Trentino – Chiudono le frontiere? Blocchiamo tutto!

Fonte: Informa-azione

Martedì 16 febbraio, a Trento, un gruppo di compagni ha bloccato l’OBB Monaco-Verona delle 18,04. Lo striscione esposto sui binari diceva: “Chiudono le frontiere? Blocchiamo tutto!“. La scritta “OBB complice delle deportazioni” è stata tracciata sulla locomotrice del treno. Interventi al megafono, fumogeni e volantinaggio hanno bloccato il treno per circa un quarto d’ora.

Di seguito il testo distribuito:

“Mai più reticolati nel mondo” si può leggere su diversi monumenti eretti per ricordare l’immane carneficina della Seconda Guerra mondiale.

Eppure, non solo i reticolati non sono scomparsi dal mondo, ma sono sempre più vicini a noi. Quello che sta succedendo al Brennero è un’immagine emblematica dell’epoca in cui viviamo: filo spinato sui sentieri, controlli a tappeto sull’autostrada e sui treni, pattuglie di soldati e di milizie. La cosiddetta “Europa unita” per le merci si chiude e si militarizza contro una merce in eccesso: gli esseri umani che fuggono dalle guerre e dalla miseria. Ancora una volta, il totalitarismo si giustifica come “soluzione tecnica” per contenere e rinchiudere i poveri.

Accettare tutto ciò significa diventare disumani.

Oggi blocchiamo un treno OBB perché è su questi treni che avvengono i controlli incrociati della polizia italiana, austriaca e tedesca; è su questi treni che chi ha la pelle scura non può più salire; è con questi treni che tanti profughi vengono ricacciati in Italia.

Chiudono le frontiere? Blocchiamo tutto!

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Torino – Un pezzo dopo l’altro

Fonte: Macerie

cie21Il Cie di Torino torna a bruciare, anche se a essere interessata dall’incendio è solamente l’area bianca. Domenica notte infatti i reclusi lì rinchiusi hanno dato fuoco a tre delle cinque stanze che compongono l’area, lasciandola mezza bruciacchiata. I motivi della protesta sono da ricercare ancora una volta nell’insofferenza alla reclusione e nelle condizioni di vita nel Centro misere e degradanti.

Subito sono stati allertati i pompieri che hanno spento i focolai mentre dodici persone che stavano nelle stanze interessate dall’incendio sono state spostate all’ospedaletto in attesa di rendere di nuovo agibile l’area. Fuori dalle mura qualche solidale ha improvvisato un veloce saluto per dare forza ai ragazzi. Da quello che ci raccontano dentro, sembra che due persone siano state arrestate e si trovino forse alle Vallette, ma ancora non abbiamo notizie certe al riguardo. Quello che invece si sa con certezza è che qualche giorno fa un ragazzo marocchino per evitare l’espulsione si è pesantemente tagliato; per qualche ora gli operatori hanno cercato di ignorarlo rinchiudendolo in isolamento ma poi visto la gravità delle ferite non hanno potuto far altro che portarlo all’ospedale Martini dove è stato operato. Il ragazzo è stato poi riportato al Cie ed è ora rinchiuso in isolamento. Di storie di resistenza all’espulsione in questi anni ne abbiamo sentite tante e spesso sono storie di autolesionismo, di tagli nel Centro e di testate sull’aereo per cercare di ritardare il rimpatrio e riuscire a raggiungere quei tre mesi di detenzione oltre i quali, secondo la legge modificata nel novembre 2014, non si può più essere trattenuti e le porte del Cie devono essere aperte. Sono storie di ordinaria violenza che ogni tanto saltano agli onori della cronaca: come la storia di Jose, ragazzo ecuadoregno che la settimana scorsa è stato legato e caricato sull’aereo per essere rimpatriato… in Africa. Questa volta qualcuno si è accorto dell’errore in tempo, ma non tutti sono così fortunati; nella foga di rispettare gli accordi europei, nel tentativo di oliare al meglio la macchina delle espulsioni, velocizzando procedure di identificazione ed espulsione non ci si preoccupa troppo di assicurarsi che il paese in cui si cerca di rimandare indietro chi non ha i documenti per poter restare in Italia regolarmente sia realmente il paese di provenienza. E Jose, dopo il rischio di essere rispedito in un paese che non era il suo, ha opposto resistenza ancora una volta quando, caricato su un aereo a Malpensa, stava per essere espulso questa volta in Ecuador. Con urla e testate contro il finestrino il ragazzo è riuscito a farsi portar giù dall’aereo e a rinviare ancora il suo rimpatrio.
Questo è a grandi linee il racconto di ciò che è successo nel Cie sabaudo negli ultimi tempi. Rispetto ai danni provocati dall’incendio di domenica e rispetto ai tempi per ristrutturare le parti danneggiate ancora non abbiamo informazioni precise; dal canto nostro non possiamo che rallegrarci quando, anche piano piano e un pezzo alla volta, i reclusi insieme prendono il coraggio di bruciare le strutture che li rinchiudono.

macerie @ Febbraio 16, 2016

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Gli Hotspot: nuovi modelli di controllo e carcerazione

Riceviamo e pubblichiamo. Per contribuire : hurriya (at) noblogs.org

Protesta all'hotspot di Lampedusa

Protesta all’hotspot di Lampedusa

Si considerava opportuno dire qualche parola sui cambiamenti attuali legati alla detenzione amministrativa e alla  gestione degli immigrati. Qualche considerazione, senza pretese geopolitiche, rispetto agli sviluppi in corso in Europa.
Per una visione un po’ più ampia, si rimanda alla lettura dell’opuscolo “Considerazioni sulla detenzione amministrativa  in Italia” del Settembre 2015 (1), di cui questo scritto è una parte integrativa e aggiornata. Continue reading

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Roma – Sabato 27 febbraio – Presidio solidale al CIE di Ponte Galeria

Riceviamo e diffondiamo la locandina per il prossimo presidio davanti le mura del CIE romano. Il formato è pronto per la stampa.
Per scriverci ed inviarci contributi: hurriya[at]autistici.org

prossimo6feb

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Roma 6 febbraio – Aggiornamenti sui C.I.E. e apertivo @ BAM

Riceviamo e pubblichiamo l’invito a partecipare a questa iniziativa.

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Appello alla mobilitazione: 6 febbraio giornata di lotta transnazionale

transact6f_2Grand-724x1024fonte: NoBorders Morocco

Il 6 febbraio si sta avvicinando! Il secondo anniversario del massacro a Ceuta, dove la Guardia Civil ha sparato ad almeno 15 migranti subsahariani sulla spiaggia di Tarajal. Lo scorso anno abbiamo organizzato una cerimonia commemorativa a Tangier, quest’anno la mobilitazione si sta rafforzando: molti gruppi marocchini, subsahariani e transnazionali si sono uniti per pretendere giustizia! Mobilitazioni di massa avranno luogo in Marocco ed Europa, il 6 febbraio ci saranno sit-in, cortei ed iniziative informative a Rabat, Ceuta, Barcellona, Berlino e Strasburgo.

Potete leggere sul blog http://6feb-ceuta.org/ riguardo le iniziative e le rivendicazioni della giornata di mobilitazione transnazionale.
“Siamo attivisti di collettivi, associazioni e movimenti sociali. Lottiamo per la libertà di movimento per tutti/e! Veniamo dal Cameroon, Siria, Mali, Eritrea, Senegal, Spagna, Germania, Tunisia, Marocco, Francia e molti altri paesi. Non accettiamo altre morti nel Mediterraneo. Sappiamo che è possibile “vivere insieme” in un sistema politico di uguaglianza e rispetto dei diritti umani, perché per anni abbiamo costruito reti di solidarietà. Ciò che è accaduto il 6 febbraio 2014, quando la Guardia Civil spagnola ha ucciso almeno 15 persone che entravano a nuoto a Ceuta, non è solo una questione spagnola o marocchina, riguarda tutto il mondo. Perciò ci siamo uniti in una lotta comune transnazionale per la demilitarizzazione delle frontiere, per la libertà di movimento e per la giustizia globale.”

UNISCITI ALLA LOTTA E ALLE AZIONI DEL 6 FEBBRAIO PER DIGNITA’, GIUSTIZIA E LIBERTA’ DI MOVIMENTO!
STOP ALLA GUERRA CONTRO I/LE MIGRANTI!
NO C’E’ MONDO SENZA MIGRAZIONI!
NO ALLE FRONTIERE!

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Sulle deportazioni dei migranti nelle località di montagna

Articolo di Lele Odiardo, tratto dall’ultimo numero di Nunatak – Rivista di storie, culture, lotte della montagna che ringraziamo per averci risposto.

Fatti e fatterelli dalle valli del cuneese che riguardano uomini e donne che chiedono protezione internazionale. Tutti li chiamano profughi… Per riflettere, attraverso vicende locali, sull’urgenza dell’antirazzismo e sull’identità presente e futura delle comunità di montagna.

Deportazioni…
Le ondate migratorie verso l’Europa seguite alle primavere arabe, costringono il governo Berlusconi a dichiarare lo stato di emergenza, gestito dal ministro Maroni di fatto in accordo con le opposizioni. Nel mese di febbraio 2011, tramite le prefetture, vengono presi contatti sul territorio per piazzare i cosiddetti “profughi” e decongestionare i lager per migranti (CARA e altre strutture sorte per favorire i lauti guadagni di presunte organizzazioni umanitarie). La logica è quella di alimentare l’immagine dell’invasione (la storia dimostrerà che invasione non fu, tant’è vero che l’Europa sconfesserà l’Italia imponendo di occuparsi in qualche modo dei richiedenti asilo o altre forme di protezione), distribuire quote di migranti tra le varie regioni e rendere conveniente l’accoglienza per chi la fa attraverso un contributo di 35 euro più IVA al giorno per ogni “ospite”. Ma soprattutto bisogna de-responsabilizzare la politica su un argomento spinoso affidando alla Protezione Civile la regia delle operazioni. La Protezione Civile e la Croce Rossa sono organi tecnici che intervengono in caso di calamità e quindi rafforzano l’immagine dell’invasione del suolo italico.

Tra le prime strutture ad essere individuate in Piemonte ci sono quelle di Pra Catinat (1785 m.s.l.m.) in val Chisone (TO) e Prato Nevoso (c.a. 1500 m.s.l.m.) in provincia di Cuneo. Scalpore a livello nazionale suscitano i 118 migranti deportati al residence “Le Baite” a Monte Campione (1800 m.s.l.m. in Valtellina).
Il presidente degli albergatori cuneesi conferma che «la nostra categoria era stata contattata dalla Prefettura, che ci chiedeva l’eventuale disponibilità ad ospitare dei profughi. Contattati abbiamo individuato a Prato Nevoso ma anche a Frabosa ed in altre zone del cuneese, degli hotel eventualmente disposti ad ospitare le persone». Ma all’arrivo dei pulman con i primi 60 migranti, il 13 maggio, scatta la protesta. Il sindaco, colto di sorpresa afferma: «Ho saputo solo ieri dell’arrivo dei profughi dall’assessore regionale alla Protezione civile. Tempo fa, ad una precisa richiesta circa la possibilità ad ospitare profughi avevamo risposto che non vi erano strutture idonee in paese». E invece la struttura idonea si trova, è l’hotel La Curva, vuoto per la maggior parte dell’anno. Commercianti, operatori turistici ed agenti immobiliari bloccano con automobili, un camion e una ruspa i pulman della Croce Rossa che trasportano i malcapitati. Il solito ritornello, noi non siamo razzisti ma…«Abbiamo appena intavolato degli accordi per il rilancio del turismo estivo. E questo piano di rilancio passa anche attraverso l’assunzione di personale. Assunzioni che verrebbero automaticamente bloccate. E poi chi verrebbe ancora ad affittare o, peggio, acquistare appartamenti?». Vaglielo a spiegare a quelli dell’hotel! «Giusto che ognuno faccia il proprio business ma queste persone non si sono comportate bene. Avrebbero dovuto quanto meno consultare la popolazione». I migranti creano «inevitabilmente» problemi di ordine pubblico, in paese c’è un solo vigile urbano, poverino, e non esiste la stazione dei carabinieri, lamentano i manifestanti. C’è un’unica soluzione: «Risalgano sui pulman e tornino da dove sono venuti, oppure ci sono posti periferici e più densamente abitati in grado di accoglierli. Qui da noi, no!»
Deve intervenire l’assessore regionale (governatore del Piemonte è il leghista Cota) e rassicurare (il bugiardo!) che «entro 7 o 15 giorni al massimo i profughi saranno destinati altrove», la presidente della provincia Gancia (anche lei Lega Nord) convoca d’urgenza il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza «a garanzia della salvaguardia di un territorio la cui economia si basa principalmente sul turismo.» Emergenza!
13 manifestanti saranno accusati di interruzione di pubblico servizio, processati ed assolti. I migranti (maliani, nigeriani, ghanesi) resteranno fino al 30 dicembre 2011 ma alcuni faranno perdere le tracce e continueranno il loro percorso verso una condizione migliore. Abbandonati a se stessi, protesteranno per il trattamento ricevuto e la mancanza di assistenza legale, per l’arrivo tardivo delle tessere sanitarie, per l’impossibilità di trovare un lavoro in un luogo così isolato. Un maliano subirà anche un processo a seguito della denuncia del titolare dell’hotel e verrà addirittura condannato per molestie a pagare una multa (ovviamente, nel frattempo, si rende irreperibile).
La triste vicenda dei profughi di Prato Nevoso si conclude dunque dopo 7 mesi e mezzo di agonia con il trasferimento dei superstiti in altre strutture di accoglienza e la bella sommetta di circa 400.000 euro più IVA nelle casse dell’hotel La Curva.
Grande risalto sulle cronache locali avrà la vicenda di due coniugi, lui ghanese lei nigeriana. Separati al loro arrivo a Lampedusa si ritroveranno dopo un mese grazie all’interessamento di una giornalista e la donna potrà riabbracciare il marito dopo aver partorito una bimba in un ospedale di Palermo. La famiglia troverà accoglienza in una frazione di Frabosa, con il sostegno della Caritas. L’ultima immagine prima che cali il sipario è quella di papà, mamma e figlia ad impersonare Giuseppe, Maria e Gesù Bambino nel presepe vivente del paese. L’immagine, commovente e un po’ patetica, del migrante docile e sottomesso, destinatario delle nostre cure caritatevoli, quella che piace alla maggioranza silenziosa e a quelli che non sono razzisti ma…
Contemporaneamente, il sindaco di Acceglio ha una brillante idea che suscita scandalo. Tutta l’alta val Maira è scarsamente popolata, immersa nel verde e circondata da montagne mozzafiato, ricca di storia e cultura, località rinomata per il turismo sostenibile, soprattutto straniero; la proposta di legge per l’accorpamento dei comuni sotto i 1000 abitanti e i tagli imposti dal governo centrale, la condannerebbero ad una lenta e inesorabile agonia. È il periodo in cui l’isola di Lampedusa scoppia per l’ondata di sbarchi e il vulcanico primo cittadino scrive al suo collega: «Come saprai il Governo ha fatto nuovi tagli, in particolare ai Comuni con meno di 1.000 abitanti. Molti servizi (scuolabus, sgombero neve, raccolta rifiuti) saranno gestiti con poca cura. Se non eliminati, con il risultato di avere un’emigrazione verso la città, anche delle poche famiglie che invece avevano deciso di stabilirsi qui. Visti i problemi inversi che hai tu, ti chiedo di poter avere circa 830 profughi a cui dare residenza e alloggio, per arrivare a quota mille abitanti, evitando il taglio del Comune. Abbiamo decine di condomìni e seconde case con le serrande abbassate da anni dove ospitare extracomunitari e profughi. Una provocazione, lo ammetto, non tutti sono d’accordo. Ma il Governo ha attaccato l’ultima nostra libertà. Per salvare il paese, questo sarebbe il danno minore.» Il sindaco di Lampedusa la prende sul serio ma non se ne farà nulla, ovviamente.
È interessante però il fatto che, per la prima volta, viene posta la questione del ripopolamento delle vallate alpine grazie all’eventuale insediamento di cittadini stranieri, questione “scandalosa” che collide con la granitica identità dei montanari e valorizza la tradizione della montagna come luogo di passaggio e rifugio per chi fugge o arriva da lontano, senza necessariamente porre l’accento sulla paura del diverso. E poi il connubio Acceglio/Lampedusa a vantaggio di entrambe le comunità e dei migranti è davvero una bella storia.

Da un’emergenza all’altra…
L’emergenza Nord Africa, inizialmente prevista fino al 31/12/2011, viene prorogata e si chiude nel febbraio 2013, con notevoli disparità di trattamento a seconda dei luoghi e dei soggetti dell’accoglienza ma con un sostanziale arretramento dei diritti per tutti i migranti e un enorme spreco di denaro. I 500 euro di “buona uscita” dal circuito dell’accoglienza sono il simbolo di un fallimento annunciato e della fretta di chiudere. Continue reading

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Da Roma a Calais

Riceviamo e pubblichiamo. Ricordiamo che per scriverci potete farlo ad hurriya[at]autistici.org

“Sapendo la situazione a Calais e le resistenze contro gli attacchi dei fascisti e della polizia, abbiamo pensato di visitare un ufficio di alcuni tra i diretti responsabili. Le frontiere sono ovunque, lottiamo insieme.”
sberl

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Roma – Sul presidio del 23/1 al CIE di Ponte Galeria

Riceviamo e pubblichiamo. Per scriverci hurriya[at]autistici.org

Sabato 23 Gennaio si è svolto il presidio davanti le mura della sezione femminile del CIE di Ponte Galeria a Roma, in contemporanea con quello davanti il CIE di Corso Brunelleschi a Torino. Verso le quattro del pomeriggio circa quaranta persone sono tornate, come ogni mese, a portare solidarietà alle recluse con musica e grida. Dal microfono aperto si sono susseguiti interventi in diverse lingue non solo per far sentire la complicità con le recluse, ma anche per informarle su ciò che sta accadendo fuori, visto l’isolamento in cui sono costrette e per ripetere il numero di telefono con il quale si tiene viva la comunicazione con l’interno. Il presidio è durato poco più di un’ora e si è svolto sotto la sezione femminile perché quella maschile è ancora chiusa in seguito alla rivolta di inizio dicembre, che vi abbiamo raccontato.

image (3)Nella sezione femminile del CIE di Roma si respira la solita aria. Sono circa cinquanta le detenute, che passano le giornate provando a sopportare le pessime condizioni di vita, fatte di cibo indecente, freddo e soprusi. Proprio ieri mattina, ci dicono da dentro, è avvenuto l’ennesimo pestaggio ai danni di una donna che ha opposto resistenza alla deportazione. A lei tutta la nostra solidarietà. Gli ingressi e le uscite dal centro, sempre in base ai racconti delle donne recluse, sono quasi all’ordine del giorno, con donne che vengono da Lampedusa e soprattutto dalle retate in strada, che a Roma sono frequenti e sempre più organizzate. È necessario opporsi alle retate nei quartieri con tutti i mezzi che abbiamo a disposizione, perchè la macchina del CIE e delle espulsioni spesso inizia proprio nelle strade e nei quartieri che viviamo. Così come è necessario mantenere alta l’attenzione rispetto a ciò che avverrà nella sezione maschile. Una sezione distrutta dalle rivolte e che non dovrebbe mai più riaprire.

imageIn conclusione solo due parole sull’atteggiamento delle guardie. Arrivati al CIE abbiamo notato un certo nervosismo da parte di celere e DIGOS, arrivati numerosissimi all’appuntamento. Un dispiegamento imponente, non solo numeroso, anche munito di autoblindo e idrante, una vera e propria scenata. Inoltre alla fine del presidio, alcuni solidali sono stati seguiti in macchina dalla DIGOS per poi essere fermati e identificati in mezzo alla strada da una volante della polizia sopraggiunta all’improvviso. Da parte nostra evidenziamo solo il ridicolo inseguimento da film di spionaggio, che ci ha fatto veramente sorridere. Per il resto, non trattandosi del primo e probabilmente neanche dell’ultimo gesto intimidatorio, non commentiamo oltre.
Contro ogni gabbia e ogni frontiera

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Calais: la sfida della giungla!

Traduzione da : Calais Migrant Solidarity

c1Lunedì sera verso le 22 circa, la polizia francese, che per oltre un mese ha presidiato l’entrata della giungla e il ponte della superstrada che la domina, ha iniziato a sparare gas lacrimogeni per minacciare gli abitanti della giungla. L’azione della polizia non è stata causata da qualcosa in particolare; è bastato il fatto che alcune persone si fossero riunite all’ingresso della Jungle, così come fanno solitamente.

c2La polizia ha sparato gas lacrimogeni per più di mezz’ora con differenti livelli di intensità. Nei momenti di grande intensità, le persone avevano paura di attraversare la strada, per timore che la polizia avrebbe intensificato il lancio di gas. In quel momento un centinaio di residenti della Jungle, stufi di essere per l’ennesima volta aggrediti senza motivo, hanno appiccato un grande incendio utilizzando i resti di baracche distrutte nel corso delle operazioni di sgombero ordinate dalla prefettura lunedì scorso (11 gennaio).

Per ogni pezzo di casa, tenda e arredamento che bruciava i residenti nella giungla urlavano frasi quali “la fine della giungla!” e “Fottiti, polizia!”. A questo punto è partito un lancio di sassi e altri oggetti contro la polizia che, anche a causa del vento contrario, non poteva lanciare altro gas lacrimogeno; inoltre una ventina di persone ha iniziato a ballare al centro della via principale della giungla dando vita a una scena quasi apocalittica.

c3
L’aggressione subita dai rifugiati nella notte tra il 19 e 20 Gennaio fa da eco a quella avvenuta giovedì 15. La polizia ha attaccato nuovamente la giungla martedì mattina alle 5:00 cominciando a lanciare gas dal ponte della superstrada per intimidire i residenti della giungla ed evitare ogni tentativo di blocco stradale e per rendere l’area invivibile.

L’aria è diventata immediatamente irrespirabile, mentre i lacrimogeni hanno dato fuoco alla copertura di plastica di una costruzione della giungla. Subito una decina di residenti si sono adoperati per spegnere l’incendio prima che si propagasse raggiungendo le altre case intorno. Questa zona è infatti densamente popolata e ricca di negozi. Mentre accadeva tutto ciò, una bar della giungla ha aperto le porte per dare rifugio e conforto a coloro che tornavano dall’autostrada. Avvolti da un’aria irrespirabile, hanno acceso dei fuochi per resistere al freddo. Pian piano le persone sono andate a dormire, per qualche ora, fino a quando le ruspe di Stato si sono rimesse al lavoro.

Questa ultima notte di immotivata aggressione da parte dello Stato francese contro gli abitanti della giungla dimostra ancora una volta il livello di sistematica brutalità che il governo è disposto ad utilizzare. I gas lacrimogeni sono uno strumento dello Stato per cercare di rendere la vita nel campo invivibile, per disperdere le persone lontano dalla giungla verso il “centro di des répit” e verso l’area dei container, al fine di esercitare un ulteriore controllo e limitare la libertà di movimento delle persone. Non è un segreto che il governo vuole smantellare la giungla, con il vice sindaco di Calais che recentemente ha dichiarando in un’intervista al media di stato del Cremlino, Russia Today: “ci sono un sacco di cose costruite qui che … che sono illegali (sic) e devono scomparire “. Eppure di fronte a questo insopportabile livello di repressione i residenti della giungla mostrano un ardente senso di sfida nei confronti della volontà statale. Per quanto lo Stato ci provi insistentemente, gli abitanti della giungla non possono e non vogliono scomparire!

Calais: Incendiate ruspe del cantiere del campo container

Traduzione da Rabble
               
r1Venerdi’ scorso, vicino al campo di Calais, sono stati bruciati due mezzi usati per evacuare e costruire uno spazio adibito a dei container – un campo di concentramento dedicato alle famiglie all’interno di uno spazio più grande, la jungle semi-autonoma. Non ci sono state dichiarazioni sulle responsabilità dell’accaduto, ma secondo i giornali locali riportano che sono stati trovati graffiti con la scritta “no borders” e “questa e’ una prigione” su qualche container usato in questo nuovo spazio che detiene già più di qualche persona.

r3Il campo, uno sterile e fortemente controllato spazio, dovrebbe tenere almeno 1500 persone, sullo stesso territorio dove c’era la cosiddetta ‘giugla’, e e’ attualmente gestito dall’associazione degli sporchi collaboratori dello stato La Vie Active. Secondo la charity “la sicurezza che presidia il campo ha visto i colpevoli: puoi anche vedere le firme lasciate sui container. Sembra che questi sono anche riusciti a convincere i migranti a partecipare alle loro azioni”.
Il nuovo campo e’ il primo passo concreto nel tentativo di distruggere completamente il villaggio autogestito che conta dalle 4000 alle 6000 persone. Un terzo della popolazione della jungle si aspetta di essere sgomberata da oggi stesso per prendere uno spazio di qualche centinaio di metri proprio vicino l’autostrada.

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