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Il governo italiano spinge verso la “riforma” delle pensioni

Prodi completa ciò che Berlusconi aveva iniziato

Di Marianne Arens
29 agosto 2007

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Dopo un rapido negoziato fra governo e sindacati, il 20 luglio scorso il premier Romano Prodi ha vinto l’accordo sulla cosiddetta “riforma” delle pensioni. La riforma Prodi è un passo importante verso l’abolizione di quel sistema pensionistico italiano relativamente generoso che fu introdotto negli anni 60.

Il sistema pensionistico italiano è d’importanza fondamentale per il sistema sociale del paese. Poiché la regolamentazione per la disoccupazione e il welfare è alquanto inadeguata, il sistema pensionistico assume un’importanza sociale cruciale. Almeno in teoria, fino ad oggi un individuo in Italia poteva ricevere una pensione intera all’età di 57 anni. Solo tre anni fa l’età media di pensionamento in Italia era di 59 anni.

Berlusconi prima di Prodi aveva già tentato di smantellare il sistema pensionistico nel 2004. Secondo quella proposta, gli italiani avrebbero dovuto lavorare almeno fino a 60 anni, con 40 anni di contributi versati, invece del sistema esistente che prevede 35 anni di contributi.

Una delle promesse principali di Prodi durante la sua campagna elettorale di un anno e mezzo fa fu proprio la cancellazione della riforma, soprannominata lo scalone. La proposta avanzata ora da Prodi non è altro che la stessa di Berlusconi, in una forma leggermente alterata

Invece di un aumento dell’età pensionabile da 57 a 60 anni entro il 1º gennaio 2008, il margine sarà innalzato a stadi fino ad arrivare all’età di 61 anni entro il 2013. All’inizio del 2008 l’età minima verrà aumentata a 58 anni, inoltre un aumento in anni di contributi verrà introdotto gradualmente. L’obiettivo del governo, parallelamente con altri paesi europei, è quello di stabilire un’età pensionabile fra i 65 e i 67 anni al fine di defalcare porzioni sostanziali di costi sociali dal bilancio dello stato.

Allo stesso tempo la nuova legge si propone di incoraggiare la privatizzazione dei fondi pensionistici. Spostando il metodo da statale a privato, la legge espone le pensioni ai rischi del mercato di borsa mentre promette ampi guadagni per i grandi investitori.

Il risultato inevitabile di questa manovra sarà un aumento della disuguaglianza sociale e la prospettiva di una vecchiaia vissuta in povertà per molti pensionati. In condizioni in cui la disoccupazione e il precariato del lavoro aumentano, per milioni di persone con basso reddito diventa sempre più difficile risparmiare parte del proprio salario per la pensione. I pensionati esistenti già stanno soffrendo le conseguenze di un’inflazione incalzante e di un aumento vertiginoso del costo della vita soprattutto dall’introduzione dell’euro. Secondo recenti statistiche, il 24 per cento dei pensionati in Italia (oltre tre milioni di cittadini) sopravvive con €500 al mese o meno. Un ulteriore 31 per cento riceve una pensione fra €500 e €1.000.

Negli ultimi anni il malcontento per il peggioramento delle condizioni dei pensionati è stato espresso in varie manifestazioni di massa. Ad ottobre del 2003 dieci milioni di italiani hanno partecipato ad uno sciopero generale. Alla fine di quell’anno più di un milione di persone hanno partecipato ad una manifestazione contro i programmi di Berlusconi. La protesta è stata condivisa da lavoratori di fabbrica e impiegati, oltre che pensionati, giovani, studenti e numerosi artisti e autori di rilevanza.

A metà giugno di quest’anno vaste masse hanno manifestato in molte città italiane contro il continuo deterioramento delle condizioni di vita dei pensionati. Tutti i sindacati principali hanno partecipato a tali proteste promettendo di usare la loro forza contrattuale al fine di difendere e migliorare il sistema pensionistico del paese.

Tuttavia, solo poche settimane dopo tutti i capi dei sindacati principali—Guglielmo Epifani (CGIL), Raffaele Bonanni (CISL) e Luigi Angeletti (UIL)—hanno avallato il piano del governo Prodi che a fine agosto sarà sottoposto al voto parlamentare nel contesto della finanziaria. Non è una coincidenza che tale manovra accada proprio durante il mese in cui la stragrande maggioranza dei lavoratori italiani si trova in ferie. Il fine è quello di evitare proteste di massa.

Il segretario generale della CGIL Epifani ha riportato alla stampa che l’incontro con il governo è stato “un confronto duro e difficile” e che i sindacati hanno insistito su una serie di concessioni al fine di giustificare la loro capitolazione. Epifani ha cercato di camuffare la sconfitta dichiarando che nel futuro le donne potranno pensionarsi a 60 anni. Resta il fatto che Epifani ha firmato la distruzione del sistema pensionistico precedente.

Esponenti di rilievo della coalizione di governo, soprattutto rappresentanti del DS, hanno mostrato con fermezza il loro supporto per la riforma pensionistica. Il 29 giugno, durante un’intervista televisiva, il sindaco di Roma Walter Veltroni (DS) dichiarava che “C’è uno squilibrio molto forte del sistema pensionistico e questo squilibrio deve essere fronteggiato con una ingente quantità di risorse. Queste risorse devono essere spostate sulla lotta alla precarietà. C’è una trattativa in corso con i sindacati, ma l’aumento dell’età pensionabile è assolutamente obiettivo”.

Veltroni è uno dei candidati più probabili alla leadership del nuovo Partito Democratico ed è stato rappresentato dalla stampa internazionale come possible alternativa a Prodi. La rivista statunitense Newsweek lo ha recentemente definito il “Bill Clinton italiano” lodando il suo supporto per un’economia di libero mercato e il suo entusiasmo per gli Stati Uniti.

Due partiti di sinistra nella coalizione di governo—Rifondazione Comunista (PRC) e i Comunisti Italiani (PdCI)—sono stati d’importanza cruciale nello spianare la strada a questa nuova legislazione pensionistica. I vertici di partito—per il PRC Fausto Bertinotti e il suo successore Franco Giordano; Oliviero Diliberto per il PdCI—avevano promesso ripetutamente di opporre lo scalone di Berlusconi e Prodi e di difendere il sistema delle pensioni con tutta la loro forza.

Tuttavia, dopo la firma dell’accordo fra governo e sindacati, Giordano ha cercato di giustificare il programma dichiarando che “Chi ha 40 anni di contributi è fuori. Ora va fatto un referendum tra i lavoratori.”

Fu altrettanto vago in un’altra sua dichiarazione del 28 luglio in cui asseriva che con l’accordo “si apre una stagione di mobilitazione politica e sociale delle sinistre in tutto il paese; una stagione di iniziativa unitaria intesa a ristabilire la connessione fondamentale tra popolo e politica, tra le aspettative riposte da milioni di persone nell’Unione e l’azione concreta della maggioranze e del governo. Dall’esito di quel conflitto dipenderà il nostro voto in Parlamento.”

Due giorni dopo il segretario dei Comunisti Italiani Diliberto dichiarava: “Devo ammetterlo, non mi aspettavo un accordo così, sono molto deluso, si era parlato di altre cose ...Se il governo ci avesse almeno consultati probabilmente la proposta sarebbe stata migliore.” Alla domanda se erano delusi al punto di votare contro l’accordo rispondeva: “Significherebbe votare contro la finanziaria... Vedremo quale sarà lo strumento parlamentare. Noi faremo come sempre una battaglia emendativa. ...Ma in autunno riprenderemo la battaglia sulle pensioni.”

In realtà queste organizzazioni hanno capitolato da tempo alla politica di Prodi. Sei mesi fa hanno acconsentito ad alcune richieste da parte del primo ministro con le quali quest’ultimo si attribuiva poteri incontrastati in materia di stesura del piano politico di governo.

A metà febbraio scorso Prodi aveva dato le dimissioni in seguito ad una mancata maggioranza sulla questione della partecipazione dell’esercito italiano all’occupazione dell’Afganistan. In tale occasione dichiarò di essere disposto a riprendere la carica di capo di governo solo se i nove partiti della sua coalizione avessero firmato un programma di dodici punti che stabiliva la partecipazione militare in Libano e Afganistan, l’estensione di basi militari statunitensi sul territorio italiano e il supporto per “riforme” neo-liberali, come appunto quella pensionistica. E’ stato esattamente a questo punto che Rifondazione e gli altri parti cosiddetti di sinistra hanno acconsentito a dare supporto alla proposta di Prodi di modificare il sistema pensionistico.

Due giorni prima dell’incontro con i sindacati a luglio, tutti i partiti della coalizione di governo avevano accettato in parlamento una serie di misure proposte da Prodi che di nuovo minacciava di dare le dimissioni—la sua ventesima minaccia quest’anno. Le misure vertivano su una serie di finanziamenti pubblici, visto l’attivo in bilancio, fra i quali un finanziamento per giovani senza lavoro fisso, per la partecipazione dell’Italia in Bosnia (100 milioni di euro) e un misero aumento di €33 al mese per pensionati che ricevono la pensione minima.

Con l’approvazione di tale pacchetto, i vari partiti della maggioranza implicitamente accettavano la “riforma” delle pensioni di Prodi.

La stampa italiana ha riportato che il ministro europeo Emma Bonino ha anche lei minacciato di dare le dimissioni nel caso Prodi cedesse alla pressione dei sindacati e posponesse la riforma pensionistica. L’Unione Europea e il Fondo Monetario Internazionale hanno avanzato la richiesta specifica che lo stato riduca drasticamente le spese destinate al fondo pensionistico.

In seguito all’incontro con i sindacati, il ministro dell’economia e finanze Tommaso Padoa Schioppa ha dichiarato di essere soddisfatto della riforma mentre si lamentava del “ritardo” nell’implementazione, un ritardo che il ministro ha quantificato in un costo di 10 miliardi di euro.

Esperti del mercato internazionale hanno espresso il loro scetticismo nei confronti del piano. Secondo loro non è sufficiente. Un rappresentante della Standard & Poor ha dichiarato che il nuovo schema pensionistico causerebbe perfino nuovi costi aggiuntivi: “Ciò crea molte preoccupazioni verso un paese la cui spesa pensionistica è la più alta d’Europa.”

Lo stesso tono è stato adottato da Berlusconi il quale ha altrettanto asserito che il programma non è sufficientemente profondo. Allo stesso tempo, i suoi alleati politici, i secessionisti della Lega Nord e i post-fascisti di Alleanza Nazionale, hanno assunto una posa demagogica come difensori delle pensioni e “del pesce piccolo”.

L’obiettivo di Berlusconi è quello di attrarre il supporto dei piccoli imprenditori i quali appoggiano tagli alle spese sociali quali i contributi pensionistici e riduzioni del peso fiscale. Allo stesso tempo dipinge Prodi come il rappresentante dell’Unione Europea, quest’ultima ritratta come la causa di molti problemi economici. Secondo Berlusconi, Prodi ha i giorni contati con una coalizione così instabile.

Infatti fu proprio la questione delle pensioni che causò la caduta del primo governo Berlusconi. In seguito a una serie di scioperi e proteste di massa nel 1994 contro la sua “riforma” delle pensioni, Berlusconi fu costretto a dimettersi in seguito al distacco temporaneo della Lega dalla sua coalizione. I due governi di centro-sinistra che lo succedettero proseguirono l’assalto alle pensioni, poi ripreso dal secondo governo Berlusconi. Ora Prodi sta completando il processo iniziato da Berlusconi.

I cosiddetti partiti di “sinistra” nella coalizione di Prodi, e in particolare Rifondazione, hanno ripetutamente confermato la loro subordinazione ad ogni svolta a destra del governo, giustificando il loro opportunismo politico come strategia necessaria per prevenire un ritorno al potere di Berlusconi. Ora, in base alla stessa logica, questi partiti si trovano nella posizione di imporre le stesse misure da essi criticate quando venivano proposte dai loro acerrimi “nemici” politici.