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Roma a rischio di fallimento stile Detroit

Di Marc Wells
5 marzo 2014

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Questo articolo è stato precedentemente pubblicato in inglese il 4 marzo 2014

Il neo governo del non eletto primo ministro Matteo Renzi (Partito Democratico, PD) venerdì scorso ha approvato un decreto, il cosiddetto Salva Roma ter, che fornisce un temporaneo sollievo di € 570 milioni alla capitale, sotto forma di anticipi su entrate future, in presenza di un buco di bilancio del valore di € 816 milioni. Al consiglio comunale è lasciata la scelta di nuovi aumenti delle tasse su servizi essenziali.

Il decreto di salvataggio evita, temporaneamente, il fallimento della città, permettendole di continuare brevemente ad operare e pagare gli stipendi ai circa 25.000 dipendenti. In questi ultimi giorni i paragoni con Detroit sono frequenti. Il giorno prima dell’approvazione del decreto, il Wall Street Journal ha commentato: “La Città Eterna [è] ora in bilico sull’orlo di un fallimento tipo Detroit” e l’ International Business Times titolava una colonna, “Roma sull’orlo del baratro mentre si profila il collasso di un fallimento come a Detroit”.

I paragoni sono certamente opportuni. Come con la procedura fallimentare federale di Detroit, il decreto prepara in modo inequivocabile le basi per un attacco devastante e senza precedenti a lavoratori e servizi pubblici; nonché la potenziale svendita dell’inestimabile patrimonio della città, semplicemente rinviando una crisi ancora più grave e una probabile bancarotta.

Le implicazioni di questo attacco selvaggio andranno ben oltre i confini territoriali della città di Roma, servendo da esempio per il resto del Paese e per l’Unione Europea. Il capo del consiglio comunale di Roma, Mirko Coratti, ha ammesso, “La bancarotta della capitale potrebbe innescare una reazione a catena che rischierebbe di allargarsi a tutta l’economia nazionale”.

I due precedenti decreti Salva-Roma, uno a dicembre e uno all’inizio di febbraio, non erano stai approvati, perché l’élite politica ha cercato di creare un crescente clima di falsa emergenza, che ha preparato il campo per misure ben più drastiche.

Il decreto approvato stabilisce specificamente condizioni draconiane che ricordano i diktat imposti dalla Troika alla Grecia l’anno scorso. Il sindaco di Roma, Ignazio Marino (PD) e chirurgo dei trapianti, di formazione americana, ha il compito di presentare un piano di bilancio in grado di chiudere effettivamente il buco nero finanziario che sta inghiottendo la città.

È importante sottolineare che il decreto impone una “ricognizione dei fabbisogni di personale nelle società partecipate” affiliate al comune; questo linguaggio sottintende licenziamenti, niente nuove assunzioni e aumento dei ritmi di lavoro. Le due principali società di servizi nel mirino e con effetto immediato, sono l’Atac, che provvede il trasporto pubblico e l’Ama, che assicura i servizi di gestione dei rifiuti.

Le due società sono state prese di mira da un’implacabile campagna di diffamazione volta a collocare la responsabilità per la crisi del bilancio della città su di esse, o, più precisamente, sui loro lavoratori, spesso descritti come inefficienti, pigri e assenteisti.

Con la pretesa di “adottare modelli innovativi per la gestione dei servizii”, incluso “ricorrendo alla liberalizzazione,” il decreto introdurrà la privatizzazione dei servizi essenziali, come i trasporti e la raccolta dei rifiuti.

Altri servizi della città saranno sottoposti a “dismissione o messa in liquidazione”, con conseguenti licenziamenti, tra questi è presa di mira direttamente la cultura. La società Zetema, che opera nelle attività e servizi culturali, con un budget annuo di circa € 29 milioni, verrà ridimensionata, se non chiusa del tutto.

E’ significativo che il diktat minacci l’immenso patrimonio storico e culturale di Roma, dato che stabilisce le condizioni per la vendita di alcuni dei preziosi beni immobili della città, una mossa che ricorda molto la vendita delle opere d’arte del Detroit Institute of Arts (DIA), pianificata dal manager di emergenza di Detroit, Kevyn Orr.

Dall’inizio della crisi finanziaria mondiale del 2008, la città di Roma ha dovuto affrontare difficoltà crescenti; i suoi amministratori hanno sia cercato di trovare soluzioni a breve termine o sono stati coinvolti in sospette operazioni di derivati finanziari, che hanno ulteriormente peggiorato la crisi di bilancio della Città Eterna.

Contrariamente al diffuso mantra riecheggiato dai servili media, che la principale causa degli squilibri di bilancio di Roma è riposta su lavoratori e inetti amministratori, sta invece venendo alla luce il ruolo del capitale finanziario e degli investimenti in derivati quale principale componente della crisi.

Tre anni fa era emersa la prova che molti comuni italiani avevano acquistato derivati e simili strumenti finanziari, destabilizzando fortemente i conti pubblici (vedi “Enti locali in crisi per speculazione finanziaria”). Roma non fa eccezione. Un’indagine preliminare da parte di Carla Ruocco del Movimento 5 Stelle (M5S), ha rilevato che nel 2008 la città di Roma aveva registrato perdite per € 147 milioni, risultanti da nove contratti su derivati.

Nel 2012, il commissario straordinario Massimo Varazzani aveva chiuso in anticipo sette dei nove contratti. Il suo operato è stato oggetto di inchiesta e in due occasioni egli ha respinto ogni rilascio di informazione, definendone la richiesta come “un inammissibile monitoraggio sull’operato dell’amministrazione”; questo linguaggio mostra un evidente disprezzo per le regole democratiche.

È da notare come l’intenzione di Carla Ruocco sia quella di corroborare la posizione del suo partito, ossia, che le finanze della città non devono essere salvate, poiché tale manovra offrirebbe solo una protezione per “la casta”, riferito alla classe politica. Il M5S, si concentra in particolare su diversi privilegi, come ad esempio le cosiddette pensioni d’oro e altri vantaggi di cui godono i politici.

Mentre il M5S si presenta come paladino contro la corruzione, il vero obiettivo delle sue politiche è quello di gettare 25.000 lavoratori nella miseria. Il gruppo di Grillo continua la campagna a favore del tagliare gli “sprechi burocratici” e per l’abolizione delle amministrazioni locali e delle province, cancellando così decine di migliaia di posti di lavoro, considerati da Grillo appartenenti a “parassiti”. (Vedi “Il significato politico del Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo”)

Ma i lavoratori non hanno amici di sorta nell’establishment politico. La non democratica nomina di Renzi ha goduto del sostegno dei sindacati e di tutta la pseudo-sinistra.

Pienamente consapevole della distruttiva politica del Jobs Act di Renzi, una misura che deliberatamente cancella i diritti fondamentali dei lavoratori, come contratto, previdenza sociale e protezione dello stipendio, l’ex-stalinista Susanna Camusso, presidente della CGIL, ha confermato il suo sostegno a un recente accordo con Confindustria, che essenzialmente prevede sanzioni contro i lavoratori che non si conformano a clausole regressive, come quella di non scioperare.

Ogni organizzazione della pseudo-sinistra sostiene i sindacati e la loro aperta collaborazione con governi e padroni. Quello che resta della sinistra anticapitalista di Franco Turigliatto, un conglomerato pablista di opportunisti politici, riconosce i tradimenti dei sindacati come la CGIL; tuttavia essa sostiene che i lavoratori devono formare un “fronte unito” con tutte le forze della “sinistra”, proprio dall’interno del sindacato stesso, che si sta rivelando fondamentale in ogni attacco contro di loro.

A sinistra, il leader di Sinistra Ecologia e Libertà (SEL) Nichi Vendola appare più cospicuo nei suoi zig-zag. Fino a poco prima che Renzi prendesse il potere, Vendola era stato uno dei suoi più accaniti sostenitori, dichiarando: “Serve una svolta con il PD di Renzi,” o “Renzi ha rotto i vecchi schemi”, o anche “con Renzi si deve lavorare per ricostruire la coalizione dell’alternativa.” Poi, nel tentativo di simulare una posizione di sinistra, il partito di Vendola, il 24-25 febbraio ha votato la sfiducia al governo Renzi.

Rifondazione Comunista (PRC) si presenta come difensore di Roma contro le privatizzazioni e i licenziamenti basati sul decreto di Renzi. In realtà, il partito sta negoziando apertamente con il primo ministro. Maurizio Acerbo, consigliere regionale PRC e Francesco Marola, segretario provincial PRC, hanno firmato un appello a sostegno dell’intervento di Renzi invitandolo a intervenire “su questa emergenza [pubblica istruzione], che è un prodotto dei tagli sconsiderati votati dal suo partito.” In altre parole, sono d’accordo sulla necessità di tagliare i programmi sociali.

I lavoratori romani e italiani devono assimilare le lezioni dei loro fratelli e sorelle di Detroit. L’inchiesta su Detroit sponsorizzata dal Socialist Equality Party (SEP) deve costituire lo scenario d’apertura di una mobilitazione politica internazionale contro tutti gli agenti del capitale.