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Fiat Chrysler e CNH firmano accordo con sindacati legato a produttività

Di Marc Wells
18 luglio 2015

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Questo articolo è stato precedentemente pubblicato in inglese il 16 luglio 2015

Fiat Chrysler (FCA) e CNH Industrial hanno firmato il 7 luglio un contratto di quattro anni con le organizzazioni sindacali allo scopo di smantellare le conquistate storiche dei lavoratori e di ridurre notevolmente i salari degli 85.000 lavoratori dell’auto. Il contratto è stato escogitato dall’Amministratore delegato della FCA, e presidente del CHN, Sergio Marchionne, e durerà dal 2015 al 2018; esso è modellato su accordi simili, come la fraudolenta “partecipazione agli utili” stipulata fra General Motors e sindacati dell’automobile a Detroit.

Il nuovo accordo prevede il salario base, che non è soggetto ad aumenti o indicizzazione all’inflazione, come stabilito dall’accordo Fiat del 2011, e una serie di premi, basati sulla produttività. Se gli obiettivi della società saranno raggiunti, i lavoratori riceveranno € 120 al mese per i primi tre anni e € 230 al mese nel quarto anno dell’accordo, in aggiunta allo stipendio base stabilito nel 2011; il che costerebbe alla società al massimo € 600 milioni.

Se gli obiettivi, fissati dalla società, non sono raggiunti, i lavoratori riceveranno un bonus di € 25 al mese.

Dall’inizio dell’anno Marchionne sta perseguendo ferocemente la sua nuova strategia aziendale di “partecipazione agli utili”, che lega il salario agli utili dell’azienda. Lo scorso aprile, lui e il presidente della FCA, John Elkann, avevano svelato i dettagli della transazione in una assemblea di azionisti in Olanda. “Oggi è un giorno speciale... con FCA tutto è cambiato, per sempre”, ha detto Elkann, anticipando le implicazioni del nuovo accordo sulle relazioni e i costi del lavoro.

“Se gli obiettivi finali del piano saranno quelli attesi, e sono sicuro che lo saranno, tutti i nostri lavoratori in Italia avranno vantaggi economici di assoluto rilievo che deriveranno direttamente dal loro lavoro e dal loro impegno”, ha dichiarato Marchionne.

Per i lavoratori il tutto significa la fine di un salario sufficiente a vivere e dei benefici. La società avrà il pieno controllo su qualsiasi metodo di contabilità dei premi; a parte alcuni numeri percentuali, non ci sono dettagli su come i premi verranno calcolati, solo definizioni generiche che indicano che i bonus sono legati a produttività e redditività.

I manager della FCA hanno potuto procedere in modo aggressivo contro i lavoratori Fiat in Italia perché possono minacciare di spostare la produzione negli Stati Uniti, dove la United Auto Workers (UAW) ha collaborato alla drastica riduzione dei salari, delle pensioni e delle prestazioni salariali dei lavoratori dell’auto.

Si tratta di un concetto nuovo, nell’Europa moderna, che i premi sostituiscano gli aumenti salariali negoziati attraverso la contrattazione collettiva. Un certo numero di prestazioni salariali, come ad esempio le ferie pagate, la tredicesima, la retribuzione degli straordinari, i congedi e altre indennità, come il fine rapporto, sono calcolati sullo stipendio base.

Marchionne non ha potuto trattenere il suo entusiasmo per l’accordo, dicendo: “ Negli scorsi anni FCA ha dovuto fare i conti con un sistema di relazioni industriali stagnante basato su sterili contrapposizioni tra capitale e lavoro. Quei giorni sono finalmente finiti.

Ma la verità è che gli antagonismi di classe sono in aumento, non svanendo. Oltre allo smantellamento di stipendio e benefici salariali, i lavoratori sono costretti a lavorare fino a 50 ore alla settimana; inoltre, il diritto di sciopero è fortemente ridotto e limitato esclusivamente ai lavoratori che sono iscritti ai sindacati che hanno firmato l’accordo.

Tutti i principali sindacati (tranne l’ex stalinista Fiom) hanno collaborato con entusiasmo con Marchionne nell’imporre questo tradimento. Per anni questi sindacati hanno mentito ai lavoratori e hanno aiutato le aziende ad abbassare i livelli salariali in modo da rendere le fabbriche italiane competitive con le regioni a basso costo, come l’Europa dell’Est o la Cina.

Lo scorso febbraio, il leader di Fim-Cisl, Annamaria Furlan, ha dichiarato l’impegno del sindacato e la sottomissione a Marchionne dichiarando “Il modello Fiat che ha portato al Paese, in un momento di crisi, investimenti e posti di lavoro e che coniuga innovazione e partecipazione dei lavoratori deve diventare un modello per il Paese”.

Quando l’accordo è stato firmato, il Segretario Nazionale della Uilm-UIL, Rocco Palombella, ha dichiarato: “Si tratta di un accordo molto importante che punta sulla ripresa del settore automotive, che crea un nuovo sistema di relazioni sindacali”.

Nonostante il suo atteggiamento di sindacato più militante, la stalinista FIOM è altrettanto implicata nella svendita. Lo scorso gennaio, il Segretario Nazionale Maurizio Landini ha entusiasticamente applaudito Marchionne per l’assunzione di circa 1.000 lavoratori dello stabilimento di Melfi dichiarandola “un’ottima notizia, la dimostrazione che con gli investimenti e nuovi prodotti arriva l’occupazione... Diciamo bravissimo a Marchionne, siamo tutti contenti e chiediamo che prosegua su questa strada anche negli altri stabilimenti”.

Landini aveva così abbandonato le critiche pro forma della FIOM contro il Jobs Act, la recente reazionaria riforma del lavoro, attuata dal Primo Ministro Matteo Renzi, con il sostegno dei sindacati, che abroga decenni di conquiste risultati di dure lotte. I nuovi assunti sono soggetti alle nuove regole, e Landini ha difeso Marchionne: “è stato molto chiaro e onesto. Ha detto che lui le persone le avrebbe assunte lo stesso e infatti per il momento le assumerà con il contratto interinale. Gli imprenditori assumono quando hanno bisogno di produrre, non per dimostrare che le nuove regole funzionano”. Queste sono le parole di sindacati corporativi al servizio dei padroni, non di organizzazioni dei lavoratori.

Il ruolo dei sindacati italiani in relazione a Fiat va di pari passo a simili sviluppi in tutto il mondo. Appena una settimana dopo che l’accordo è stato firmato in Italia, una serie di trattative è iniziata negli Stati Uniti tra l’UAW e la General Motors, oltre che Fiat Chrysler e Ford. I produttori automobilistici degli Stati Uniti stanno chiedendo enormi risparmi sui costi, sostenendoli con minacce di spostare la produzione in zone a bassi salari.

I sindacati americani sono partner a pieno titolo in questo assalto ai lavoratori dell’auto. Il presidente dell’UAW, Dennis Williams, ha dato il via alle trattative affermando la completa simbiosi del sindacato con GM, affermando: “per il prosperare di GM , per la vittoria degli azionisti e dei consumatori e per tutti i membri dell’UAW per condividere la prosperità dei loro successi. Possiamo guadagnarci tutti”.

Per resistere a questi attacchi, i lavoratori devono rifiutare la demagogia nazionalista dei sindacati e stringere i più stretti legami fra lavoratori in Europa, nelle Americhe e in Asia.