Tutti ma non Gattuso

Nulla ispira a un uomo tanti sospetti quanto il fatto di sapere poco. Francis Bacon.

Tutti, ma non Gattuso. Ho aspettato un giorno intero prima di scriverne: volevo e dovevo saperne di più, leggere, informarmi meglio, ascoltare le reazioni. In particolare le sue.

Su twitter, dopo alcuni interventi in sua difesa, mi hanno accusato di garantismo inopportuno, fuori luogo (“perché non mantenne lo stesso atteggiamento quando da Cremona travolsero Conte?”).

Stavolta è diverso.

Gattuso, 468 partite con la maglia del Milan e 73 con quella della Nazionale, è un simbolo. Lui che è nato tondo non può morire quadrato. Rino in campo era il duro, il puro, l’agonista, il portatore di valori sani, il combattente indemoniato che talvolta nemmeno il campo riusciva a contenere, quello che attaccava al muro il compagno che non s’impegnava abbastanza. Rino era il cuore.

Ho scritto, e lo ripeto, che credo in lui. Per questo desidero con tutto me stesso che i magistrati ci restituiscano intatto il Gattuso che abbiamo elevato a simbolo e talvolta detestato (da avversari). Anche se so che non sarà più come prima: in un Paese che si nutre di sospetti e maldicenze come il nostro, il solo coinvolgimento in un’inchiesta del genere rappresenta una macchia indelebile.

Ieri è morto un piccolo pezzo di Rino e in fondo anche di chi lo ama.

Ammazzarri

Così palesemente irritato non l’avevamo visto mai. Eppure negli ultimi dodici anni le occasioni non gli sono mancate. Dopo la “prima volta da ex” al San Paolo, dopo i fischi e gli applausi e l’affettuoso striscione, ma soprattutto dopo il 2 a 4 da Benitez, è stato diverso. Più brutto, pesante, feroce.

A Napoli Mazzarri avrebbe voluto giocare un’altra partita, ottenere un altro risultato: gli sarebbe stato benissimo anche il pareggio. Quei 4 gol, quasi 5, li ha vissuti malissimo: s’è infatti reso conto di non riuscire più a nascondere i limiti tecnici del gruppo.

Oggi la sua Inter deve 6 punti e quattro posizioni a quella di Stramaccioni: un mezzo disastro. Pensate, alla sedicesima del campionato scorso, stesso turno, si giocò proprio Inter-Napoli, ma a San Siro. E vinse l’Inter 2-1. Con questa formazione: Handanovic; Ranocchia Cambiasso Juan Jesus; Nagatomo Zanetti Gargano Guarin Pereira; Cassano (15′ st Palacio) Milito (29′ st Coutinho). Del Napoli battuto quel 9 dicembre soltanto tre giocatori si sono rivisti ieri: Maggio, Inler e Insigne.

La cura Mazzarri ha dunque funzionato per una decina di partite, poi sono emersi i difetti di una squadra costruita per la terza volta di fila al risparmio.

Mazzarri è più esperto di Strama, ma come tutti i tecnici di club dagli obiettivi alti ha bisogno di giocatori di prima fascia: gli ordinari e il mestiere possono bastare 13 anche 14 volte su 19, nei confronti diretti servono i campioni. Il calcio è semplice ed elementare come certe conclusioni.

Quelli di buon livello non mancano invece a Benitez che ieri ha però dovuto fare a meno di tre dei suoi 4 top: Reina, Hamsik e Behrami. L’ha risolta cercando di segnare un gol più dell’avversario, e proprio qui sta il senso della scommessa sua (e di Montella): in Italia è possibile vincere anche rischiando tanto?

La storia, Conte e Garcia risponderebbero di no:  l’idea di poterne cambiare il corso è tuttavia stimolante.

Sopravviva il Milan!

Passa agli ottavi chi ha sbagliato acquisti e mosse, il Milan che anche per eccesso di delusione prova a disfarsi dell’amministratore storico. Ottengono la promozione un tecnico sfiduciato apertamente dal presidente, un giocatore – Balotelli – perennemente spiazzante, un fuoriclasse, l’unico del gruppo – Kakà – rientrato tra mille diffidenze da una lunga e infelice esperienza a Madrid, oltre ai signori Zapata, Constant, Emanuelson, Birsa, Silvestre e quel che resta di ElSha. Per qualche giorno pesano di meno i 22 punti di distacco (in 15 partite) dalla prima in classifica, in campionato.

Ma viva il Milan!

Esce invece la Juve che da due anni e mezzo domina la serie A e viene considerata un modello di gestione tecnico-finanziaria; viene bocciato l’allenatore più trendy, abile e moderno. E con lui lasciano Europa-1 Pirlo, Tevez, il golden boy mondiale Pogba, Vidal e Buffon.

E’ costretto ad abbandonare il salotto buono del calcio continentale anche chi è riuscito a raccogliere 12 punti su 18 nel “girone della morte”; il Napoli che ha battuto i vicecampioni in carica e i leader della Premier onorando sempre lo stadio e il pubblico di casa.

Lo chiamano il fascino della Champions, torneo che talvolta nei suoi primi passaggi se ne fotte del merito, quasi una lotteria del ranking. In questa edizione i primi beneficiati sono di Istanbul e Leningrado. Curiosamente, proprio due italiani: Mancini e Spalletti, vincenti con 7 e 6.

Non credo che promozione e bocciature produrranno effetti sul campionato. Il motivo è semplice: anche nel calcio Italia e Europa sono realtà sempre più distanti.

Conte, Garcia e la difesa (dello) scudetto

Quindici giocate e non sempre digerite. Conte, due scudetti su due, ha 5 punti più dello scorso anno, Garcia 11 più di Zeman e Andreazzoli; anche Ventura, Gasperini e Lopez sono in segno positivo. Tutti gli altri stanno facendo peggio di sé stessi o dei rispettivi predecessori: Benitez è per la prima volta sotto di un punto rispetto a Mazzarri; lo stesso Mazzarri ne lascia 3 allo Stramaccioni prenatalizio; e così Montella (-2), Allegri (-3), Donadoni (-2), il disastroso Petkovic 2013 (-12), Colantuono (-1), Guidolin (-2), Pioli (-2); Mihajlovic ha riportato in linea di galleggiamento la Samp (-3), De Canio è distante anni luce da Maran (-10), Corini in tre partite ha rimesso a posto le cose (0).

Tutto questo per dire che Antonio Conte rappresenta ancora il punto di riferimento tecnico del nostro campionato: ha dato basi solidissime e invidiate alla squadra partendo da un’eccezionale fase difensiva. Soltanto il franco-ispanico Garcia esibisce oggi un minor numero di reti subite (5 contro le 10 della Juve) meritando gli elogi della categoria.

Proprio l’ultimo turno di campionato ha evidenziato i limiti di Napoli (17 gol presi), Inter (17), Fiorentina (20) e Milan (23); carenze che nascono non soltanto dalla scarsa qualità degli interpreti ma anche da atteggiamenti tattici improponibili e dagli infortuni, ma sì.

E’ proprio dalla tenuta difensiva che sono nati tutti gli scudetti del dopoguerra: improbabile che squadre accreditate di 40-42 reti subite possano realizzare l’impresa.

Nello specifico, e sintetizzando: il Napoli ha esterni bassi adattati alla linea a 4 (Maggio, Armero, lo stesso Zuniga) e due soli centrocampisti di interdizione più 4 giocatori d’attacco scarsamente rientranti; l’Inter ha poca qualità in Ranocchia e Juan Jesus e quando non gioca Taider il solo (e non eterno) Cambiasso per gli equilibri; la Fiorentina ha un tipo di gioco che la porta a rischiare eccessivamente e un portiere incompiuto; il Milan problemi di tutti i generi (Zapata, Constant, Mexés, Silvestre, De Sciglio e Bonera out) che, per dire, l’abbassamento di Poli non può certo risolvere.

Considerando Arrigo Sacchi il più grande difensivista di tutti i tempi, suggerisco a chi punta al titolo di adattarsi in fretta alla legge approvata da tutte le camere del calcio di Serie A.

Conte accanito

Anche oggi Antonio Conte ha denunciato pubblicamente l’accanimento del calcio italiano nei confronti della sua Juve, quando è proprio la sua Juve ad accanirsi da più di due anni sui “cadaveri” di un sistema e di avversari che non ne reggono il passo.

Stavolta a farle girare ad Antonio sono stati i 5.000 euro di multa – una sciocchezza – comminati dal crudele GS per i cori dei bambini che domenica han fatto oooh merda! a Brkic – se rifaranno “oooh merda!”, allora la multa sarà più salata e la stupidità di chi li accompagna, ancor più evidente.

In Italia non siamo in grado di educare e crescere nessuno, non ne abbiamo né il tempo, né la voglia: riusciamo soltanto a punire, spesso a capocchia.

Ribadisco: Erode Tosel non ha voluto tirare le orecchie ai giovani bicolore (bianco e nero), non si può parlare di accanimento: si sarebbe comportato alla stessa maniera anche se fossero stati  interisti, milanisti, bolognesi, romanisti. Il giudice sportivo non ha compiti educativi.

PS. Due parole sul sorteggio o torteggio mondiale: Blatter ne ha combinata un’altra cambiando le regole in corsa e inventandosi il pre-sorteggio (non è detto debba favorire la Francia).

Domando: se il vecchio e ambiguo Sepp si intendesse di calcio e fosse onesto e retto potrebbe fare il presidente della Fifa?

Sugli esiti dell’urna la penso come Prandelli: comunque vada, sarà un successo. Per chi, non si sa.

Juve Stadium, squalificate le altalene!

Da Twitter: “Squalificate le altalene!”.

E che saranno mai cinque, seimila ragazzini (dodicimila?, tutti?) che urlano “merda!” a Brkic al momento del rinvio?

Ieri, durante Juve-Udinese, si è accesa la discussione sulla distanza massima dei 140 caratteri intorno al Nuovo Coro dell’Antoniano che occupava i settori dello Stadium chiusi dal giudice sportivo per discriminazione territoriale.

Ha cominciato Luca Bottura (@bravimabasta): “E i giovani, puri, candidi piccoli tifosi Juve che urlano MERDA! come gli ultrà a ogni rinvio del portiere avversario (mi viene da piangere)”. Guido Olimpio del Corsera ha subito accarezzato i parenti (“ripetono quello che degni padri, fratelli, zii gli insegnano. Forse insieme alle bandierine ci voleva un decalogo”). Matteo Grandi (@matteograndi) l’ha risolta anche con una battuta “… in fondo vanno solo educati. Facendogli cambiare squadra” – è evidente, anche a Matteo, che il fatto che fossero juventini c’entrava poco: gli stessi cori li avrebbero potuti intonare bambini interisti, milanisti, napoletani, romanisti, bolognesi.

No, non mi hanno sorpreso, né disturbato, quei cori: emulazione a parte, una quota di “scemità” e maleducazione di gruppo agli under 13 la riconosco e concedo sempre: sono i coristi di 30, 40, 50 e addirittura 60 anni, padri di famiglia e lavoratori accreditati della patente di maturità che mi danno molto fastidio. Quelli non li capisco proprio, non li tollero.

I piccoli coristi cresceranno – nei campi in cui giocano e soprattutto in famiglia e a scuola ne sentono di tutti i colori – e diventeranno probabilmente degli insopportabili frequentatori degli stadi semivuoti.

Vidal e le fasce da schiaffi

E’ lo stramaledetto sorteggio, amici. Sono le discutibili e naturalmente discusse fasce: e chi ha la sfiga di trovare nella terza il Borussia Dortmund finalista dell’edizione precedente può rischiare – come in effetti rischia il Napoli – di uscire al primo turno con ben 12 punti.

Dodici punti, ovvero quattro vittorie su sei.

Con un solo successo (sul Copenaghen) e quattro pareggi, dunque 7 punti, la Juve è invece in grado di accedere agli ottavi, peraltro meritatamente: nessun avversario del girone le si è dimostrato superiore. Sette punti sarebbero sufficienti anche al Galatasaray di Mancini che ha ereditato da Terim un gruppo imbarazzante, soprattutto in difesa: non a caso i turchi hanno subìto 14 gol in 5 gare, quasi tre a partita.

Il penultimo turno di Champions ha avuto, per le italiane, tre protagonisti, tutti stranieri: Benitez (complice l’arbitro), Kakà e Vidal. Il primo ha perso a Dortmund anche per eccesso di ostinazione: il suo 4-2-3-1, oltretutto senza Zuniga né Hamsik, è in evidente sofferenza contro le formazioni contropiediste. Il brasiliano ha marcato nuovamente la distanza tecnica tra sé e il resto della squadra nonostante la sua leggendaria progressione non sia più quella di un tempo.

Il cileno ha confermato di essere, per duttilità, personalità e efficacia, il vero, irrinunciabile punto di forza della Juve che può peraltro esibire anche un leader ventenne, Pogba.

Mi considero un hamsikiano della prima ora: ma di fronte alla continuità di Arturo, comincio a nutrire qualche dubbio su chi sia il più forte.

Talvolta Benitez dimentica l’italiano

In Europa è differente. O forse era.

Oramai hanno cognomi famosi, ma per noi saranno sempre Antonio, Walter, Vincenzo, Andrea, Giampiero, Roberto, Stefano, Francesco, Max, Eusebio, Davide, Eugenio, Gigi, esponenti di una scuola, Universitalia, che esalta l’arte di arrangiarsi in tutte le sue forme spingendo a fare con quel che si ha e si può. Perfino i loro colleghi che hanno fatto più strada, Fabio (Capello), Marcello (Lippi), Carlo (Ancelotti), Luciano (Spalletti), Roberto (Mancini) e Claudio (Ranieri), applicano spesso i princìpi-base dell’istituto nonostante i tanti successi ottenuti e le ricchezze meritate – a Universitalia insegnano prima di ogni altra cosa a preparare la partita come fosse l’ultima, a giocare innanzitutto sull’avversario, a studiare anche i particolari apparentemente insignificanti.

Ho pensato soprattutto ad Antonio e Roberto (il cui tattico è di prim’ordine) seguendo Juve-Napoli e Napoli-Parma, ovvero le sfide perse malamente dal pluridecorato Benitez, l’internazionale: Rafa ha presentato ai colleghi il solito Napoli europeo e qualche correzione l’ha dovuta fare durante la gara, Conte e Donadoni i cambiamenti li hanno mostrati fin dall’inizio. Il primo – ne sottolineo uno – ha preteso da Tevez e Llorente che lavorassero pesantemente in fase di non-possesso su Behrami e Inler, annientandoli; il secondo è passato al 4-1-4-1 dove l’appendice finale era Cassano investendo sulla costante superiorità numerica in mezzo.

Stimo Benitez, rispetto il suo fantastico palmarès, gli suggerisco però di ricordarsi una volta di più che è tornato a lavorare in Italia dove – sintetizzo – si gioca peggio che dalle altre parti proprio perché gli allenatori contano più che altrove.

Non si offenda.

CR7+

Sì, questo gatto perennemente in frac, un dandy, un flaneur, anche se randagio, questo gatto dalle molte virtù e dalla personalità così accentuata, andrà in paradiso se un paradiso esiste. (Raffaele La Capria).

Non lo darei a Ribery, anche se col Bayern ha vinto tutto quello che c’era da vincere. Né a Messi, anche se ha fatto vedere (altre) cose che noi umani…

Quest’anno il Pallone d’oro, l’iperbole calcistica, il riconoscimento più inseguito da fenomeni e aspiranti tali e uno degli argomenti maggiormente trattati da giornalisti e appassionati, soprattutto da settembre a dicembre, lo consegnerei senza esitazioni a Cristiano Ronaldo, 32 gol da agosto ad oggi, 66 nell’anno solare con una serie di triplette da far impallidire Rocco Siffredi.

Ronaldo, ventottenne, è presente nella classifica del Pallone d’oro dal 2004, ha conquistato cinque podi – tre consecutivi – ma soltanto nel 2008 fece centro. Giusto ieri, dopo le tre reti realizzate in Svezia che hanno tolto il Mondiale a Ibrahimovic, mi è stato chiesto a quale campione del passato potrebbe essere paragonato. Non ne ricordo uno simile: CR7 ha caratteristiche fisiche e di corsa in pantofole assolutamente uniche, un passo corto inimitabile che gli consente di essere rapido e costantemente coordinato; colpisce in tutti i modi, di destro, di sinistro, di testa, da fermo e vede la porta come pochissimi al mondo: esemplare il terzo gol di Solna.

Attore, non regista, è più personaggio di Messi, è immagine e sostanza, ma anche un professionista eccezionale. Il 2013 è stato l’anno della compiutezza. Per questo andrebbe sublimato.

L’avranno capito, i giurati?

PS. Cristiano ha detto che diserterà la cerimonia; potrebbe mandare Blatter al posto suo: lo imita discretamente.

Lettera riaperta a Pepito Rossi l’americano

Da Pablito a Pepito, 31 anni dopo sempre Rossi è.

Caro Giuseppe – per tutti Pepito, per gli intimi “Mojo”, quello di Austin Power - anche Diego Della Valle s’è accorto che sei una persona perbene: noi c’eravamo arrivati prima.

Scrivo per ringraziarti di costituire un caso quasi unico, oggi, di “campione normale”. Normale negli atteggiamenti, nei comportamenti, nelle reazioni; banalmente, anche nei festeggiamenti dopo uno dei tanti gol che segni. Un modello positivo, naturale e non simulato, insomma – la personalità non ti manca, lo so bene, le ribellioni e i dolori li hai saputi affrontare con coraggio: possiedi una determinazione invidiabile ed esemplare, sai stare al mondo.

Ranieri a Parma ti chiamava “soldatino”: del soldato hai conservato soltanto il senso del dovere. A Firenze ti sto vedendo diverso, non cresciuto perché tutte le tappe della crescita le avevi completate in fretta: sei diventato grande subito; diciamo che sei leader.

Mi auguro che tu possa continuare così per noi e per il calcio italiano: tra pochi mesi saremo in Brasile e avremo bisogno di un grosso aiuto dagli Stati Uniti. Il tuo: quello dell’italiano che parla, scrive e tuitta in inglese del New Jersey e ascolta solo musica americana.

Vedi?, ho approfittato della sosta per buttar giù queste righe: non avevo voglia né di top, né di flop. Desideravo celebrare la semplicità, la misura, la serietà, l’essenzialità. La normalità, appunto, che da tempo è eccezione.

Leggo che i “supereroi hanno superproblemi”, che sono personaggi la cui veste umana ha una fragilità adolescenziale. Bene, tu non sei, né vuoi essere, un eroe: ti basta essere uno che ha ben chiaro il punto di partenza e quello di arrivo. La porta d’uscita e quella d’entrata.

Sei davvero così poco italiano. Well, ti vogliamo bene.