Contributo
  07-01-2013 12:11
Autore : Anarchiche e anarchici
 
 
  Capace di stupire ancora Marco, nei suoi scritti, nelle sue parole, dopo vent’anni filati di carcere, capace ancora di esprimere lotta, lotta radicale ma anche amore, per coloro che combattono, per le “sue” terre distrutte dall’avanzare della civiltà capitalista.
 
     
  Mai zittito, mai domo, mai asservito a quel sistema che lo vorrebbe “reinserire” cancellando con un colpo di spugna identità, lotte, tensioni e desideri. Cioè tutto ciò che lo portò ormai 40 anni fa a colpire un obbiettivo semplice ma pieno di significati: l’industria di produzione di energia elettrica. Non era solo una critica, trasformata in pratica, del nuclearismo ma una ben più vasta visione di un sistema interconnesso, dove il fabisogno di energia, devastazione, repressione, saccheggio di materie prime, guerra e via dicendo fanno parte dell’insieme da combattere in toto.
Questa critica radicale Marco l’ha espressa nei suoi anni di prigionia in mille modi: solidarizzando con le lotte attraverso innumerevoli scioperi della fame, apportando idee e stimolando discussioni.
Marco è uno di noi, capace di individuare il nemico e colpirlo dove più nuoce, capace di farsi beffa dei carcerieri e lasciarsi alle spalle le sbarre, capace di difendersi a pistolettate da chi voleva ancora togliergli la libertà, capace di essere sempre al fianco di quelli che stanno dall’altra parte della barricata.
Senza voler creare miti o eroi, come dice Marco:
“[…]non fatevi stregare da quel che rappresento come figura. C’avrò anche provato, nel mo piccolo, ad andare fino in fondo mettendo in gioco me stesso. Cosa che però non dovremmo considerare eccezionale, ma normalità se ci misuriamo terra terra su ciò che sappiamo, vogliamo, dobbiamo essere…”

Nel maggio di quest’anno sarebbe stata possibile la fine della detenzione per Marco. In Svizzera, una volta scontati i 2/3 della condanna è prevista una liberazione anticipata a delle condizioni ed è sulla natura di queste che il sistema carcerario va trasformandosi nella direzione di un ingerenza sempre più repressiva ed invasiva nella vita dei/lle reclus*. Di fatto ad oggi la decisione di scarcerazione non si basa solo su di una serie di requisiti “oggettivi” come la buona condotta in carcere o la classificazione in un determinato regime di sicurezza ma si spinge oltre. È il sistema carcerario stesso a dover valutare l’avvenuto ravvedimento e quindi un possibile reinserimento nella società pretendendo, con l’istituzione di commissioni apposite, di sondare psicologicamente il genuino ravvedimento ed eventualmente classificare come caso patologico un ostinato rifiuto della logica carceraria. E con questo tipo di dottrina, partita in Svizzera da una decina d’anni e in via di messa a punto “sul campo” che si è scontrato Marco. Il rifiuto della scarcerazione anticipata per lui è corredato da decine di pagine di relazioni sulla sua condotta all’interno delle galere che chiariscono inequivocabilmente la posta in gioco. L’abiura della sua identità, l’interruzione dei legami con l’esterno e con altri detenuti quando considerati come inaccettabile solidarietà interna contro il sistema carcerario. Sotto accusa viene posta l’identità stessa di Marco, il suo spirito libero e ribelle che in questi vent’anni di reclusione lo ha portato fuori dalle galere presente nelle lotte, in uno scambio fra dentro e fuori le mura necessario e vitale affinché la punizione della condanna non si tramuti in cancellazione dell’individuo. Ed è proprio in questa direzione che si sta riformando l’ordinamento elvetico in linea con altri in Europa e non solo. Infatti oltre al restringimento delle possibilità per i detenuti di beneficiare dello sconto di un terzo della pena è stato approntato il famigerato articolo 64 c.p. che rende possibile la detenzione anche dopo il fine pena, con lo scopo di “neutralizzare la personalità del detenuto” (sic). Per alcuni tipi di reati classificati come violenti, concetto largamente estensibile, è previsto che a fine pena il/la prigionier* venga esaminat* da una commissione composta da psicologi, psichiatri, assistenti sciali, criminologi, ecc. che valuti l’opportunità o meno della scarcerazione. Non c’è limite al prolungamento dell’internamento e una volta iniziato l’iter non vi è modo per i/le prigionier* di sottrarvisi.
Questa tortura democratica è già applicata ad un centinaio di detenut* e la si paventa anche per Marco nel 2018, anno del suo fine pena.

Non ci aspettiamo, né vogliamo, certo un gesto di “clemenza” dello stato nei suoi confronti. Si tratta di una lotta ed è su questo piano che va posta. Marco ha in sé tante tensioni contro l’esistente, le nostre stesse tensioni che quotidianamente sappiamo tradurre in obbiettivi specifici contro cui dirigere la nostra rabbia.
Nei prossimi mesi una commissione prenderà delle decisioni determinanti sulle future condizioni detentive di Marco, quindi sentiamo l’urgenza di muoverci. Insieme a molte altre realtà anarchiche di territori dentro e fuori i confini, è stato fatto questo manifesto (al quale noi accompagniamo questo testo con alcuni spunti più legati al territorio Svizzero) con l’idea che sia un principio per un’ orizzonte più ampio. Questo è solamente il nostro contributo, non c’è da aspettarsi un calendario di iniziative da seguire o un sentiero già segnato, ma anzi consideriamo l’agire più efficace se autonomo, agile e dinamico, ognuno con i propri mezzi e con le diverse connessioni con cui si ha interesse ad interagire; come nuvole tumultuose che incontrandosi nello stesso cielo lo tingono di nero scegliendo di procurar tempesta.
Possiamo considerare questo un momento cruciale anche per molt* altr* fuorilegge, di fatti la misura dell’internamento a cui Marco sta resistendo è già effettiva per altr* detenut* in Svizzera e raramente si è avuta l’occasione per farla uscire allo scoperto. Essere a fianco di Marco contro lo Stato può creare un precedente e una crepa nell’imponente muro d’isolamento che divide le patrie galere dalla democratica galera a cielo aperto del resto della società. Rendendo così una misura che gli aguzzini con divisa e camice bianco intendono usare per neutralizzare l’individuo fuorilegge un ritorno di fiamma capace di propagarsi fuori e dentro ogni cella e strada.
Marco deve tornare sui sentieri della libertà.
Non lasciamolo solo nelle mani del nemico.
 
     
   
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