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Dietro lo sciopero del personale di volo dell’Alitalia

Di Marianne Arens
14 aprile 2015

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Questo articolo è stato precedentemente pubblicato in inglese l’8 aprile 2015

Il 20 marzo più di 2.000 dipendenti Alitalia, piloti e personale di cabina, hanno scioperato per otto ore. Questo sciopero è coinciso con un arresto di lavoro da parte di tutti i dipendenti della Meridiana Airline in Sardegna e uno sciopero di otto ore dei controllori di volo dell’agenzia di sicurezza aerea Ente Nazionale Assistenza al Volo, contro la privatizzazione dell’ENAV. Circa 300 voli sono stati cancellati negli aeroporti italiani e tutti i viaggi aerei sono stati oggetto di notevoli ritardi. Un altro sciopero di 24 ore è stato annunciato per il 7 maggio.

La ragione immediata per lo sciopero è stato il fallimento dei colloqui sui contratti tra il management e alcuni sindacati (Uitrasporti, Anpav, Anpac). In realtà il tutto avviene nel contesto di una drastica azione globale, mirata alla riduzione dei costi, a spese dei lavoratori del settore aereo.

Mentre le compagnie aeree stanno combattendo questo conflitto a livello globale, con le aziende più grandi che prendono il controllo di concorrenti più piccoli, i sindacati perseguono una strategia puramente nazionale, generalmente finendo per sostenere i programmi di riduzione dei costi nei confronti dei propri membri, nell’interesse della competitività.

Il comportamento di Alitalia è esemplare di questo processo.

Sebbene i rappresentanti della European Cockpit Association (ECA), che rappresenta i piloti provenienti da 36 paesi, si siano recati a Roma per dare il loro sostegno al sindacato dei piloti italiani Anpac, il tutto era semplicemente per convincere Alitalia: “che un rapporto produttivo e positivo, con un sindacato dei piloti professionisti è il modo più efficace per avere successo nel mercato di oggi”.

Sempre il 20 marzo, scioperavano i piloti della compagnia aerea tedesca Lufthansa, ma senza cooperazione con lo sciopero Alitalia. Eppure, in entrambi i casi, i problemi sono gli stessi: difesa delle condizioni di lavoro e dei salari contro gli attacchi diretti del management e della sua strategia di esternalizzazione delle attività (outsourcing) a compagnie aeree a basso costo.

Mentre Lufthansa giustifica le misure di riduzione dei costi, citando la concorrenza dalle compagnie aeree a basso costo come Ryanair e Easyjet e dei ben finanziati vettori arabi, come Emirates e Etihad, Alitalia è già stata rilevata da Etihad. La compagnia aerea araba, con sede ad Abu Dhabi, dalla scorsa estate ha il controllo del 49 per cento delle azioni della società italiana; la nuova ragione sociale è: Alitalia SAI, Società Aerea Italiana.

La gestione della neo-fondata società è dominata da vecchi capitani di industria delle grandi imprese italiane e da un rappresentante di Etihad. Il presidente è Luca Cordero di Montezemolo, da lungo tempo a capo di Fiat, Ferrari e Maserati; il presidente del consiglio di amministrazione è Silvano Cassano, ex amministratore delegato di Benetton, e il vice presidente è James Hogan, il rappresentante di Etihad.

Dal coinvolgimento di Etihad, iniziato il 1° gennaio 2015, non vi è stato alcun accordo contrattuale con i lavoratori. I lavoratori in sciopero chiedono che i salari dei dipendenti della compagnia aerea regionale City Liner vengano allineati con quelli della società principale, e che venga reintrodotta la tredicesima, che è stata eliminata per alleggerire le difficoltà finanziarie della società.

Ma la fonte primaria del conflitto con i lavoratori è il rifiuto della compagnia aerea di abbandonare il cosiddetto “wet lease”; in base a tale pratica, non solo gli aerei di altre società, ma anche il loro equipaggio sono affittati e pagati secondo gli accordi salariali più economici dell’appaltatore esterno.

Sebbene Cassano abbia spiegato che il management non ha intenzione di esternalizzare parti di Alitalia a contraenti esterni, sembrerebbe che questa pratica sia stata usata da Alitalia per anni. Due anni fa, il disoccupato Ivan Mosenghini, che aveva precedentemente lavorato come pilota con Alitalia per 26 anni, ha scritto in una lettera al “Corriere della sera” che diversi aerei avevano volato “sotto falsa bandiera”; anche se portavano il logo Alitalia in realtà appartenevano a una flotta aerea a basso costo.

Mosenghini si riferiva ad una serie di contratti stipulati da Alitalia con subappaltatori, come la compagnia aerea rumena Carpatair. Queste aziende pagavano i lavoratori fino al 40 per cento in meno rispetto alla società principale. In tal modo, Alitalia stava abbandonando “la professionalità di centinaia di piloti.” Utilizzando il logo Alitalia, Carpatair ingannava i passeggeri “che vengono portati a credere che nulla sia cambiato.”

Negli ultimi anni, ad Alitalia, riduzioni di costi si sono susseguite. Dopo la seconda guerra mondiale, la compagnia aerea apparteneva allo Stato ed era gestita dall’Istituto per la Ricostruzione Industriale, fino a quando fu gradualmente privatizzata nel 1990; ma, fino alla crisi finanziaria del 2008, il ministero dell’economia e delle finanze era ancora proprietario di metà delle azioni della società.

Poi, nell’autunno del 2008, un consorzio di aziende e banche ha rilevato la società aerea, che era praticamente in bancarotta.?Ciò fu organizzato da Silvio Berlusconi, che era allora primo ministro per la terza volta, e che aveva fatto la promessa elettorale di salvare la compagnia di bandiera. Berlusconi bloccò il piano di ripresa di Alitalia da parte di AirFrance, permettendo alle banche Intesa Sanpaolo e UniCredit e alle imprese Fiat, Benetton, Piaggio e all’impresa siderurgica Riva l’acquisizione delle parti più redditizie della società; mentre i debiti rimanevano allo Stato. Per raggiungere questo obiettivo, Berlusconi riscrisse la legge fallimentare italiana.

Così nacque Alitalia CAI (Compagnia Area Italiana), che oggi controlla il restante 51 per cento delle azioni di Alitalia. All’inizio del 2009, su un totale di 20.000, sono stati tagliati 5.000 posti di lavoro. Ma anche dopo questo, la compagnia aerea non è emersa dai debiti e ha continuato la sua ricerca di un partner globale con Air France, KLM, Lufthansa, Delta Airlines e in ultima analisi Etihad.

L’acquisizione del 49 per cento delle azioni Alitalia da parte di Etihad ha determinato una ulteriore ristrutturazione e la distruzione di posti di lavoro. Questo è stato il risultato ottenuto per ogni compagnia aerea dove Etihad ha investito. Dal momento in cui Etihad investì in Air Berlin nel 2011, più di 1.000 posti di lavoro sono stati tagliati; Air Serbia ha perso 333 posti di lavoro e Air Seychelles ne ha persi 250.

L’investimento di Etihad in Alitalia ha provocato il licenziamento di 240 piloti e 750 personali di cabina. La compagnia aerea sussidiaria AirOne è stata chiusa nell’autunno 2014. Alitalia e AirOne dieci anni fa impiegavano 2.500 piloti; oggi Alitalia ne impiega appena 1.300, a malapena la metà.

Dalla privatizzazione del 2008, i salari sono stati ridotti drasticamente. Secondo le stime del quotidiano La Stampa, il salario lordo di un pilota italiano, a quel tempo, poteva raggiungere i 240.000 euro. Con la fondazione di Alitalia CAI, questi stipendi sono stati decurtati ferocemente e resi dipendenti dalle ore volate effettive. Da allora, i piloti Alitalia sono pagati direttamente solo il 30 per cento dei loro salari, mentre il restante 70 per cento è costituito da premi, calcolati sul numero di ore di volo.

Nello stesso articolo de La Stampa, Gregory Alegi, docente di gestione delle linee aeree all’Università di Roma, ha scritto che questo sviluppo è parte di “una tendenza globale”. ?La nuova struttura salariale garantisce un massimo di flessibilità dei costi alle compagnie aeree, ma costringe i piloti ad accettare grandi tagli salariali se le rotte sono state accorciate o voli annullati.

I sindacati hanno sostenuto questo sviluppo in tutti gli elementi essenziali. Nel 2009 hanno deciso l’eliminazione di 5.000 posti di lavoro Alitalia, e quando è arrivata Etihad, hanno reso certo che l’attacco ai lavoratori venisse accettato.

Il quotidiano degli Emirati Arabi Uniti National ha citato il capo del sindacato dei piloti, Giovanni Galiotto: “pensiamo che i licenziamenti siano davvero necessari. La nostra opinione è che è sbagliato incolpare Etihad per i licenziamenti, perché questi esuberi sono il frutto della privatizzazione. In virtù del principio di salvare la gente, è necessario accettare qualche perdita.”

Il recente schianto di un aereo GermanWings nelle Alpi francesi ha dato nuova urgenza alla discussione sulle condizioni di lavoro affrontate dai piloti. La catastrofe, che è stata probabilmente causata da un co-pilota che soffriva di gravi problemi di salute mentale, dimostra quanto sia importante che ci sia un numero sufficiente di piloti ben riposati, motivati e in buona salute nella cabina di guida.

Alla luce di questo evento, la lotta dei piloti Alitalia, Lufthansa e delle altre compagnie aeree assume una nuova dimensione. Essi stanno difendendo le loro condizioni di lavoro, salari, posti di lavoro e le pensioni, non solo nel proprio interesse, ma anche a beneficio dei passeggeri delle compagnie aeree e della società nel suo complesso.