03Dec Morire per l'Euro? Il futuro dell'integrazione politica e sociale europea: quali lezioni dalla crisi? Alberto Bagnaiè professore associato di Politica economica presso il Dipartimento di Economia dell'Università Gabriele d'Annunzio di Chieti-Pescara, e ricercatore associato al CREAM (Centro di ricerca in economia applicata alla globalizzazione, Università di Rouen -- Francia) Un efficace percorso di integrazione sociale e politica europea deve ripartire dall'adozione di regole fondate sulla razionalità economica. Queste regole devono tener conto di due evidenze: primo, gli squilibri finanziari nascono a valle di uno squilibrio distributivo; secondo, la rigidità del cambio, invece di accelerare le riforme necessarie in alcuni paesi, ha nei fatti consentito di rinviarle, facilitando il rifinanziamento degli squilibri. Circa il primo punto, l'euro ha contribuito alla compressione dei diritti economici e sociali dei lavoratori. Nei paesi del Sud europeo, la politica del cambio forte è stata adottata in chiave di "disciplina" delle parti sociali. Nei paesi del Nord, un euro relativamente debole ha consentito di sostenere la crescita a spese della domanda dei paesi del Sud, mentre i salari venivano compressi al di sotto della produttività. I paesi "trainanti" hanno represso la propria domanda interna, adottando un modello mercantilista che si è dimostrato instabile, sia nei rapporti fra paesi (non possiamo essere tutti esportatori), che all'interno dei paesi (con aumento della precarietà, e quindi della disuguaglianza e della povertà). Le nuove regole europee dovranno partire da un'armonizzazione dei mercati del lavoro, da realizzare adottando il principio di remunerare i fattori di produzione in proporzione alla rispettiva produttività. Se i lavoratori non ricevono la giusta mercede, qualcuno (lo Stato, o gli stessi lavoratori) è costretto ad indebitarsi per sostenere la domanda aggregata. Questa è la causa profonda dell'attuale crisi debitoria. Circa il secondo punto, l'adozione della moneta unica aveva come scopo esplicito quello di facilitare i movimenti di capitale, e quindi l'indebitamento estero, all'interno dell'Eurozona. Di questa libertà si è abusato, dimenticando due importanti funzioni del cambio flessibile: quella di segnalazione degli squilibri, e quella difensiva. In un contesto di cambi flessibili i mercati avrebbero immediatamente segnalato, tramite una svalutazione, che alcuni paesi si stavano eccessivamente indebitando con l'estero. Ciò avrebbe impedito l'accumularsi degli squilibri che ora richiedono politiche sociali devastanti. Al contempo, in un contesto di cambi flessibili l'attuazione di politiche di dumping salariale aggressivo come quelle praticate dalla Germania con le riforme Hartz, in spregio all'obbligo di coordinamento delle politiche sociali espresso dai trattati europei, avrebbe portato a una rivalutazione del cambio, con conseguente perdita di competitività. La flessibilità del cambio sarebbe quindi stata il miglior stimolo alle necessarie riforme per i paesi del Sud, e alla opportuna cooperazione per quelli del Nord. Le nuove regole europee dovranno quindi prevedere il ripristino di rapporti di cambio flessibili fra le valute nazionali, almeno fino a quando l'armonizzazione delle economie reali e il compimento dell'unione politica non rendano naturale e razionale l'adozione di una moneta unica.

• published: 05 Dec 2013
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