato con volantini i migranti alla rivolta. Anche in questo caso, come già successo ad esempio a Calais, si prova a far passare l’idea che i migranti siano organizzati e diretti da gruppi di solidali – quasi sempre europei – e che le loro lotte non nascano invece autonomamente da un bisogno di libertà e dalla rabbia per le condizioni in cui l’Europa vorrebbe costringerli a vivere.

Naturalmente tutte queste notizie hanno avuto come effetto quello di far intensificare la sorveglianza e negli ultimi giorni assistiamo a controlli e fermi da parte della polizia greca nei confronti dei/delle solidali, da Salonicco fino alle strade che portano a Idomeni dove “lo stato sopprime la solidarietà”: la polizia infatti ferma, perquisisce, fotografa e prende le impronte digitali dei/delle solidali (senza averne l’autorità per altro). Dall’11 Aprile è aumentata la stretta repressiva nei confronti di solidali e volontari nei dintorni di Idomeni, e il 12 Aprile la polizia e i servizi segreti greci hanno fermato 20 persone (tedeschi, austriaci, svedesi e portoghesi, oltre a due greci, un residente palestinese in Grecia e un siriano) nel corso di una serie di controlli sui volontari sospettati di diffondere, nel campo di Idomeni, notizie di una prossima apertura della frontiera; i fermati sono stati successivamente rilasciati senza accusa, mentre un tedesco, scoperto in possesso di un piccolo coltello da cucina, è stato arrestato per porto abusivo di arma. Anche ieri 13 aprile, perquisizioni e 29 fermi tra i solidali, tra i quali spagnoli, tedeschi, norvegesi e inglesi.

A Lesbo invece – da giorni – i controlli, i fermi e gli arresti contro migranti e solidali, vengono portati avanti autonomamente dai 350 agenti Frontex presenti sull’isola, e le retate sono in aumento in vista della prossima visita del papa.

Inoltre, in Grecia si stanno allestendo decine di nuovi campi per migranti, gestiti in gran parte dall’esercito, e contemporaneamente si sta lavorando in questi giorni per sgomberare gli accampamenti spontanei al porto del Pireo e a Idomeni. Gli sgomberi sono giustificati con la scusa di migliorare le condizioni di vita delle persone che ci vivranno, l’obiettivo reale sembra però quello di liberare le aree portuali in vista della stagione turistica, allontanare i migranti dalle frontiere, isolarli in zone remote lontane dai centri abitati, separarli dai solidali, e dividerli in gruppi sempre più piccoli in modo da poter essere più facilmente gestibili e repressi dalla polizia durante le proteste (fonte). Diversi sono infatti gli annunci da parte delle autorità che minacciano l’uso della forza su migranti e solidali se dovessero opporsi agli sgomberi. Da sottolineare come lo stesso Tsipras, poco dopo la sua elezione, dichiarava alla stampa: “Chiuderemo i centri di detenzione per stranieri” ma oggi questi continuano a esistere per dividere, contenere e controllare le persone migranti arrivate in Grecia  (qui una mappa degli Hotspot previsti e aperti al 12/04). Il governo Tsipras ha infatti deciso di gettare la questione dei profughi sul tavolo delle trattative con il Fondo Monetario Internazionale per provare ad evitare ancora una volta il default. 

2) La rinata cooperazione tra polizia e fascisti

Mentre in Europa si assiste a un progressivo avanzamento di quelle forze politiche populiste e xenofobe che cavalcano le notizie sui fenomeni migratori per spaventare l’opinione pubblica e raccogliere voti, in Grecia – dove ricordiamo il partito di ispirazione nazista Alba Dorata è il terzo partito per numero di voti – le cose vanno, se possibile, ancora peggio: negli ultimi tempi infatti la manovalanza fascista viene usata per intimidire i migranti.

A Chios i migranti, fuggiti dall’hotspot di Vial a fine marzo, si erano diretti al porto dove avevano dato vita all’occupazione di un’area in modo da presidiare le navi in partenza nella speranza di lasciare l’isola (purtroppo le uniche navi disposte a imbarcarli erano quelle che avrebbero dovuto deportarli in Turchia). 

La settimana scorsa l’occupazione è stata sgomberata dall’azione sinergica tra manifestanti xenofobi, autorità locali e polizia, che hanno intimidito e attaccato gli occupanti. 10 tra i migranti più determinati a resistere sono stati denunciati e arrestati. In precedenza i fascisti avevano attaccato con bottiglie molotov il Soli Cafe – uno spazio occupato che supporta i migranti presenti nell’isola- che rimane ancora attivo nonostante l’attacco.

Anche al Pireo da giorni i fasci di Alba Dorata e del nuovo partito LEPEN, in combutta con la polizia, provocano e assalgono i migranti; il fine è sempre lo stesso: sgomberare gli accampamenti e riportare le persone all’interno degli hotspot greci e nei nuovi campi governativi militarizzati.

Lo stesso avviene in Bulgaria, dove formazioni paramilitari “arrestano” migranti che entrano sul suolo bulgaro. Gli agenti improvvisati legano i polsi ai migranti e li costringono faccia a terra. Le Ong denunciano il moltiplicarsi di episodi del genere.

Anche in Spagna bande di fascisti armati danno la caccia ai minori migranti per le strade di Melilla.

3) Questa, l’altra, la loro o la nostra Europa è comunque merda fascista 

I programmi delle destre fasciste europee sono di fatto stati unanimemente adottati da tutti i governi europei. L’accordo UE-Turchia mette in pratica il programma dei fascisti greci di Alba Dorata: reclusione di tutti i migranti ed espulsione immediata. Ripropone inoltre pratiche già portate avanti dai paesi europei: accordi di cooperazione e riammissione con i paesi di provenienza o di partenza dei migranti, per effettuare espulsioni immediate. È il caso degli accordi tra Spagna e Marocco e Italia e Tunisia oppure, alcuni anni fa, di quello tra Italia e Libia. Nel solo 2015, nei paesi dell’Unione europea, ci sono stati 118.492 respingimenti alle frontiere, 175.220 deportazioni e 286.725 decreti di espulsione. 

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L’attuazione dell’accordo UE-Turchia ha rivelato fin da subito e chiaramente tutte le incapacità del sistema di gestione e respingimento dei migranti europeo.

Alcuni migranti pakistani di Lesbos hanno dichiarato che la polizia stava arrestando anche i pakistani richiedenti asilo, provocando le contestazioni avvenute nel campo di Moria. A Chios, ci sono state voci circa la deportazione di richiedenti asilo. Inoltre, in diversi casi, i solidali lì presenti hanno avuto l’impressione che le deportazioni siano avvenute in modi super arbitrari. Per due volte, alcuni migranti sono stati quasi deportati perché erano nella fila sbagliata. Infine, Vincent Cochetel, direttore dell’ufficio europeo dell’UNHCR, ha confermato come il caos amministrativo sull’isola abbia causato la mancata registrazione delle richieste d’asilo di 13 migranti afghani e congolesi che sono stati deportati “per sbaglio” nel primo viaggio di rimpatri forzati, il 21 marzo. 

Per sopperire alle difficoltà nella gestione delle numerose richieste d’asilo che arrivano quotidianamente,il Parlamento greco ha adottato la legge 4375/2016, che introduce diversi cambiamenti nelle procedure d’asilo e di prima accoglienza e che è entrata in vigore il 3 aprile.

Questa nuova legge sull’immigrazione prevede:

– la possibilità di rifiuto di massa delle domande di asilo definite come “inaccettabili”

– l’esame delle domande d’asilo, in entrambi i gradi di giudizio, entro 14 giorni

– la possibilità “in via eccezionale” di detenere le persone durante tutto il tempo necessario all’esame della domanda d’asilo

– la perpetuazione della politica di detenzione ed espulsione dei migranti privi di documenti.

3pezChe le politiche europee sull’immigrazione siano coercitive è evidente anche da alcune assurdità come i moduli che vengono distribuiti al momento dell’arrivo a Vial, in cui ci sono due domande nella stessa colonna: “Vuoi fare richiesta d’asilo sì o no?” e “Vuoi tornare in Turchia sì o no?”, che prevedono una scelta che nella realtà dell’accordo UE-Turchia non esiste affatto. Si può scegliere solo se fare domanda d’asilo, aspettare da reclusi il prevedibile rifiuto e sospendere la deportazione di qualche settimana, oppure essere espulsi immediatamente.

Fuori dalla Grecia, intanto, sono diversi gli stati che stanno dando un’impronta decisamente xenofoba alle loro politiche migratorie, inseguendo le posizioni dei partiti di estrema destra.

Italia – Il numero di domande d’asilo respinte è in continuo aumento: 29% nel 2013, 37% nel 2014 e 68% nel 2015. Anche quest’anno la percentuale sembra aumentare.

Germania – È in via di approvazione una nuova legge più restrittiva sul diritto d’asilo. Intanto nel 2015 le espulsioni aumentano del 62% rispetto all’anno precedente: le persone deportate sono state 22.369 contro le 13.851 del 2014. Gli espulsi nei primi due mesi del 2016 sono il doppio rispetto allo stesso periodo dello scorso anno: 4.500 persone.

Francia – Nel 2015, l’80% delle domande d’asilo è state respinto e 29.596 persone sono state espulse dal paese.

Spagna – Il 68% delle domande d’asilo è stato respinto nel 2015, e l’approvazione della nuova cosidetta “Ley Mordaza” ha legalizzato il rimpatrio immediato degli immigrati sul confine blindato di Ceuta e Melilla.

Belgio: Theo Francken, segretario di stato all’asilo e alla migrazione, ha annunciato che presenterà una legge in parlamento per stipulare che i cittadini non UE, che vorranno restare in Belgio per più di 3 mesi, sianno obbligati a firmare un giuramento per “provare a integrarsi nella civiltà belga”. Ciò significa che dovranno sapere che “la violenza contro persone, mogli e bambini è punita dalla legge”, che bisogna rispettare “la libertà di religione” e che i migranti dovranno promettere di segnalare e prevenire gli attacchi terroristici.

Norvegia: Qui è stato adottato un regolamento, tra i più restrittivi in Europa, secondo il quale i richiedenti asilo, le cui richieste verranno considerate “ovviamente infondate”, potranno essere imprigionati durante il tempo in cui la loro richiesta viene lavorata sotto quella che in Norvegia chiamano “la procedura delle 48h”. Perciò in soli due giorni la domanda d’asilo potrà essere facilmente rigettata. Secondo il ministro per l’integrazione Sulvi Listhaug, la carcerazione dei migranti serve a evitare che essi scappino o siano coinvolti in attività criminali. Nel 2015, più di 30.000 persone hanno chiesto asilo in Norvegia: 10.000  venivano dalla Siria, e quasi 7.000 dall’Afghanistan. All’inizio dell’anno, la maggior parte delle richieste è stata accettata. Ma questa situazione è rapidamente cambiata: ora, la maggior parte dei richiedenti viene infatti deportata. 

Austria: è iniziata la costruzione (link) di una barriera al confine con l’Italia (Brennero): avrà una lunghezza di 250 metri e comprenderà l’autostrada, come anche la strada statale. È chiaro il fine elettorale di questa proposta considerando anche i sondaggi che danno l’FPO (partito populista e nazionalista di destra) come primo partito con popolari, socialisti e verdi in grande difficoltà che per riguadagnare voti “seguono” le politiche della destra xenofoba sul terreno dell’immigrazione 

È di un paio di giorni fa la notizia secondo la quale l’UE potrebbe centralizzare la gestione delle domande d’asilo per governare meglio i flussi di migranti. A chiederlo è stato il Parlamento Europeo in una risoluzione (non vincolante) adottata a maggioranza l’altro ieri. I deputati riconoscono il fallimento del sistema attuale e invocano una riforma radicale del regolamento di Dublino. In particolare, propongono l’istituzione di un sistema d’asilo centralizzato per raccogliere e assegnare le domande, secondo uno schema che potrebbe includere una quota per ogni Paese membro e che dovrebbe lavorare sulla base degli “hotspot”, o punti di crisi, dai quali i rifugiati verrebbero redistribuiti. Si tratterebbe comunque di poche migliaia di persone “selezionate”, prelevate dai campi profughi in medio oriente, confermando con ciò la chiusura della Fortezza Europa per tutti coloro che autonomamente provano ad arrivare in Europa.

Dai governi razzisti di centrosinistra così come dalle opposizioni della destra fascista non c’è da attendersi nessun miglioramento della situazione e non è possibile nessuna mediazione o implorazione “umanitaria”: ora più che mai è necessaria la lotta comune degli oppressi e la solidarietà attiva tra autoctoni e migranti.

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Roma – 30 aprile – Presidio al C.I.E. di Ponte Galeria

Riceviamo e diffondiamo. 

Ricordiamo che per scriverci potete farlo a hurriya[at]autistici.org

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Una bella giornata d’aprile (sul presidio sotto il CIE di Torino del 10 aprile)

Articolo ripreso da Macerie

p_20160410_163558_1_12Sotto un sole primaverile si è svolto ieri il presidio mensile in solidarietà con i reclusi del Cie torinese: un centinaio di persone per oltre due ore hanno occupato il prato fuori dalle mura del Centro e con urla, interventi e musica hanno tenuto compagnia a chi è rinchiuso.

La polizia, che ultimamente si era fatta più pressante, stavolta deve arretrare e tornare lungo il perimetro della struttura lasciando ai solidali tutto il prato per muoversi. Ma se stavolta i rapporti di forza sono a loro sfavorevoli, l’atteggiamento non sembra essere cambiato e se il presidio si svolge deciso e senza problemi, qualche solidale quando tutto è stato ormai smobilitato incappa in un controllo non previsto. In due si erano infatti attardati in zona, in attesa di cenare e sostavano ancora su una panchina sotto le mura del Cie, chiacchierando tranquillamente, quando da dentro hanno sentito delle urla alle quali hanno risposto intonando “Libertà!”. La reazione della solita pattuglia fissa, che aveva già preso il posto delle numerose camionette mobilitate per il presidio, è piuttosto agitata e i due pensan bene di togliersi dalla vista e andar quindi a consumar la cena in un ristorante cinese lì vicino. E già stavano per ordinare quando la polizia si presenta al tavolo chiedendo di fornire i documenti. I due sono stati poi portati all’interno del Cie per essere perquisiti e sono stati rilasciati solo qualche ora dopo.

Intanto a poche ore dalla fine del presidio i ragazzi reclusi fanno sapere che tre di loro sono stati portati via, arrestati per gli incendi di fine marzo che hanno distrutto tre camere dell’area blu. Di loro si sa ancora poco e si sta cercando in queste ore di capire se son stati trasferiti alle Vallette, di cosa sono accusati e quale sarà il loro destino. Questi arresti, che arrivano a due settimane dalla protesta, pare siano stati permessi dal sistema di videosorveglianza che ha ripreso le fasi della rivolta, forse immortalando i volti di chi vi ha partecipato.
Il clima di intimidazione all’interno del Cie ha raggiunto nelle ultime settimane livelli molto alti. Mentre ai reclusi dell’isolamento è ancora vietato uscire al campetto, a tutti è stato vivamente consigliato di non sentire persone all’esterno. Probabilmente a causa di queste pressioni durante il presidio non si sono sentite le voci dei ragazzi e nessuno ha telefonato.

Dentro come fuori dunque questura e procura continuano sulla linea dura reprimendo chi si rivolta e pure chi con quelle rivolte è solidale e disposto a dimostrarlo.

Ma il presidio di ieri ci dà almeno un’indicazione: in tanti e determinati lo spazio intorno al Cie può essere difeso. Bisogna allora tener alta l’attenzione, non adagiarsi sui risultati ottenuti ma invece rilanciare forte la solidarietà, trovando nuovi modi per raccontare delle proteste dei reclusi e per portare calore e forza a chi non smette di ribellarsi.

Infine vi segnaliamo un appuntamento: giovedì 14 aprile alle ore 21 presso la sede di Radio BlackOut in via Cecchi 21/a si terrà un incontro per parlare del corteo di maggio sul confine del Brennero, per discutere di frontiere e delle lotte che lì intorno si sviluppano.

Scarica e diffondi il manifesto

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Roma – 13/4 Presentazione del corteo al Brennero @ NED-PSM

Riceviamo e pubblichiamo.

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Torino, 10 aprile – Presidio al CIE di Corso Brunelleschi

Articolo ripreso da Macerie

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Da quando la struttura in corso Brunelleschi ha aperto migliaia di persone sono state rinchiuse tra quelle mura. Negli anni le leggi sull’immigrazione sono cambiate così come pure la funzione che certi luoghi detentivi dovevano avere all’interno del sistema di gestione dei flussi migratori. Nonostante l’evolversi della legislazione sulla detenzione amministrativa, per chi nei Cie ci è finito, anche quando ancora venivano chiamati Cpt, la violenza della carcerazione è sempre stata la stessa.

Proprio per questo, negli anni, i reclusi hanno tentato di ribellarsi sempre più spesso. Le pessime condizioni di detenzione, i soprusi della polizia e degli operatori, la rabbia per essere rinchiusi solo per non avere i documenti in tasca hanno dato ai reclusi la spinta per lottare: a volte come potevano con scioperi della fame, atti di autolesionismo, rifiuto del vitto; in altre, con maggior forza e organizzandosi insieme, hanno dato vita a evasioni, resistenze alle espulsioni, rivolte e incendi. In tanti o in pochi, organizzati o meno, la voglia di farla finita con i Cie ha sempre animato le persone rinchiuse.

La realtà, del resto, parla da sé. Basti pensare che i pochi Cie in funzione al momento in Italia versano in pessime condizioni e da Crotone a Torino passando per Roma e Bari, i reclusi si rivoltano di continuo danneggiando e bruciando le gabbie in cui sono costretti.
Fuori si è provato a stare al passo, a sviluppare e organizzare la solidarietà trovando modi per farsi sentire dentro, per non lasciare solo chi lotta e si ribella, per portare le proteste dei reclusi fuori da quelle mura, a volte fin sotto le case dei diretti responsabili.
La lotta negli anni ha saputo dotarsi di strumenti per dare continuità e ritmo al percorso intrapreso e ha conquistato spazi sotto le mura del Centro e per le strade.
Nel Cie torinese nell’ultimo anno, i reclusi hanno dato parecchio filo da torcere ai gestori che tentavano la ristrutturazione delle aree danneggiate dalle rivolte. L’intento degli ultimi provvedimenti legislativi è una messa a regime funzionale delle strutture e per quello torinese parecchi sono stati i finanziamenti stanziati dal governo centrale. A ogni ristrutturazione prima o dopo seguivano nuove rivolte, nuovi danneggiamenti, nuovi incendi. Così la capienza massima non si raggiunge da anni e nel Cie ora son disponibili una sessantina di posti appena, nuovamente messi in discussione dal fuoco appiccato la scorsa settimana nell’unica area ancora interamente funzionante.
Forse per questo da un po’ di tempo all’interno del Centro polizia ed enti gestori stanno affinando il sistema di disciplinamento per cercare di pacificare gli animi. La differenziazione tra chi sta buono e chi reagisce si fa più capillare e costante, l’utilizzo dell’ospedaletto come luogo d’isolamento a scopo punitivo è diventato ormai la normalità mentre è in via di sperimentazione il sequestro arbitrario di telefoni cellulari per togliere ogni possibilità di comunicazione tra le aree e con l’esterno. A tutto ciò si aggiungono le solite prepotenze della polizia, i pestaggi e il sottile controllo informale che si insinua grazie alla presenza di operatori che parlano la stessa lingua delle persone rinchiuse.
Il tentativo di riorganizzare la reclusione nel Centro va di pari passo con il tentativo di spezzare la solidarietà fuori. Negli ultimi mesi i presidi che si è soliti fare sotto le mura subiscono la pressione della polizia che prende metri abbandonando le postazioni lungo la ricenzione per avvicinarsi sempre di più ai solidali. Con atteggiamento muscolare si fa notare che non verranno tollerati lanci di palline con messaggi di solidarietà verso dentro né lo scoppio di fuochi d’artificio. Anche il saluto estemporaneo è diventato faticoso a causa della presenza di una volante che gira intorno al Centro pronta a chiamar rinforzi alla bisogna. Così sempre più spesso il saluto si traduce in fermo per qualcuno. Nelle scorse settimane tre compagni, due francesi e uno spagnolo, fermati sotto le mura del Cie, dopo una notte in Questura sono stati espulsi.
Disincentivare la solidarietà diretta quindi ma anche zittire le voci, bloccare la circolazione di informazioni, nascondere sotto un velo. Così qualche settimana fa dai social network sparisce il pagina “ICieliBruciano” dove venivano raccolte notizie, informazioni e testimonianze dai e sui Cie. Persino un recluso riceve minacce dopo che sul suo profilo vengono trovati video e foto dall’interno di Caltanissetta, prontamente fatti cancellare dalla polizia.
Di fronte ai tentativi di togliere terreno dobbiamo rispondere rilanciando la lotta a fianco di chi è rinchiuso e per questo si ribella.
In questi anni in tanti in questa città hanno sentito la necessità di trovarsi sotto le mura del Cie per far sentire la propria voce. La possibilità di occupare il prato fuori dal Centro per fare un presidio lanciando messaggi di coraggio e solidarietà all’interno o andare in maniera estemporanea e fulminea a salutare i reclusi, a sparare qualche fuoco d’artificio, a urlare “libertà” sono conquiste della lotta, dell’impegno e della determinazioni dei tanti e tante che in questo percorso ci hanno messo volontà ed energie, più o meno di continuo, più o meno intensamente.
Ma gli spazi strappati e gli strumenti affinati con l’esperienza non sono conquiste definitive.
Questi spazi e questi strumenti hanno bisogno di essere consolidati, adeguati alle esigenze della situazione ma sopratutto hanno bisogno di essere difesi. Perché capita sempre, a momenti alterni e per motivi diversi, che la repressione provi un giro di vite, dentro come fuori si intensifica il controllo e si prova a togliere ciò che la lotta aveva conquistato.
Bisogna allora serrare le file, sentire il momento e rispondere all’appello.

Quale migliore indicazione a non abbassare la testa se non quella che ci viene proprio dagli incendi della settimana scorsa?

Torniamo sotto le mura del Cie in tanti, riprendiamoci lo spazio che vorrebbero rosicarci via e, perché no, strappiamone di nuovo, troviamo nuove strategie e nuovi modi per lottare insieme ai reclusi fino a che del Cie non resti che un rudere inutilizzabile.

Giovedì 7 aprile ore 18 e 30 aperitivo e discussione in preparazione al presidio alle serrande della casa occupata di corso Giulio Cesare 45.

Domenica 10 aprile ore 16 presidio solidale sotto le mura del Cie in corso Brunelleschi angolo via Monginevro.

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Lo sporco accordo è iniziato: 200 migranti deportati dalla Grecia alla Turchia

Articolo tradotto da Rabble

Agenti di Frontex con mascherine e fascia al braccio

Agenti di Frontex con mascherine e fascia al braccio

Stamattina le autorità di Europa e Grecia hanno iniziato le loro deportazioni di massa di migranti verso la Turchia. Due traghetti privati turchi, noleggiati dalle forze di polizia dell’Unione di frontiera europea, Frontex, scortavano le persone dalle isole di Lesbos e Chios al porto turco di Dikili.

Lo stato greco ha detto che la maggior parte dei prigionieri viene da Pakistan e Afghanistan, gli altri deportati invece da Iran, Siria, Sri Lanka, Somalia e altre nazionalità. Il governo umanitario della sinistra greca dice che i 2 siriani si sono “offerti volontari” per andare via, ma non dice niente di simile per quanto riguarda gli altri. 

Le foto mostrano che c’è un criminale di Frontex a scortare ogni prigioniero sull’imbarcazione. La maggior parte delle guardie di Frontex indossa una mascherina.

Se riuscite a sopportarlo, questo video, girato dall’interno del campo di detenzione di Vial a Chios, dà un assaggio della violenza iniziale della deportazione, appena la polizia circonda un gruppo di afghani deportati.

Dal lato turco, riferiscono che i deportati sono stati mandati direttamente da Dikili a un altro campo di detenzione vicino al confine bulgaro. Da lì, le persone saranno smistate in altri campi (secondo lo stato turco) o deportati di nuovo nei loro paesi d’origine.

Negli ultimi giorni, la polizia è arrivata nelle isole greche di Lesbo e Chios da vari stati europei, dato che le autorità di Syriza si lamentavano di non avere abbastanza agenti antisommossa per mettere in sicurezza i campi di prigionia e i porti e reprimere le proteste. Apparentemente adesso ci sono poliziotti dalla Francia (sia polizia antisommossa sia gendarmeria mobile), Portogallo, Croazia, Romania e altri stati. 

Altrove in Turchia, “terzo paese sicuro”, continuano pesanti scontri tra le forze turche e quelle kurde, con il YPS kurdo che annuncia di aver distrutto un tank turco oggi a Gever.

Nel nord della Grecia, questo pomeriggio migranti e altre persone hanno bloccato l’autostrada E75 a 3km dal confine macedone che non possono attraversare, lasciando file di camion e traffico dietro. 

Infine, citiamo un appello pubblicato oggi su “325”  firmato da “alcuni anarchici”:

“4 aprile 2016

Oggi, sull’isola di Lesbo, in Grecia, nella prima bella giornata del 2016, è partita la macchina delle deportazioni che rispedisce i migranti in Turchia. Stamattina un traghetto ha lasciato la Turchia con due centinaia di migranti a bordo, questo pomeriggio accadrà lo stesso, e questo si repeterà da qui in poi.

Frontex ha iniziato a mandare i nostri compagni all’inferno. 

I NOSTRI CUORI SONO INFUOCATI!

Iniziamo a bruciare Frontex, la polizia, i militari e chi è al potere! Riduciamo in cenere la macchina delle deportazioni!”

Un traghetto usato per la deportazione

Un traghetto usato per la deportazione

Agenti di Frontex sul bus che li riporta in albergo dopo una dura giornata di lavoro

Agenti di Frontex sul bus che li riporta in albergo dopo una dura giornata di lavoro

Il campo di Dikili

Il campo di Dikili

Blocchi nei pressi del confine macedone

Blocchi nei pressi del confine macedone

Scene di guerra nel Kurdistan turco

Scene di guerra nel Kurdistan turco

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Torino – Dentro e fuori le mura del CIE di Corso Brunelleschi

fonte: Macerie

483_483_4891Recalcitranti

Da un po’ di tempo avvicinarsi alle mura del Cie di Corso Brunelleschi per portar diretta solidarietà a chi vi è rinchiuso e ripetutamente si ribella è diventato arduo. Lo spazio dove i solidali si radunano una volta al mese animando i presidi e da dove si avvicinano per fare dei rapidi e rumorosi saluti è stato man mano rintuzzato dalla polizia. Durante i presidi i poliziotti in assetto antisommossa e borghesi stazionano ormai a due passi dai presidianti, impedendo anche così il lancio di qualsiasi messaggio o strumento di sostegno e solidarietà verso i reclusi. Nel momento in cui ci si avvicina alle recinzioni per un veloce e fragoroso saluto c’è il rischio di essere intercettati dalla volante che ormai da mesi sorveglia a tutte le ore i pressi del Centro, per essere poi rincorsi, fermati e perquisiti dai rinforzi chiamati all’occorrenza.

È successo per due volte nell’ultima settimana che i compagni che hanno provato ad avvicinarsi per portare un sostegno rumoroso ai reclusi siano stati fermati al volo. La prima volta hanno avuto giusto il tempo di appoggiare i piedi sull’asfalto: sono stati perquisiti, sono state sequestrate loro le palline da tennis da lanciare all’interno delle mura e un compagno spagnolo con un decreto d’espulsione pendente è stato imbarcato su un aereo e spedito a Madrid. La seconda volta, dopo una manciata di minuti nell’aiuola sotto le mura, la volante di sorveglianza ha chiamato i rinforzi ed è subito apparsa una camionetta. I poliziotti, prima a piedi poi sul mezzo, hanno inseguito i compagni, hanno fermato un’auto e infine hanno condotto sette persone in questura. Sono state tutte denunciate per oltraggio e per non aver fornito le proprie generalità, dopo cinque ore di fermo sono state rilasciate tranne due compagni francesi che hanno chiamato ventiquattro ore dopo da Modane, al di là del confine.

Anche dentro le mura la stretta della polizia si fa sentire, ma non riesce a fermare il fermento che costantemente riaffiora ed esplode. Negli ultimi tempi l’ospedaletto viene utilizzato come sezione di isolamento. In maniera sempre più massiccia vengono isolati e divisi i reclusi più riottosi, una misura punitiva e un monito verso tutti gli altri. Una volta rinchiusi nell’ospedaletto viene impedita l’uscita nel campetto, all’aria aperta, e a volte viene ritirato il telefono cellulare per lunghi periodi.

L’acuirsi delle condizioni restrittive si può collocare dopo la rivolta di metà febbraio, ma non sono state in grado di sedare gli animi. Sono quasi quotidiane le notizie di piccole resistenze e proteste: pochi giorni fa, nell’area blu, l’unica interamente funzionante, i trenta ragazzi rinchiusi hanno rifiutato in maniera compatta il vitto. Ieri, in tarda serata, tre stanze su cinque della stessa area sono state incendiate. Ora sono completamente inagibili e i ragazzi sono stati spostati nella mensa della sezione, dove hanno intenzione di rimanere uniti e subire meno possibile le ritorsioni che potrebbero arrivare.

Come spesso accade la rabbia dei reclusi offre i migliori suggerimenti. Lo sforzo nella ristrutturazione del Centro e la sua ripresa a pieno ritmo è infranta costantemente dalle rivolte. Dei centottanta posti di cui il Cie dispone solo sessantacinque sono quelli utilizzati.

Qui un intervento di una compagna che racconta la situazione attuale grazie ai suoi contatti diretti con dentro, andato in onda su Radio Blackout.

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