Nulla ispira a un uomo tanti sospetti quanto il fatto di sapere poco. Francis Bacon.
Tutti, ma non Gattuso. Ho aspettato un giorno intero prima di scriverne: volevo e dovevo saperne di più, leggere, informarmi meglio, ascoltare le reazioni. In particolare le sue.
Su twitter, dopo alcuni interventi in sua difesa, mi hanno accusato di garantismo inopportuno, fuori luogo (“perché non mantenne lo stesso atteggiamento quando da Cremona travolsero Conte?”).
Stavolta è diverso.
Gattuso, 468 partite con la maglia del Milan e 73 con quella della Nazionale, è un simbolo. Lui che è nato tondo non può morire quadrato. Rino in campo era il duro, il puro, l’agonista, il portatore di valori sani, il combattente indemoniato che talvolta nemmeno il campo riusciva a contenere, quello che attaccava al muro il compagno che non s’impegnava abbastanza. Rino era il cuore.
Ho scritto, e lo ripeto, che credo in lui. Per questo desidero con tutto me stesso che i magistrati ci restituiscano intatto il Gattuso che abbiamo elevato a simbolo e talvolta detestato (da avversari). Anche se so che non sarà più come prima: in un Paese che si nutre di sospetti e maldicenze come il nostro, il solo coinvolgimento in un’inchiesta del genere rappresenta una macchia indelebile.
Ieri è morto un piccolo pezzo di Rino e in fondo anche di chi lo ama.
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