RCS MediaGroup è uno dei principali gruppi editoriali italiani, attivo a livello nazionale e internazionale nei seguenti mercati: quotidiani, libri, periodici, radio, nella televisione e inoltre sul web e nella raccolta pubblicitaria.
È quotato alla Borsa di Milano.
[modifica] Dalla fondazione ai primi anni ottanta
Angelo Rizzoli, cresciuto nel collegio dei Martinitt, imparò il mestiere di tipografo in orfanotrofio.
Nel 1927 si mise in proprio aprendo la tipografia “A. Rizzoli & Co.” in piazza Carlo Erba a Milano. La sua carriera di imprenditore nel campo dell'editoria iniziò con l'acquisto, dalla Arnoldo Mondadori Editore, del quindicinale Novella, sul quale, al tempo, venivano pubblicati racconti di Gabriele D'Annunzio e Luigi Pirandello. Nel 1930 Novella divenne un periodico femminile, raggiungendo ben presto la tiratura di 130.000 copie.
A Novella seguirono Annabella, Bertoldo, Candido, Omnibus, Oggi e L'Europeo. Dopo i periodici, Rizzoli iniziò nel 1949 a pubblicare anche libri.
Nel 1952 l'azienda assunse il nome di Rizzoli Editore.
Nel 1960 si trasferì nella sede di Cimiano in via Civitavecchia (oggi via Rizzoli), alla periferia nordest di Milano.
[modifica] Il crollo dell'impero mediatico
L'impero multimediale Rizzoli (1980-81)
- Quotidiani
- Periodici
- Emittenti televisive
- Cinema
Il 12 luglio 1974 il gruppo Rizzoli, il maggiore editore di periodici italiano, acquisì la proprietà della società editrice del Corriere della Sera, il primo quotidiano italiano[1]. L'«Editoriale Corriere della Sera», vera e propria corazzata editoriale, pubblicava anche un quotidiano del pomeriggio, il Corriere d'Informazione e i settimanali Amica, La Domenica del Corriere, Corriere dei Piccoli ed altri. Il pacchetto azionario dell'Editoriale Corriere della Sera era ripartito tra tre soggetti: famiglia Crespi (nella persona di Giulia Maria), Angelo Moratti e famiglia Agnelli. Bastava quindi acquisirne due per diventare i nuovi proprietari. Il presidente della Rizzoli, Andrea (1914-1983), figlio del fondatore Angelo Rizzoli, non si accontentò del pacchetto di controllo, ma volle per sé il 100% della società editrice. La terza quota, quella degli Agnelli fu rilevata pattuendo il pagamento differito in tre anni. La società acquirente assorbì la società acquisita: dalla fusione nacque la Rizzoli-Corriere della Sera (RCS).
Acquisendo il Corriere della Sera, Andrea Rizzoli realizzò il sogno di suo padre, ma dovette presto fare i conti con un enorme indebitamento. In pochi anni il peso dei debiti diventò un macigno da cui la casa editrice non riuscì più a risollevarsi.
Il 10 ottobre 1975 la Rizzoli comunicò ai sindacati che il deficit patrimoniale era di 20 miliardi di lire. Sui 3.500 dipendenti, 500 erano in esubero. L'editore però rassicurò i sindacati: il gruppo intendeva espandersi e consolidarsi. Infatti nel 1976 la RCS mise a segno due colpi: l'acquisto della rete tv Telemalta e del maggiore quotidiano del sud, Il Mattino.
Nel 1977 altre tappe dell'espansione furono l'acquisizione della Gazzetta dello Sport, il primo quotidiano sportivo italiano, e il controllo azionario di due giornali locali, Alto Adige e Il Piccolo di Trieste.
In quello stesso anno giunse a scadenza il pagamento della quota acquisita dalla famiglia Agnelli per rilevare il Corriere. Il suo valore, a causa dell'inflazione, era lievitato a 22,475 miliardi, una somma di cui la Rizzoli non disponeva. Cercando finanziamenti in tutte le direzioni, finì per accettare l'offerta di Roberto Calvi (presidente del Banco Ambrosiano), pervenutagli tramite la mediazione della loggia massonica P2 di Licio Gelli.
Nel luglio 1977 la Rizzoli, finanziata dal Banco, estinse il debito con la Fiat. Cinque giorni dopo il Banco procedette ad un'iniezione di denaro fresco: 20,4 miliardi sotto forma di un aumento di capitale (che passò da 5,1 a 25,5 miliardi)[2]. Roberto Calvi ottenne in pegno da Rizzoli l’80 per cento delle quote del gruppo. Angelone avrebbe potuto riscattare interamente il suo 80% dopo tre anni, ma al valore, maggiorato, di 35 miliardi. Calvi era diventato il vero padrone della casa editrice. In seguito alla modifica dell'assetto finanziario salì alla cabina di comando Bruno Tassan Din, che divenne il direttore generale[3]. La solidità della RCS dipese ora dalle buone relazioni con la P2 e i partiti politici, "intrecci" che Andrea Rizzoli aveva sempre accuratamente evitato[4].
Nel 1978 Andrea lasciò al figlio Angelo junior (chiamato da tutti Angelone) le redini del gruppo. Il suo posto in consiglio di amministrazione fu preso da Umberto Ortolani, avvocato, braccio destro di Licio Gelli.
Nel 1979 il gruppo RCS era saldamente il maggiore gruppo editoriale italiano, con una quota di mercato del 25% e un fatturato di 1.000 miliardi di lire, e si posizionava al secondo posto in Europa. Ogni giorno pubblicava 1.380.000 copie di quotidiani e quasi due milioni di copie di periodici. Il fatturato pubblicitario si aggirava sui 60 miliardi di lire annuali, a fronte di 3.500 dipendenti, 700 dei quali giornalisti[5][6].
In quell'anno Rizzoli e Tassan Din acquisirono il quotidiano genovese Il Lavoro e lanciarono una nuova iniziativa che avrebbe dovuto portare buoni frutti: il quotidiano popolare L'Occhio. Diretto da Maurizio Costanzo, noto giornalista televisivo, e venduto a 200 lire (cento in meno degli altri quotidiani), il nuovo giornale, lanciato con una costosa campagna pubblicitaria e con un'elevata tiratura, si rivelò in poco tempo un fiasco. La RCS perse così altri miliardi. Si rese necessaria una nuova ricapitalizzazione. Questa volta Calvi fece pervenire i finanziamenti attraverso l'Istituto per le Opere di Religione (IOR), banca privata con sede nella Città del Vaticano[7].
Nel 1980 scaderono per Angelone i tre anni che Roberto Calvi gli aveva concesso per riacquistare l'80% delle azioni RCS. Rizzoli però non disponeva delle risorse per rilevare la quota: il deficit del gruppo aveva raggiunto l'enorme cifra di 150 miliardi. Il Banco Ambrosiano, la banca presieduta da Calvi, predispose un piano di salvataggio del gruppo. L'operazione divenne in seguito nota come il pattone. Il piano di Calvi prevedeva un secondo aumento di capitale, per ripianare l'intero deficit. Angelone Rizzoli, che possedeva il 90,2% delle azioni (l'80% delle quali era da tre anni temporaneamente in mano al Banco Ambrosiano), rientrava in possesso del 50,2% di azioni; il restante 40% passava definitivamente in mano alla banca di Calvi al prezzo di 150 miliardi. Incassato il denaro, la Rizzoli Editore poteva pagare i 35 miliardi necessari al riscatto del vecchio 80%, mentre il resto sarebbe servito per sottoscrivere l'aumento di capitale pro quota. Il "pattone" venne siglato a Roma all'Hotel Excelsior nel settembre 1980 da Angelone Rizzoli, Bruno Tassan Din, Roberto Calvi, Licio Gelli e Umberto Ortolani[8][9].
L'operazione venne perfezionata il 29 aprile 1981. Quel giorno una società dell'Ambrosiano (quindi di Calvi), la «Centrale Finanziaria S.p.A.» effettuò l'acquisto del 40% di azioni Rizzoli. L'investimento invece si rivelò un falso. Calvi si era preso gioco di Rizzoli. L'operazione fu comunicata al pubblico e annotata nei conti dell'azienda; in realtà i soldi finirono in conti esteri intestati a Bruno Tassan Din, Licio Gelli e Umberto Ortolani. Calvi, inoltre, nascose alla Rizzoli che oltre all'intervento del Banco c'era anche un conferimento, nascosto, dello IOR, presso il quale erano state depositate le azioni che erano state in possesso di Rizzoli (il suo 80%).
Nel 1981 scoppiò lo scandalo della P2, cui si aggiunse il dissesto del Banco Ambrosiano. Le ripercussioni sulla RCS furono enormi: vennero chiusi L'Occhio (che era sempre stato in perdita), il Corriere d'Informazione, i supplementi settimanali e la rete televisiva. Furono venduti Il Piccolo (al gruppo Monti), l'Alto Adige e Il Lavoro. Angelone Rizzoli fu ritenuto penalmente responsabile, al pari di Calvi e Tassan Din.
[modifica] Salvataggio e ripresa
Il 7 agosto 1982, poco dopo la morte di Roberto Calvi, il ministero del Tesoro e la Banca d’Italia creano il Nuovo Banco Ambrosiano. La banca eredita, attraverso la «Centrale Finanziaria», anche il pacchetto del 40% di azioni di Angelone Rizzoli. Questa posta va in attivo. Tra i passivi, figura il debito di 150 miliardi verso la casa editrice e lo stesso Rizzoli (l'aumento di capitale dell'anno prima, mai versato). Angelone Rizzoli decide di chiedere al Tribunale di Milano di porre la propria impresa sotto amministrazione controllata. La procedura gli permetterebbe di ottenere la sospensione generalizzata dei pagamenti per un anno, e di utilizzare quei 12 mesi ai fini del risanamento dell'azienda. Il Tribunale di Milano acconsente e pone la RCS in amministrazione controllata il 21 ottobre 1982. La società ha un anno di tempo per ripianare tutti i debiti. Ma il nuovo presidente del Banco, Giovanni Bazoli, chiede al gruppo l'immediato rientro dei fidi. La Rizzoli passa dalla posizione di creditrice a quella di debitrice insolvente. Nel febbraio seguente Angelone Rizzoli è tratto agli arresti con l'accusa di bancarotta patrimoniale societaria in amministrazione controllata. Il 18 febbraio 1983, giorno dell'arresto, finisce definitivamente l'epopea della dinastia Rizzoli nel mondo dell'editoria.
Dopo l'arresto di Rizzoli ricoprì la carica di presidente del gruppo Carlo Scognamiglio Pasini[10]. L'amministrazione controllata dura complessivamente due anni (un primo anno seguito da un altro anno di proroga). Nell'ottobre 1984 il gruppo, risanato, può trovare un nuovo acquirente. Il Nuovo Banco Ambrosiano offre inizialmente la Rizzoli alla Fiat; la trattativa prosegue con la regia di Mediobanca[11]. Il gruppo infine viene rilevato da una cordata di cui fanno parte nomi importanti dell'industria e della finanza nazionali[12]. Le quote sono così suddivise:
La notizia viene diffusa il 4 ottobre; l'entità dell'offerta non viene resa nota. Anni dopo si verrà a sapere che l'intero gruppo RCS è passato di mano al prezzo di soli 9 miliardi di lire[17]. I nuovi soci nominano Carlo Callieri nuovo amministratore delegato. I nuovi azionisti fanno confluire in un sindacato (denominato «sindacato di blocco azioni Rizzoli editore»), il 60% dei loro possessi azionari nella casa editrice. Il patto prevede che le decisioni del sindacato di blocco vengano prese con il voto favorevole di quattro quinti dei membri della direzione. Successivamente si procede ad un aumento di capitale. Dall'acquisizione nasce un gigante editoriale capace di esercitare una posizione dominante nel mercato dei quotidiani in Italia: la Fiat aveva già La Stampa e la Montedison possedeva Il Messaggero. A questi due grandi quotidiani si aggiungono il Corriere della Sera e La Gazzetta dello Sport della Rizzoli. La Fiat supera il tetto del 20% del mercato dei quotidiani e quindi viola la norma sull'editoria (legge 416/81). In novembre un gruppo di privati impugna il passaggio delle azioni di fronte al Tribunale di Milano. La Corte d'appello dà loro torto: rileva infatti che non è la Fiat a possedere delle quote di Gemina, bensì la partecipata Sadip. La questione è anche oggetto di un'interrogazione parlamentare. Nella risposta, resa il 21 gennaio 1985, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio (all'epoca Giuliano Amato) afferma che la Rizzoli, dopo l'entrata dei nuovi soci, controlla il 19,92% del mercato dei quotidiani e quindi rimane all'interno del tetto del 20% fissato dalla legge. Per fugare ogni dubbio, Carlo Callieri decide di cedere il quotidiano Il Mattino.
Nel 1986 il gruppo prende il nome di RCS Editori, capogruppo di tutte le altre società (RCS Quotidiani, RCS Periodici, RCS Pubblicità ed altre). Sotto il controllo del nuovo gruppo entrano anche i marchi Bompiani, Fabbri Editori, Sonzogno, Sansoni ed Etas. I giornali del gruppo vendono bene ed anche la pubblicità è aumentata, così la RCS alla fine dell'anno vede passare gli utili da 29 a 55 miliardi di lire[18]. Quell'anno una quota di azioni RCS è ceduta al prezzo di 2.274 lire cadauna (contro le 708 lire della precedente gestione); nel 1987 un'altra parte passa di mano al prezzo di 5.227 lire cadauna. Il valore delle azioni RCS è aumentato di sette volte nel giro di due anni. Di lì a quattro anni il valore aumenta di dieci volte, tant’è vero che il 10% venduto ai francesi di Hachette viene pagato 100 miliardi.
Nel marzo 1997 la Gemina si scinde. Le attività industriali sono conferite alla nuova holding «H.d.P.» (Holding di Partecipazioni Industriali). H.d.P. detiene il 100% delle azioni di RCS, la maggioranza del gruppo di moda abbigliamento GFT NET, e dell'azienda di abbigliamento e calzature sportive Fila. Dopo una prima fase di gestione come holding diversificata, H.d.P. ha concentrato le proprie risorse nei soli settori dell'editoria e della comunicazione. Dismesse le società GFT NET e Fila, HdP ha posto in essere, con effetto dal 1º gennaio 2003, un piano di integrazione delle proprie attività con quelle di RCS.
[modifica] Da H.d.P. a RCS MediaGroup
Dal 1º maggio 2003 H.d.P. cambia il nome in RCS MediaGroup.
Nell'estate del 2005 l'immobiliarista Stefano Ricucci si è reso protagonista di un tentativo di scalata alla maggioranza del gruppo arrivando a possedere circa il 20 per cento delle azioni. La scalata è fallita in seguito alle indagini giudiziarie dell'inchiesta soprannominata bancopoli.
Oggi RCS è il primo gruppo editoriale per fatturato se si calcolano tutti i suoi interessi (quotidiani, periodici, libri, TV, radio, pubblicità, Internet, ecc.) ma il confronto con i concorrenti è reso complesso dal fatto che questi ultimi non coprono la totalità dei settori a cui è interessata RCS (Arnoldo Mondadori Editore ad esempio non ha quotidiani e il Gruppo editoriale L'Espresso non edita libri).
Dal 2006 l'amministratore delegato è Antonello Perricone, succeduto al dimissionario Vittorio Colao.
Nel gennaio 2008 la RCS ha affrettatamente terminato le edizioni di Newton senza fornire spiegazioni ai lettori, aggiungendo agli abbonati una nota in cui si ventila lo spostamento delle quote di abbonamento residuo ad altra rivista del gruppo.
[modifica] Sedi e divisioni operative
La Rizzoli era presente, fino a pochi anni fa, sul territorio nazionale con varie librerie, oggi acquisite dal gruppo Feltrinelli. Resta aperta solamente la storica libreria Rizzoli nella Galleria Vittorio Emanuele II a due passi dal Duomo di Milano; libreria che resta ancora oggi uno storico punto di ritrovo dell'ambiente culturale meneghino. Oggi la sede principale del gruppo è in via Angelo Rizzoli 8 (corporate, libri, periodici, pubblicità, digitale), cui si aggiunge la sede di via Solferino 28 (quotidiani), entrambe a Milano.
- Il Gruppo RCS pubblica i seguenti quotidiani:
con i relativi siti web Corriere.it, Gazzetta.it, TrovoLavoro.it, TrovoCasa.it, Automobili.com
- Il Gruppo RCS pubblica in Italia i seguenti periodici: Oggi, Visto, OK La salute prima di tutto, Novella 2000, Astra, Domenica Quiz, Domenica Quiz Mese, Max, L'Europeo, Amica, A, Brava Casa, Donna e Mamma, Dolce Attesa, Insieme, Io e il mio bambino, La guida di Io e il mio bambino, Imagine, Dove e Style Magazine, Abitare, Case da Abitare
- RCS Libri pubblica: Rizzoli Editore, Bompiani, Fabbri Editori, BUR, Sansoni, La Nuova Italia, Marsilio Editori, Sonzogno, Archinto ed Etas. RCS possiede inoltre il 48% di Adelphi, il 48% di Skira e il 50% di Rizzoli-Longanesi, la joint venture che pubblica la collezione Superpocket.
- La Divisione Pubblicità del Gruppo RCS controlla il 100% di Blei e il 34,5% di IGPDecaux.
- RCS MediaGroup in passato controllava il 50% di Vivivideo,casa home-video oggi non più esistente.
- il Gruppo Dada , controllata al 54,63%, opera nei servizi di community ed entertainment via web e mobile nella fornitura di servizi di domini, hosting e adv online.
- Blogo.it, (Autoblog.it, Gamesblog.it, 02blog.it, 06blog.it, Polisblog.it ecc.) 70% attraverso il gruppo Dada
[modifica] Attività all'estero
RCS MediaGroup è significativamente presente in particolare in Spagna, Portogallo, Francia, USA e Cina. Controlla tra l'altro il gruppo spagnolo Unidad Editorial (editore dei quotidiani El Mundo, Marca e Expansion e di numerosi periodici, tra cui Telva e Actualidad Economica) e il gruppo editoriale francese Flammarion. Negli Stati Uniti controlla la Rizzoli Publications e la Universe Publishing. Ad inizio 2007 RCS ha acquisito - tramite Unidad Editorial - il controllo di Recoletos, uno dei più importanti editori spagnoli per 1,1 miliardi di euro, .
[modifica] Azionariato: il patto di sindacato
La maggioranza assoluta del capitale ordinario di RCS MediaGroup è controllata da un patto di sindacato di blocco e consultazione siglato tra 13 dei maggiori azionisti. Il patto di sindacato è regolato da regole molto complesse; normalmente si viene invitati ad acquistare azioni RCS e, dopo 2-3 anni di "anticamera" si viene invitati ad entrare nel patto di sindacato.
Nel 2004, in occasione del rinnovo triennale del patto, Mediobanca ha rilevato il pacchetto di Gemina, pari al 2,25%, salendo all'11,61% come partecipazione complessiva.
Mediobanca è diventata così il primo azionista, ma a livello di regole di governo non è cambiato nulla. Il patto parasociale prevede infatti che delibere vadano prese «con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei membri in carica», qualunque sia la percentuale di azioni dagli stessi rappresentata[19]. Ciò significa che i partecipanti al sindacato devono mettersi d'accordo ogniqualvolta si prende una decisione. All'interno del patto non deve emergere un dominatore.
Il 18 gennaio 2008 il gruppo Unicredit è uscito dal patto cedendo all'interno del patto stesso il 2,02% posseduto da Capitalia Partecipazioni Spa.
Al 26 gennaio 2008, il patto di sindacato controlla il 63,527% del capitale ordinario di RCS MediaGroup[20].
Rotelli è uno dei maggiori azionisti di RCS ma non fa parte del patto di sindacato.
Al 10 febbraio 2010, l'azionariato di RCS MediaGroup S.p.A., aggiornato secondo le comunicazioni pervenute alla Consob, è così composto :
- Mediobanca S.p.A. - 14,209%
- Giovanni Agnelli & C. S.A.p.A., tramite Fiat - 10,497%
- Giuseppe Rotelli - 7,546%, tramite Pandette Finanziaria S.r.l.
- Efiparind BV della famiglia Pesenti - 7,748%, di cui:
- tramite Franco Tosi S.r.l. - 5,133%
- tramite Italcementi S.p.A. - 2,332%
- tramite Societé de Participation Financière Italmobiliare S.A. - 0.283%
- Dorint Holding S.A. della famiglia Della Valle - 5,499%
- Premafin Finanziaria S.p.A. della famiglia Ligresti - 5,461%, di cui:
- tramite Fondiaria Sai S.p.A. - 2,242%
- tramite Milano Assicurazioni - 1,712%
- tramite Sainternational S.A. - 1,406%
- tramite Saifin S.p.A. - 0,094%
- tramite Siat S.p.A. - 0,007%
- Pirelli & C S.p.A rappresentata da Marco Tronchetti Provera - 5,166%
- Si.To. Financiere S.A. - 5,140%; tramite Partecipazioni Editoriali S.r.l. (famiglia Toti)
- Gruppo Benetton - 5,100%; tramite Edizione S.r.l.
- Intesa Sanpaolo - 5,065%, di cui:
- Assicurazioni Generali - 3,957%, di cui:
- Banco Popolare - 3,634%
- Gruppo UBS - 3,522%; tramite Ubs Fiduciaria S.p.A.
- Gruppo Merloni rappresentato da Francesco Merloni - 2,090% tramite Merloni Invest S.p.A.
- Sinpar Società di Investimenti e Partecipazioni S.p.A., finanziaria della Famiglia Lucchini - 2,060%
[modifica] Consiglio di amministrazione
Fonte: sezione Corporate Governance del sito RCS MediaGroup [1]
[modifica] Principali partecipazioni
- RCS Libri S.p.A. - Milano - 100%
- Unidad Editorial - 96,48%
- Blei - 100%
- IGPDecaux S.p.A. - Milano - 34,5%
- RCS International Advertising BV - Amsterdam (Paesi Bassi) - 51%
- Digicast - 100%
- Gruppo Finelco - 34,6%
- Dada S.p.A. - Firenze - 54,63%%
- m-dis - 45%
Fonte: sito RCS MediaGroup [2]
Il gruppo RCS MediaGroup S.p.A. ha avuto nel 2011 ricavi netti per 2.075 milioni di euro, EBITDA pre oneri e proventi non ricorrenti pari a 188,6 milioni, EBITDA post oneri e proventi non ricorrenti pari a 186 milioni, EBIT di (283,8) milioni di euro, risultato netto pari a (322) milioni di euro, indebitamento finanziario netto di 938,2 milioni di euro, 5.932 dipendenti.
Fonte: Bilancio RCS MediaGroup al 31.12.11 reperibile su www.rcsmediagroup.it
Alberto Mazzuca, La erre verde: ascesa e declino dell'impero Rizzoli, Milano, Longanesi, 1991.
- ^ L'operazione fu avviata alla fine del 1973 per decisione di Andrea Rizzoli, presidente del Gruppo. La trattativa andò avanti senza intoppi. L'unica a manifestare dissenso fu la sorella di Andrea, Giuseppina. Anche Alberto, figlio secondogenito di Andrea, fu contrario. Ma il suo parere contava poco poiché non aveva ancora 30 anni. Nicola Carraro, figlio di Giuseppina e direttore amministrativo del gruppo, cercò di mediare per evitare una spaccatura in famiglia. Quando l'acquisto fu perfezionato, in agosto Carraro presentò la verifica finanziaria ed economica delle due società riunite. I conti erano in rosso per 15 miliardi. Ne seguì una furibonda litigata con il patron Andrea. Alla fine dell'anno i Carraro uscirono definitivamente dal gruppo Rizzoli.
- ^ Gabriele Mastellarini, Assalto alla stampa: controllare i media per governare l'opinione pubblica, edizioni Dedalo, 2004, Prefazione di Nicola Tranfaglia, pp. 8-9.
- ^ Bruno Tassan Din era appoggiato dal PCI. Stefano Lorenzetto. Pecorella: "Nello scippo del Corriere Angelo Rizzoli fu vittima sacrificale". 15/5/2010. URL consultato in data 7/8/2010.
- ^ Stefano Lorenzetto scrive: «Le banche statali (l’Icipu di Franco Piga, l’Imi di Giorgio Cappon e l’Italcasse di Giuseppe Arcaini) gli avevano chiuso i rubinetti per ordine della Democrazia cristiana». Il Giornale, 15 maggio 2010.
- ^ Stefano Lorenzetti. Lo scippo del "Corriere" Rizzoli: volevano che morissi, vivo per accusarli. Il Giornale, 21 febbraio 2010. URL consultato in data 14/06/2010.
- ^ Paolo Morando, Dancing Days, Laterza, 2009, pagg. 33-36.
- ^ I rapporti tra i due istituti bancari risalivano al 1946. Fino al 1971 lo IOR era stato il maggior azionista del Banco Ambrosiano.
- ^ Sergio Bocconi. Sulla vendita Rizzoli degli anni '80 scontro alla Camera. Corriere della Sera, 28/5/2010. URL consultato in data 7/8/2010.
- ^ Il blogger Kristian scrive invece che la Rizzoli-Corriere della Sera sarebbe stata divisa in tre quote: il 49,8% al Banco Ambrosiano, il 10,2% a una società fiduciaria di Bruno Tassan Din e il rimanente 40% ai Rizzoli. D'altra parte la spiegazione di Kristian non convince: perché mai Angelone Rizzoli avrebbe acconsentito a perdere la maggioranza del capitale azionario?
- ^ Il suo mandato terminò l'anno seguente.
- ^ Secondo Massimo Mucchetti, Gianni Agnelli si rivolse allora ad Enrico Cuccia per un consiglio. Il re di Mediobanca fu il regista dell'intera operazione: "Cuccia consigliò di frazionare il rischio mettendo in campo Gemina, dove la Fiat era egemone ma non sola e dove Mediobanca avrebbe garantito per tutti". Poi inserì nella cordata la Montedison, "che aveva in Gemina il socio principale", e infine aggiunse l'industriale cremonese Giovanni Arvedi. Cfr. Massimo Mucchetti, Il baco del Corriere, pagg. 57-58.
- ^ La stampa italiana nell'età della tv, a cura di Valerio Castronovo e Nicola Tranfaglia, Laterza, Roma-Bari, 1994, pag. 32.
- ^ Holding creata nel 1961 dalla Fiat; dal 1981 è quotata in Borsa. Al momento dell'acquisizione delle quote Rizzoli, in Gemina era in corso un aumento di capitale. In novembre, alla conclusione dell'aumento, le azioni ordinarie di Gemina sono di proprietà: il 26,09% alla Sadip (Gruppo Fiat) che, assieme a Invest, SMI, Pirelli e Lucchini controlla il 58,89 per cento; il 12,54% a Mediobanca (più un altro 17,62% controllato in maniera indiretta); il restante 10,95% al mercato.
- ^ Società controllata da Montedison, che ne possiede il 72,27%.
- ^ Società finanziaria bresciana presieduta da Giovanni Bazoli.
- ^ Imprenditore siderurgico.
- ^ Nicola Porro. Lo scippo del “Corriere”, ecco perché Rizzoli rivuole il suo giornale. Il Giornale, 7 febbraio 2010. URL consultato in data 15/06/2010.
- ^ La stampa italiana nell'età della tv, a cura di Valerio Castronovo e Nicola Tranfaglia, Laterza, Roma-Bari, 1994, pag. 35.
- ^ Gianni Dragoni e Giorgio Meletti, La paga dei padroni, Chiarelettere, 2008, pag. 91.
- ^ Fonte: annuncio pubblicato il 26-01-2008 su Il Corriere della Sera a cura di Rcs Mediagroup
- La Erre verde, Alberto Mazzuca. Milano: Longanesi, 1991.
- La stampa italiana nell'età della tv, Valerio Castronovo e Nicola Tranfaglia. Roma-Bari: Laterza, 1994.
[modifica] Voci correlate
[modifica] Collegamenti esterni