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Le origini politiche dell’attacco terroristico a New York e Washington

Dal Comitato di Redazione
12 settembre 2001

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Il World Socialist Web Site condanna in modo inequivocabile gli attacchi terroristici al World Trade Center e al Pentagono. I responsabili dei dirottamenti dei quattro aerei commerciali (civili) e della loro conversione in missili balistici sono colpevoli di questo massacro. Nulla di carattere socialmente progressista potrà mai essere ottenuto per via di una tale distruzione vile e indiscriminata di vite umane.

Questi atti di terrorismo omicida manifestano una velenosa combinazione di un pessimismo demoralizzato, un oscurantismo religioso e ultra-nazionalistico, e, si deve aggiungere, un opportunismo politico dal carattere più vile. Organizzazioni terroristiche—nonostante le loro retoriche antiamericane—basano le loro tattiche sull’illusione che atti casuali di violenze raccapriccianti costringeranno la classe dirigente americana a cambiare la sua politica. In tal modo, in ultima analisi, sperano di venire a patti con Washington.

In qualunque modo cerca di giustificarsi, il metodo terroristico è fondamentalmente reazionario. Lontano da dare un colpo potente contro il militarismo imperialistico, il terrorismo fa l’interesse di quei elementi dentro l’istituzione statunitense che afferrano a questi avvenimenti per giustificare e legittimare il ricorso alla guerra in cerca di interessi geopolitici ed economici della classe dirigente. Il massacro di civili innocenti infuria, disorienta e confonde il pubblico. Indebolisce la lotta per una unità internazionale della classe operaia, e agisce contro tutti i tentativi di educare il popolo americano della storia e politica che da sfondo ad eventi contemporanei nel Medio Oriente.

Tuttavia, la nostra condanna all’oltraggio terroristico di Martedì non sottintende minimamente alcuna diminuzione dei nostri principi e la nostra irreconciliabile opposizione alla politica del governo statunitense. Chiunque vorrebbe capire il perchè e il percome degli avvenimenti di ieri deve studiare il precedente istorico e politico degli Stati Uniti nel Medio Oriente, specialmente degli ultimi 30 anni. I tentativi accaniti dell’imperialismo americano per difendere il suo dominio sulle risorse petrolifere della regione, nel quale implica, tra l’altro, l’appoggio assoluto dell’oppressione del popolo palestinese da parte dello stato israeliano, pone gli Stati Uniti nella opposizione violenta alle aspirazioni democratici sociali e nazionali, legittime e irrepremibili, delle masse arabe.

Nell’immediata conseguenza degli avvenimenti di Martedì, politici, editorialisti, e eruditi della stampa, dichiararono continuamente che gli americani devono riconoscere che la distruzione del World Trade Center significa che gli Stati Uniti è in guerra e deve agire di conseguenza. Ma la realtà delle cose è che il governo statunitense sia già ingaggiato in una diretta guerra nel Medio Oriente, in una forma o un’altra, nella maggior parte degli ultimi ventanni.

Mettendo da parte il vasto materiale d’aiuto che gli Stati Uniti fornisce alle operazioni militari dell’Israele, gli Stati Uniti bombardano diversi paesi del Medio Oriente quasi ininterrottamente dal 1983. Bombardieri e navi da guerra statunitensi hanno attaccato il Libano, la Libia, l’Iraq, l’Iran, il Sudan e l’Afghanistan. Senza veramente dichiarando guerra, gli Stati Uniti ha condotto operazioni militari contro l’Iraq per quasi undici anni. I bombardamenti quotidiani in corso contro l’Iraq sono a mala pena citati nella stampa americana, che non ha fatto qualsiasi tentativo di accertare il numero totale di iracheni uccisi dalle bombe americane fin dal 1991.

Dati questi precedenti sanguinosi, chi e perche’ si dovrebbe sorprendere che quelli che furono sotto il bersaglio degli Stati Uniti cercano di vendicarsi?

La stessa stampa che ora sta gridando vendetta ha abitualmente lodato l’uso di violenza contro qualsiasi paese o popolo giudicato come ostacolo contro gli interessi statunitensi. Richiamamo le parole del colonnista del New York Times, Thomas Friedman, che aveva questo da dire al popolo serbo durante la campagna statunitense di bombardamento nel 1999: “Si dovrebbe spegnere le luci in Belgrado: ogni rete elettrica, ogni conduttura dell’acqua, ogni strada e stabilimento connesso con la guerra deve essere colpito...[Noi] vi distruggeremo. Voi volete 1950? Noi possiamo fare 1950. Voi volete 1389? Noi possiamo fare 1389.”

La politica estera degli Stati Uniti è una miscela di cinismo, brutalità e irresponsabilità. Washington ha perseguito un corso che ha infiammato l’odio di una larga parte del popolo mondiale, creando condizioni nelle quali si possono trovare reclute per operazioni terroristiche e sanguinose. Nei rari momenti di franchezza, esperti di politica estera hanno ammesso che le azioni degli Stati Uniti provocano odio e desiderio di retribuzione. Durante la guerra balcanica, l’ex-Segretario di Stato, Lawrence Eagleburger, dichiarò: “Noi abbiamo presentato al resto del mondo una visione di un prepotente che schiaccia un pulsante, persone laggiù muiono, e noi non perdiamo niente eccetto il costo di un missile...questo ci tormenterà in termini di tentare un accordo con il resto del mondo nel futuro.”

Comunque, questo discernimento non ha impedito lo stesso Eagleburger nel dichiarare martedì sera che gli Stati Uniti dovrebbe reagire alla distruzione del World Trade Center lanciando immediatamente bombe in qualsiasi paese che sarebbe coinvolto a questo atto.

Il discorso di George W. Bush alla nazione il martedì sera riassume l’arroganza e la cecità della classe dirigente americana. L’America essendo per niente “il più luminoso esempio di libertà e opportunità nel mondo,” gli Stati Uniti è vista da decina di migliaia di persone come il nemico principale contro i diritti umani e democratici, e la sorse principale della loro oppressione. La classe dirigente americana, insolente e cinica, si comporta come se potesse eseguire le iniziative violente in tutto il mondo pensando di non creare condizioni politiche di atti violenti di retribuzione.

Nell’immediata conseguenza degli attacchi di martedì, le autorità statunitensi e la stampa ancora una volta hanno dichiarato Osama Bin Laden responsabile di questa tragedia. Questo è possible, sebbene, come sempre, non presentano alcuna evidenza per sostenere il loro reclamo.

La denuncia che Bin Laden sia il colpevole, però, provoca una preoccupante miriade di domande. Dato il fatto che gli Stati Uniti abbia dichiarato questo individuo di essere il terrorista più letale ed estremista del mondo, di cui loro seguono le tracce di ogni suo movimento con l’aiuto di congegni più tecnologicamente sofisticati del servizio segreto, come potrebbe Bin Laden organizzare questo attacco elaborato senza essere scoperto? Inoltre un attacco contro lo stesso grattacielo di New York che fu colpito nel 1993?

Il successo distruttivo del suo assalto indicherebbe che, dal punto di vista del governo americano, la crociata contro il terrorismo fu stato soltanto una campagna di propaganda per giustificare la violenza militare degli Stati Uniti intorno al mondo che invece un coscienzioso tentativo di proteggere il popolo americano.

Inoltre, entrambi Bin Laden e i Taliban mullahs, che gli Stati Uniti accusano di dare rifugio, furono finanziati e armati dall’amministrazione di Ronald Regan e George Bush per combattere i regimi pro-sovietici nell’Afghanistan durante gli anni ottanta. Se loro sono coinvolti nelle operazioni di martedì, allora la CIA americana e l’istituzione politico statunitense sono colpevoli nell’avere allevato le stesse forze che hanno eseguito questo attacco più sanguinoso contro il popolo americano mai vista nella storia degli Stati Uniti.

L’intensificazione del militarismo statunitense all’estero sarà inevitabilmente accompagniato da attacchi intensi contro i diritti democratici in patria. Le prime vittime della frustante frenesia di guerra sono gli arabo-americani, essendo già sottoposti a minacce mortali e altre forme di molestia per conseguenza dell’isteria della stampa.

Gli annunci di una dichiarazione di guerra da entrambi politici repubblicani e democratici prefigurano un più severo provvedimento agli opponenti della politica estera americana. Il Generale Norman Schwarzkopf, che aveva comandato le truppe americane nell’invasione dell’Iraq nel 1991, parlò a nome dell’élite politico e militare quando disse in onda che la guerra contro presunti sostenitori di terroristi dovrebbe essere condotta sia all’interno che fuori dei confini degli Stati Uniti.

Questa è la politica portata avanti dagli Stati Uniti, guidata dagli interessi strategici e finanziari della classe dirigente, dove si trova le fondamenta dell’incubo che si svelò nella tragedia di martedì. Le azioni ora meditate dall’amministrazione di Bush—manifestate dalla minaccia del presidente di non fare “alcuna distinzione tra i terroristi che commettono queste azioni e coloro che li nascondono”—metteranno in scena solamente più tragedie.