Eutanasia. Emma Bonino all'amica: "Che la terra ti sia lieve"
Ultimo giorno di carnevale
Sette giorni dopo la morte di
Elisabetta mi chiamò la giovane collega criptica di Maga
Circe. Come al solito si mise alla prova esponendosi in prima persona e, come al solito, si chiuse a riccio. Incrociò le braccia fino a coprire il seno prematuramente cadente, ma questa volta riuscì a far meglio del solito e tirò fuori le sue dottrine fatte proprie senza passione, e mi comunicò il fallimento dell’ultimo protocollo.
Mi riferì la sua determinazione a sospendere ogni terapia “A questo punto somministreremo cortisone ad alte dosi, praticheremo una toracentesi per togliere l’acqua dai polmoni ogni quattro o cinque giorni, e le daremo la morfina. La porteremo, così, alla dolce morte in due o tre mesi”.
Rimasi impassibile, come seduto sul lettino, al parco, in riva al lago - “Evacuare l’acqua dai polmoni è una cosa buona”, pensai.
In meno di un istante ero con
Sandra, scivolavamo sull’erba in riva al lago, fino al fondo.
La dottoressa, sebbene ancora giovane, era già compiaciuta delle sue idee, fin troppo sicura delle sue affermazioni e malamente truccata da tronfia.
Guardai avanti, ancora più avanti, sapendo di non poter più voltarmi indietro e riferii gli accordi presi con il
Professor Scirone.
Il rossore le esplose sul viso “Non esistono sperimentazioni per questa malattia, sono sicura, sono una ricercatrice”.
“
Penso che il Professore abbia in mente qualcosa, altrimenti non vedo perché farci andare da lui”.
“Userà gli stessi protocolli di cura che abbiamo usato noi. Le stanno dando false speranze, Sandra, a questo punto, ha molto meno di una possibilità su cento. Non capisco questo Professore, può essere considerato accanimento terapeutico”.
Languida, malinconica e crudele. L’Eutanasia mascherata.
Era l’ultimo giorno di carnevale.
Qualcosa che non muore
Tornammo a casa con il certificato di dimissioni in mano.
Fu facile ritrovarsi sul pontile, rientrare nella barca, e facile fu anche rendersi conto che la rotta era cambiata.
Per tornare a casa presi la strada più lunga e più lenta. Ricordo che Sandra, inconsapevole di ciò che avevo dovuto ascoltare in quell’ufficio, continuava a parlarmi. Io, invece, non riuscivo né a parlare né ad ascoltare quel mesto resoconto di vita d’ospedale. Ero rimasto imprigionato in una minuscola idea fatta di fiale, morfina e dolce morte.
Guidavo come se non volessi lasciarmi sfuggire nulla di ciò che la mente a fatica cercava. C’era un gran buio attorno a me. Decisi allora d’abbandonarmi per un secondo nel fondo del lago, per sfruttare un battito di ciglia un po’ più lungo e l’anima mi chiese “Si può vedere il punto più lontano quando si giace sul fondo di una piccola idea?”
Mi resi conto che il mio pensiero voleva essere ancora libero di volare fuori da me e lo spinsi a librarsi verso Sandra e poi ancora più in là verso qualcosa che voleva rimanere lontano da lì.
In quel lago fermo d’inverno, la piccola idea prese forza, andò oltre il dolore, e io ripresi a respirare a fondo e sorrisi.
Quando Sandra si vide con me in quel punto estremo, finì di parlare e accostò il suo viso al mio. Pagine: 128,129,130,131