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Il governo Letta sopravvive al voto di fiducia

Di Peter Schwarz
8 ottobre 2013

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Questo articolo è stato precedentemente pubblicato in inglese il 3 ottobre 2013

Mercoledì il Primo Ministro Enrico Letta è sopravvissuto al voto di fiducia.?Al Senato, dove il Partito Democratico di Letta (PD) non ha la maggioranza assoluta, 235 senatori hanno votato per il governo e 70 contro. Alla Camera dei Deputati il PD ha la maggioranza.?Anche il PdL, guidato dal magnate dei media ed ex primo ministro Silvio Berlusconi, ha votato a favore del governo, anche se sia stato lo stesso Berlusconi a scatenare la crisi di governo

Sabato scorso, Berlusconi aveva ordinato a cinque ministri del suo partito di lasciare il governo. Berlusconi giustificava il ritiro a causa di un aumento del tasso dell'IVA, dal 21 al 22 per cento, concordato tra il ministro dell'economia Fabrizio Saccomanni e l'Unione Europea.

Però il vero motivo della crisi era l'imminente ritiro dell'immunità parlamentare a Berlusconi, come senatore, in seguito alla sua condanna per frode fiscale, il che comporta una pena detentiva di quattro anni. All'inizio di questa settimana, i deputati PdL avevano annunciato che avrebbero inscenato una "uscita di massa" dal parlamento, se il Comitato di amnistia del Senato decide contro Berlusconi il 4 ottobre.

Berlusconi è accusato di aver preso la decisione di far cadere il governo senza consultare neanche uno dei ministri del suo partito o il suo gruppo parlamentare. In passato gli erano sempre rimasti fedeli, ma questa volta Berlusconi ha esagerato.

Anche se i ministri PdL hanno proceduto e hanno presentato le loro dimissioni, essi hanno chiaramente espresso la loro opposizione alla manovra. Il primo ministro Letta e il presidente Giorgio Napolitano hanno rifiutato di accettare le dimissioni, così i ministri sono rimasti in carica.

Poi, lunedi sera, Berlusconi ha tenuto un monologo di 40 minuti alla fazione PdL chiedendo la caduta del governo e nuove elezioni. I membri del PdL hanno risposto con un'aperta ribellione; guidato dal leader del PdL e ministro dell'Interno Angelino Alfano, si è formato un gruppo che ha annunciato di votare la fiducia a Letta.

Il 42enne Alfano viene da lungo considerato come il più stretto confidente di Berlusconi e come futuro leader designato. Mentre era ministro della giustizia, durante il governo Berlusconi dal 2008 al 2011, Alfano è stato l'artefice di diverse leggi che hanno protetto il suo mentore da processi e reclusione.

Martedì scorso sono circolate numerose indiscrezioni circa il numero di senatori pronti a rompere con Berlusconi e a votare per Letta. Una spaccatura nel partito sembrava essere sempre più probabile. Roberto Formigoni, PdL, presidente della Lombardia, ha annunciato la formazione di una nuova "alternativa conservatrice indipendente".

Anche un certo numero di deputati ha messo in chiaro che non avrebbe seguito Berlusconi, il quale ha annunciato un ritorno del PdL, in forma di fusione di diversi raggruppamenti, alla sua formazione originale: Forza Italia.

Quando è diventato chiaro che Letta sarebbe sopravvissuto al voto di fiducia, Berlusconi ha fatto marcia indietro; mercoledì scorso ha chiesto il sostegno per il premier e ha votato a favore del governo. Il risultato è che, lungi dall'essere risolta, la crisi politica è stata solo rinviata.

Nei media, il conflitto tra Berlusconi e Letta è invariabilmente presentato come conflitto di un egocentrico, che persegue i propri interessi, contro un premier altruista, che mette gli interessi del Paese al primo posto.?In realtà, dietro tutti i colpi di scena non vi è altro che il tentativo di avere un governo che sia abbastanza stabile da mettere in atto attacchi sociali, fino ad ora inimmaginabili, contro la classe lavoratrice italiana.

Letta è un democristiano che deve la sua ascesa politica al sostegno da parte dell'organizzazione succeduta al Partito Comunista Italiano.?Al momento è considerato, sia dalla borghesia europea che italiana, come il più adatto al compito di imporre nuove misure d'austerità. Questo è il motivo per cui gode del pieno sostegno di tutti i governi europei e dell'Unione Europea, e il perché un'ala del PdL di Berlusconi si è ora rivoltata contro il suo mentore e si è accodata a Letta.

Quando Berlusconi ha ritirato il suo sostegno al governo, i prezzi azionari italiani sono crollati e i tassi di interesse sui titoli di Stato sono saliti alle stelle.?Martedì scorso, quando è apparso sempre più probabile che Letta avrebbe ottenuto la maggioranza, l'andamento dei mercati azionari si è invertito. I tassi applicati ai titoli di Stato italiani sono notevolmente diminuiti e la borsa di Milano è cresciuta del 3,1 per cento. Ironicamente, anche la quota del gruppo Mediaset di Berlusconi è aumentata del 6 per cento.

Mercoledì, nel suo discorso al Senato, Letta ha cercato di ottenere sostegno con la promessa di ridurre le tasse, tagliare la spesa pubblica e riformare le istituzioni politiche per garantire un governo stabile.

Dal canto suo Berlusconi ha giustificato il suo sostegno riferendosi all'impegno di Letta di ridurre le tasse, avviare riforme del sistema giudiziario e, in particolare, ridurre il costo del lavoro.

Le riforme del risparmio e del mercato del lavoro che Letta propone sono enormi e ridurranno la popolazione lavoratrice ad un tenore di vita paragonabile a quello dell'inizio del secolo scorso, un periodo di amara povertà, riportata in molte importanti opere letterarie.

L'Italia è attualmente in una profonda recessione. La produzione industriale è diminuita di un quarto dal 2007 e il PIL si contrarrà, quest'anno, del 2 per cento. Il tasso ufficiale di disoccupazione è del 12 per cento, e, tra i giovani, un enorme 40 per cento. Il debito nazionale è 135 per cento del PIL e in aumento. Per invertire questa tendenza, Letta ha in programma di tagliare miliardi alla spesa sociale.

Invece di costituire una "giornata storica per la democrazia italiana", come ha affermato Letta nel suo discorso al Senato, il voto di fiducia di mercoledì dimostra il serrare dei ranghi all'interno della classe dirigente, al fine di intraprendere un nuovo assalto alla classe lavoratrice.