“The Lodger” (“Il pensionante”), 1927, è il primo film di Alfred Hitchcock in cui si possono riconoscere tutti i meccanismi narrativi e compositivi che questo grande autore ha ereditato dai maestri delle altre arti narrative, ha saputo reinventare come forme del racconto audiovisivo, ed ha utilizzato magistralmente nella realizzazione della sua intera opera. “The Lodger” non è il primo film realizzato da Hitchcock, ma è senz’altro il primo titolo «isomorfo» rispetto all’opera complessiva del maestro; un film, cioè, che anche se non avesse impresso il nome dell’autore nei titoli di testa, saremmo in grado di identificare indiscutibilmente come un film di Hitchcock, o meglio un esempio dell' “Hitchcock Touch”. Questo racconto per immagini in movimento e musica basterebbe da solo per studiare, scena per scena e da una molteplicità di prospettive analitiche, come siano applicate rigorosamente tutte quelle regole del gioco - le regole del “segreto perduto” o del “grande segreto” - che François Truffaut apprese proprio da questo “oracolo” ancora vivente, depositario dei segreti dei maestri, che volle consultare e non appena decise di iniziare anche lui a fare - oltre che a studiare - cinema. Stiamo parlando delle regole per «fare arte con il cinema» che lo stesso Truffaut volle fare oggetto di una decennale conversazione proprio con il suo maestro Hitchcock; una conversazione ininterrotta solo in parte rappresentata dal famoso libro (“Hitchcock/Truffaut”, pubblicato in Italia con il titolo riduttivo “Il cinema secondo Hitchcock”) che raccoglie e sistematizza il lungo dialogo avvenuto nell’agosto 1962. Per quanto riguarda “The Lodger”, solo Hitchcock potrebbe trattare in modo poetico, artistico, la «fabula» dello squartatore che atterrisce l'intera città rendendo insicure le strade mentre gli investigatori lo ricercano in base a labili indizi e alle tracce da lui stesso lasciate per sfidarli a catturarlo. Ma come in ogni film di Hitchcock, l’esile «fabula» è solo il pretesto, il «MacGuffin» per raccontare una storia di passioni, di sentimenti profondi, di desideri e di paure, di fiducia e di sospetti, di ideali perduti e di speranze ritrovate, dove le «azioni» lasciano il posto alle «intenzioni», le «colpe» ai «sensi di colpa», le «vendette» ai «rimpianti». Insomma si tratta di un racconto interiore di anime malate in cerca di espiazione, di anime innocenti in cerca di sogni da realizzare, di anime ingenue in cerca di facili soluzioni. Qualcuno direbbe che l’autore di questo film è un Hitchcock non ancora maturo; altri invece - come il suo allievo ed erede François Truffaut - direbbero che si tratta già del miglior Hitchcock, perfettamente a suo agio con la scrittura mono-espressiva del muto, con cui riesce a raccontare una storia complessa con le sole immagini e la musica. Questa mono- (ma in realtà multi- espressività grazie alla musica) è resa da lui estremamente espressiva grazie all’abilità con cui dirige gli attori, con cui riesce a far mutar loro di continuo espressione per rappresentare le molteplici trasformazioni dell’animo dei personaggi nello spazio e nel tempo di una brevissima inquadratura. In altre parole in questo film c'è già tutto il cinema di Hitchcock: un personaggio accusato di un delitto che forse non ha commesso; il sospetto che serpeggia tra tutti i personaggi, ciascuno dei quali ha qualcosa da nascondere; un doppio che costringe il protagonista a fare i conti con la parte più oscura di se stesso; personaggi mai del tutto innocenti e mai del tutto colpevoli; attese e sorprese dosate con la cura di un musicista; una storia incredibile resa verosimile, e situazioni realistiche trasformate in sogni e incubi a occhi aperti. In conclusione: una lezione di cinema fatta con il cinema, tenuta da uno dei più grandi narratori audiovisivi di tutti i tempi.

• published: 27 Apr 2020
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