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Le potenze occidentali pianificano una nuova guerra in Libia

Di Marianne Arens
12 aprile 2016

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Questo articolo è stato precedentemente pubblicato in tedesco il 7 aprile 2016 e in inglese il 9 aprile 2016

Dopo cinque anni dalla guerra della NATO in Libia, l’Italia, l’EU e gli USA sono già allo stadio avanzato di un nuovo intervento militare nella regione. I poteri imperialisti occidentali vogliono installare le loro basi militari in Libia, con lo scopo di controllare le grandi risorse di petrolio e gas della regione e per assicurarsi un’importante via d’accesso al resto del continente africano.

Per mesi, il paese nordafricano ha visto un segreto accrescersi di agenti e funzionari americani, inglesi, francesi e italiani; allo stesso tempo, operazioni di ricognizione e droni armati, controllati da Sigonella in Sicilia, hanno effettuato missioni di sorveglianza e attacchi aerei in Libia,

La scorsa settimana, l’UE e gli USA hanno fatto passi avanti, con l’installazione del loro regime fantoccio a Tripoli. Il designato capo del governo, Fayez Al-Sarraj, mercoledì, via nave, ha lasciato il suo esilio in Tunisia ed è arrivato nella capitale libica alla testa di una delegazione governativa composta da nove membri. Al-Sarraj è la marionetta creata da Martin Kobler, il negoziatore tedesco delle Nazioni Unite; a Fayez Al-Sarraj è stato affidato il compito di richiedere, al più presto, un intervento militare ufficiale alle Nazioni Unite contro le forze ISIS in Libia.

Al-Sarraj, un architetto 54enne di Tripoli, è stato postato in Libia per formare un cosiddetto governo di unità nazionale. È tornato a un paese profondamente diviso e rovinato, in cui almeno due governi e cinque milizie stanno conducendo una sanguinosa guerra civile. Al-Sarraj, tutt’al più, potrà contare sul debole sostegno di una sezione del parlamento, riconosciuta a livello internazionale, situata a Tobruk, nella parte orientale del paese.

Un contro-parlamento, sostenuto dai Fratelli Musulmani, ha sede a Tripoli insieme a un contro-governo comandato da Chalifa al-Ghaweil.

Un ruolo particolare è giocato dal generale Chalifa Haftar, un ex ufficiale del governo di Muammar Gheddafi, che ha partecipato al rovesciamento di Gheddafi nel 2011 per conto della CIA. Haftar ora comanda l’esercito libico. Né Haftar, né il contro-parlamento a Tripoli hanno riconosciuto la legittimità del governo Al-Sarraj

Negli ultimi 10 giorni, al-Ghweil e i suoi seguaci sono passati alla clandestinità. Come governatore di Tripoli, in precedenza, aveva opposto con tutti i mezzi a sua disposizione l’arrivo di Al-Sarraj. Aveva dichiarato lo stato di emergenza in città e chiuso l’aeroporto; poi aveva chiesto che Al-Sarraj si arrendesse o che ritornasse in Tunisia. Lo ha definito un “intruso illegale” intenzionato a subordinare il paese alle forze internazionali.

Per forza di cose, Al-Sarraj ha dovuto rintanarsi nella base navale di Abu Sittah, in quanto tutte le strade per Tripoli erano state bloccate. Da lì, nella sua prima dichiarazione di governo, ha promesso di guidare il paese nella lotta contro ISIS, di rispettare la legge della Sharia e di riaprire la banca centrale libica.

Da parte sua, la banca centrale ha rilasciato una dichiarazione, accogliendo il governo Al-Sarraj quale “inizio di una nuova era”; e ha richiesto che sia ripresa “la produzione e l’esportazione di petrolio e gas”. Una dichiarazione simile è stata rilasciata dalla Compagnia Petrolifera Nazionale libica.

Nel frattempo, a Tripoli, si intensificano scontri a fuoco e sanguinose battaglie tra milizie rivali. La notte seguente l’arrivo di Al-Sarraj, almeno un uomo è stato ucciso. Le milizie che sostengono il contro-governo hanno preso d’assalto l’emittente televisiva Nabaa, finanziata dal Qatar, costringendola al silenzio. Le scuole e le strutture pubbliche sono rimaste chiuse.

Come gli Stati Uniti a Kabul nel 2001 o a Baghdad nel 2003, l’Italia e l’Unione Europea ora si trovano confrontate dal problema di istituire una zona militare protetta, una “green zone”, per il loro regime fantoccio a Tripoli. Ma per fare questo possono contare solo su qualche forza in Libia. Come esposto dalla pubblicazione on-line The Intercept un gruppo mercenario privato, guidata dal fondatore di Blackwater, Erik Prince, ha già offerto i propri servizi.

Un’unità militare libica di Misrata ha dichiarato il suo sostegno al nuovo governo. I suoi combattenti sono al soldo del governo italiano e stanno proteggendo gli impianti di estrazione del petrolio di proprietà della compagnia petrolifera italiana ENI in Libia occidentale. L’Italia non ha mai cessato la sue operazioni di estrazione di petrolio e gas in Libia.

Le potenze occidentali non sono particolarmente selettive nella loro presunta lotta contro lo Stato Islamico, affidandosi ad altre forze islamiche estremiste. I criteri applicati non sono “i valori occidentali”, come è tipicamente sostenuto, ma esclusivamente la disponibilità a collaborare con gli imperialisti.?Le milizie sono pagate con i resti delle finanze statali della Libia, che si trovano in conti bancari congelati in Europa, dopo il rovesciamento di Gheddafi.

E’ significativo che nella lista dei 32 ministri del nuovo governo di Al-Sarraj ci siano quattro persone che sono considerate fondamentalisti islamici in quanto appartengono o ai Fratelli Musulmani o al Gruppo Combattente Islamico Libico (LIFG). Il fondatore del LIFG, Abdelhakim Belhadj, è un ex combattente di al-Qaeda e confidente di Osama bin Laden. Come rivelato dal blogger Angelika Gutschke nel settimanale “Der Freitag”, il negoziatore delle Nazioni Unite, Martin Kobler, ha incontrato Belhadj in Turchia per discutere la formazione del nuovo governo.

Al suo arrivo in Libia, gli Stati Uniti, l’Unione Europea, Italia, Germania, Francia e Regno Unito hanno congratulato Al-Sarraj e subito riconosciuto il suo governo come “unico rappresentante legittimo della Libia”. Il ministro degli Esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier, ha espressamente accolto con favore il “governo di unità”; a margine di una riunione in Uzbekistan, ha fatto appello a “tutte le forze politiche del paese” perché sostengano il nuovo governo di Tripoli.

L’UE ha imposto sanzioni contro i politici libici come al-Ghweil per la lotta contro Al-Sarraj, imponendogli anche un divieto di viaggio verso l’UE e il congelamento dei suoi conti bancari europei.

Dopo l’imposizione di Al-Sarraj, il ministro degli Esteri francese Jean-Marc Ayrault ha parlato esplicitamente a favore di un intervento: “Dobbiamo essere pronti a reagire se il governo di unità di Fayiz Al-Sarraj chiede aiuto, se necessario, militarmente.”

Il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni ha chiesto a tutti coloro che detengono il potere in Libia di riconoscere rapidamente il nuovo governo, minacciando che altrimenti la “comunità internazionale” potrebbe intervenire ancora più velocemente, con attacchi military. Laura Boldrini, collega di partito di Sinistra Ecologia e Libertà di Nichi Vendola, inoltre, non si è opposta ad attacchi aerei, ma semplicemente li fa dipendenti dalla condizione che “Ci devono essere dei presupposti perché l’Italia possa svolgere un ruolo di normalizzazione e stabilizzazione in Libia. Ci deve essere un Governo di unità nazionale che deve chiedere un intervento”.

Questo tipo di intervento è in costruzione da più di un anno. A metà marzo, il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, ha confermato che i piani per un intervento sono esistiti per oltre un anno. L’Italia capitanerebbe una missione delle Nazioni Unite con un massimo di 6.000 soldati, che sarebbero appoggiati da attacchi aerei dalle basi aeree di Trapani e Sigonella.

Decine di uomini delle forze speciali italiane, delle agenzie militari e dello spionaggio, sono state attive in Libia per settimane, lavorando fianco a fianco con “specialisti militari” di Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti. Una decisione del 10 febbraio del Governo pone le forze italiane in Libia sotto il controllo diretto del premier Matteo Renzi.

Quando Al-Sarraj è arrivato a Tripoli, Renzi partecipava al vertice sulla sicurezza nucleare a Washington. Soprattutto il presidente Barack Obama si è espresso a favore di un intervento, dal momento che l’installazione di Al-Sarraj potrebbe, al massimo, “rafforzare la struttura” dello Stato libico. come ha definito Obama le urgenze libiche.

La élite italiana sta spingendo per svolgere un ruolo di primo piano in qualsiasi missione militare. Con un articolo intitolato “Libia: preparativi per l’intervento” il giornale di destra Centro-Destra ha scritto che il controllo militare del Mediterraneo è di importanza cruciale, dicendo che “questo sarebbe un obiettivo primario per evitare che gli interessi italiani in Libia siano ignorati e che - nei confronti non solo di Tripoli, ma anche di Roma - gli alleati conducano una ‘guerra di rapina’ ... In altre parole, se un’eventuale coalizione internazionale intervenisse in Libia, e l’Italia avesse un ruolo da comprimaria e non da protagonista, sarebbe tutto inutile. Anzi, sarebbe la farsa della tragedia del 2011.”

Nel Corriere della Sera, l’ambasciatore americano a Roma, John Phillips, ha chiesto il dispiegamento di fino a 5.000 soldati italiani. Ha detto: “La Libia è la maggiore priorità per voi ed è molto importante anche per noi. E importa che prendiate la guida dell’azione internazionale”.

Ma la stragrande maggioranza della popolazione italiana rifiuta l’intervento militare in Libia, anche Centro-Destra ha dovuto ammettere: “il cono d’ombra attorno all’intera vicenda ha spinto, secondo un recente sondaggio, l’81 per cento dei cittadini a dichiararsi contrari a qualunque tipo di intervento”.

Le potenze imperialiste stanno sfruttando il caos da esse stesse creato come pretesto per un intervento massiccio. Cinque anni fa, il pretesto era che i civili a Bengasi dovevano essere salvati da un imminente massacro da parte dell’esercito di Gheddafi. Il risultato fu che circa 30.000 persone caddero vittime dell’operazione militare della NATO. Gheddafi fu ucciso in un linciaggio, la civiltà della Libia, l’economia e le infrastrutture sono state distrutte; circa due milioni di libici sono stati costretti all’esilio e centinaia di migliaia sono diventati sfollati all’interno del proprio paese.

Secondo l’Economist, nel 2016 la Libia è lo stato “con l’economia che si contrae più velocemente al mondo”. La produzione di petrolio è al livello più basso; l’infrastruttura è crollata. Il dinaro libico è al suo livello più basso dalla sua introduzione, e molte banche sono chiuse. I prezzi sono in costante aumento. Un terzo dei sei milioni della popolazione libica vive in povertà, e un milione di persone soffrono la fame.

Nella guerra del 2011, la NATO ha scatenato i combattenti islamici come suoi agenti e forze di terra e ha fornito loro le armi, in parte attraverso la Turchia, l’Arabia Saudita e il Qatar, così gettando le basi per le milizie rivali di oggi, e anche per lo sviluppo e avanzamento di ISIS in Siria, in Iraq e nella stessa Libia.

I fondamentalisti islamici sono stati dapprima armati e sostenuti contro Gheddafi. Più tardi, con grandi quantità di armi dagli arsenali di Gheddafi, sono stati dispiegati in Siria, dove hanno combattuto contro Assad.?Dal 2015, i combattenti ISIS hanno iniziato il ritorno in Libia, dove ora servono alle potenze occidentali come pretesto per un nuovo intervento.

Ogni città che ha fatto resistenza agli islamisti è stata rasata a terra dai caccia della NATO. Ad esempio, Sirte, la città natale di Gheddafi, che è stata teatro della più lunga resistenza alla guerra della NATO, è stata talmente danneggiata, che ISIS ha potuto catturarla facilmente l’anno scorso.

Il governo italiano ha anche nominato come ulteriore “casus belli” l’arresto della fuga disperata dei rifugiati dalle guerre imperialiste in Medio Oriente e Nord Africa verso l’Europa attraverso la Libia, o, come viene eufemisticamente indicato nei circoli ufficiali, la “lotta contro trafficanti criminali”.

In una intervista pubblicata con rilievo in diversi giornali, il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha detto: “Per l’Italia, la stabilità della Libia è decisiva, non solo per quanto riguarda la lotta anti-ISIS, ma anche per la questione dell’immigrazione, perché oltre il novanta per cento delle navi partono da lì”.

Dopo la chiusura della cosiddetta rotta dei Balcani, si prevede che di nuovo i profughi cercheranno di intraprendere il pericoloso passaggio attraverso il Mediterraneo verso l’Europa. Si stima che fra 500.000 e 800.000 persone abbiano attraversato il Sahara durante i mesi invernali al fine di raggiungere la Libia, dove sono ora in attesa di un clima più mite per intraprendere il pericoloso viaggio attraverso il Mediterraneo, nella speranza di raggiungere l’Europa.