Echo

lunedì 14 novembre 2011

Liturgia: l'angolo del buonumore

Pubblichiamo un involontariamente esilarante articolo di don Franco Marton sul settimanale diocesano trevigiano La vita del Popolo. Una summa delle banalità più grottesche sulla nuova liturgia e un condensato di vecchie e arrugginite idee del '68 ecclesiale. Il fatto che l'autore dell'articolo scriva che dopo 50 anni con la riforma liturgica si è riusciti a fare solo "qualche passo", dimostra il suo fallimento. Ai lettori i commenti


Da adulti nella liturgia
di don Franco Marton

I laici, la fede e la storia nelle celebrazioni
Una ragazza africana alla Veglia missionaria ha chiesto al Vescovo: perché le vostre liturgie non sono così vive e coinvolgenti come quelle cui partecipavo in Nigeria? Il Vescovo rispondendo ha fatto allusione a quanto potremmo imparare anche dalle liturgie delle giovani chiese. Proviamoci.

Partecipazione attiva portando la storia.
Perché le nostre Messe per lo più appaiono “passive”? Il Concilio ci chiedeva una “partecipazione attiva”. Gli anziani con una fede solida riescono a partecipare sul serio, pur nella sobrietà delle parole e dei gesti. Ma molti, adulti e soprattutto giovani, sembrano “assistere” a uno spettacolo, raramente interessante. La partecipazione attiva invece è uno stare nella liturgia da adulti. Con “fede adulta” per dirla col nostro Vescovo. Dal Concilio in poi qualche passo l’abbiamo fatto: l’uso dell’italiano ha permesso ai laici di capire e leggere le letture bibliche e le preghiere dei fedeli, il canto si è qualificato, il rito si esegue con proprietà. Ma ci siamo fermati a metà strada. Ci manca quel pezzo che è la strada della storia, cioè della vita non solo personale ma anche sociale e collettiva.
Senza far entrare la storia nella liturgia rischiamo di costruire una fede incompleta, perfino deformata nel ritualismo o nell’infantilismo. C’è una potenza “formativa” della liturgia che deve spingere chi vi partecipa a con-formarsi progressivamente alla vita stessa di Gesù. Che è stata una vita di “Profeta”, immersa nella storia del suo popolo e del suo tempo. Di domenica in domenica la Messa può formare comunità cristiane attente non solo alla vita personale e familiare, ma anche ai fatti sociali del territorio e del mondo intero, alle “gioie e alle speranze, alle tristezze e alle angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di coloro che soffrono”, come dice il Concilio. Può formare i cristiani a portare nel mistero della morte e risurrezione di Gesù tutto il bene e il male della storia che viviamo.

Ma si può fare?
Qualcuno obietta: l’Eucaristia celebra nella lode il mistero di Gesù morto e risorto, che agisce misteriosamente nella storia di tutti, senza il bisogno di oscurare il rito con riferimenti storici, che sono di disturbo perché sempre opachi e transitori. Ma nelle “Preghiere eucaristiche” da sempre già entra la storia, attraverso il nome di quel Papa che oggi è Pastore della chiesa universale, di quel Vescovo che oggi è pastore di una chiesa piantata qui in questo territorio. E nel rito si possono fare i nomi di persone concrete, morte o viventi. Del resto Gesù ha vissuto la Cena dentro un tessuto di relazioni personali intense e di relazioni sociali e politiche. La prima Messa si è celebrata ben dentro la storia. E anche oggi è possibile e necessario far entrare in qualche modo la storia nelle nostre Messe.

Come fare?
La nostra liturgia ha regole ben precise, che vengono da molto lontano. Sono garanzie per l’autenticità ecclesiale del nostro culto. Ma ci sono spazi per la “partecipazione attiva” che ancora non sappiamo occupare. Nella Messa, ad esempio, sono previste le Preghiere dei fedeli. Non vuol dire che i fedeli possono leggere in un foglietto stampato mesi prima e identico per tutte le Assemblee preghiere scritte da qualche prete o Ufficio liturgico. Queste preghiere sono dei fedeli perché appartengono a loro, dovrebbero esser pensate, elaborate dai fedeli.
Già il Concilio, che ha ripristinato questa antica tradizione, chiedeva, “con la partecipazione del popolo, si facciano speciali preghiere per la santa Chiesa, per coloro che ci governano, per coloro che si trovano in varie necessità, per tutti gli uomini e per la salvezza di tutto il mondo”. Ma queste indicazioni possono restare molto generiche oppure possono, se vogliamo, “trasudare storia”.

Qualche esempio.
Se il Papa oggi è in visita pastorale in Germania o ad Assisi con i rappresentanti di altre religioni, pregare “storicamente” per lui vorrà dire ricordare cosa sta facendo; se il Vescovo difende pubblicamente gli immigrati, pregare per lui vorrà dire chiedere per lui il coraggio profetico che fu di Gesù; se la Chiesa africana celebra un Sinodo o quella latinoamericana un’Assemblea, pregare “storicamente” per la Chiesa universale vorrà dire anche ricordare questi avvenimenti.
E cosa significa, oggi, pregare per quelli che ci governano? Chiedere al Signore che ci sia una politica buona. Argomento delicato, perché la preghiera non può certo diventare un manifesto pro o contro il governo. Ma deve chiedere che “venga il Regno”, qui, adesso, nel nostro paese anche attraverso leggi giuste, fatte da uomini giusti.
E, oggi, che nome hanno “coloro che si trovano in varie necessità”? Sono le vittime di questa alluvione o di quel terremoto o gli immigrati dell’ultimo barcone arrivato a Lampedusa o la gente bombardata in questa o quella guerra. E cosa significa, oggi, “pregare per tutti gli uomini, di tutto il mondo”? Non escludere dalla nostra preghiera neppure Gheddafi o i violenti di ogni genere.
Far entrare la storia d’oggi nella Preghiera dei fedeli non può voler dire strumentalizzarla per farne una piccola tribuna da cui lanciare proclami, fare polemiche o esibire emozioni. Abusi a cui purtroppo, a volte, ancora si assiste nelle “feste sociali”, nei matrimoni o nei funerali.
Quando il Concilio chiede “una partecipazione piena, consapevole e attiva” ci lancia una grande sfida: stare nella liturgia da adulti, piantati nella vita e nella storia. A chi raccoglie la sfida viene chiesto un ascolto della Parola di Dio e insieme un ascolto della storia del nostro tempo.

Chi avrà il coraggio di farlo?
C’era una volta il gruppo liturgico… Potrebbe diventare un gruppo che si fa carico non solo del decoro della celebrazione, ma anche della storia. Gli incontri, certamente esigenti, dovrebbero mettere qualche giovane o adulto intorno ai testi della liturgia della domenica, in un clima di fede e di preghiera allo Spirito presente sia nella storia come nella Messa. Dopo l’ascolto della Parola, dovrebbero guardare agli avvenimenti sociali ed ecclesiali in corso, locali e universali e scegliere quei due o tre sui quali costruire la preghiera per l’assemblea. Ne dovrebbero uscire due o tre intenzioni “sobrie, formulate con sapiente libertà e con poche parole” come dicono le norme liturgiche.
La grande obiezione: realisticamente è possibile un lavoro così logorante, ogni settimana? E’ già molto difficile garantire il decoro della celebrazione e far leggere bene il foglietto… E poi, fare un nuovo gruppo, mentre si invoca la semplificazione?
Si tratta di sapere se si è convinti che un gruppo “fede e storia” (il nome viene dal Brasile!) non meriterebbe di sostituirne qualche altro ormai stanco (oso dire: qualche gruppo missionario non potrebbe, proprio per spirito missionario, cambiar pelle e diventare un gruppo “fede e storia”? Aspetto reazioni…). La fatica potrebbe essere inizialmente affrontata solo in Avvento e Quaresima. Quasi per sperimentare... Penso che ne valga la pena, per non rassegnarci alla passività.
In ogni caso, sarebbe interessante dibattere, anche nel giornale, questa proposta e il problema che c’è dietro: come stare, oggi, da adulti nella liturgia?

Rino Cammilleri: Quelli che l’uomo è il cancro del pianeta



Da Fatti sentire


Anche quest’anno il pianeta è chiamato a festeggiare l’Earth Day, la Giornata della Terra.

Il nome stesso richiama l’ambientalismo politicamente corretto e rievoca arcadiche immagini di bimbi che piantano nuovi arboscelli nonché volenterosi volontari che gratis liberano le spiagge dai rifiuti (ma non di rado si tratta di intere scolaresche, vittime ignare, come in tutti i regimi, dell’ideologia egemone).

I soliti bastiancontrari penseranno, in questo 22 aprile, che, a furia di celebrare «giornate» per questo e per quello, presto non ci sarà più spazio nel calendario, così che (i più maligni sostengono) si dovrà prima o poi abolire il Natale per far posto a Gea (che poi sarebbe il sogno di ogni liberal -leggi: di sinistra- al mondo).

Qui, oggi, ci uniremo alla festa commemorando il Giorno della Terra a modo nostro, magari spiegandone l’origine agli ignari. Infatti, alluvionati come siamo ogni giorno da informazioni (poche quelle utili), il passato si cancella automaticamente dal cervello man mano che serve spazio per nuove nozioni.

Così, finisce che, a orecchio, si pensa che l’Earth Day sia roba dell’Onu, come tutti gli altri Day internazionali.

Invece no, l’Onu non c’entra niente.

Non sappiamo se questa verità renda l’Earth Day meno autorevole o più prestigioso: dipende dall’opinione che ciascuno si è fatta dell’Onu. Alla ricerca di notizie sull’origine della Giornata della Terra ci siamo imbattuti in un singolare articolo di Riccardo Cascioli, direttore dell’osservatorio SviPop (Sviluppo & Popolazione), specializzato nello smascherare le bufale ambientaliste.

Detto articolo si conclude con questa frase scioccante: «Liberi ora di celebrare ancora la Giornata della Terra, ma almeno sapete che state lottando per l’eliminazione di voi stessi». Ohibò. In effetti, Cascioli svela la sospetta contiguità tra i due allarmi planetari che oggi tengono banco, quello ecologico e quello demografico, un mix che finisce col considerare l’uomo come «cancro della Terra» e unico responsabile dell’inquinamento per il solo fatto di esistere -laddove per i sensati non è lui il problema, bensì la soluzione. Ma andiamo con ordine.

La Giornata della Terra cominciò il 22 aprile 1970.

Dove?

Nei soliti Usa, patria della libertà di espressione (e, dunque, anche di ogni idea bislacca). I più anziani ricorderanno che già negli anni sessanta Celentano lamentava musicalmente l’inquinamento e la cementificazione. Infatti, i movimenti ecologisti già esistevano (sempre negli Usa) come conseguenza dell’affermarsi dei «figli dei fiori».

Non che in certi posti, come Chicago, le auto di grossa cilindrata tipicamente americane e il basso prezzo della benzina non avessero creato seri problemi di respirabilità, ma non c’era ancora una coalizione ecologista in grado di imporsi a livello nazionale prima e mondiale poi.

A farla nascere pensarono due personaggi ignoti, ancora oggi, al grosso pubblico: Gaylord Nelson, senatore del Wisconsin, e Hugh Moore, miliardario. Eppure il secondo è l’inventore dello slogan «Population bomb», quella «bomba demografica» che all’inizio non interessava nemmeno a Pannella, tanto che il suo autore dovette pubblicare a proprie spese nel 1956 un opuscolo così intitolato.

Grazie al senatore Nelson, che per anni si era battuto -invano- perché il Senato Usa prendesse in considerazione l’ambientalismo, detto opuscolo finì sul tavolo di tutti quelli che contavano, non solo al governo ma anche nelle organizzazioni internazionali, Onu in primis.

Ma i tempi non erano maturi.

Lo divennero nel famigerato 1968, quando il biologo Paul Ehrlich sconvolse il mondo -finalmente divenuto ricettivo- con un libro dallo stesso titolo: La bomba demografica.

Tradotto in quasi tutte le lingue e diffuso in milioni di copie, il libro impose il «problema» al livello delle masse.

Non era tuttavia una novità, perché le teste d’uovo anglosassoni fin dall’Ottocento, con le loro Società Eugenetiche, erano convinte che il darwinismo andasse applicato alle società umane. E il controllo delle nascite era la loro coperta di Linus.

Fu però nei favolosi Sixties che il progetto del senatore Nelson incontrò i soldi del miliardario Moore, gran finanziatore di organizzazioni antinataliste. Si tenga anche presente che, all’epoca, era ancora vivo il ricordo della Bomba Atomica sul Giappone, e il rischio di una guerra nucleare con l’Urss era incubo costante.

Così, l’idea di un’altra «bomba» in grado di distruggere il pianeta si rivelò vincente per l’immaginario collettivo.

In tal modo l’ambientalismo sposò l’antinatalismo; e il solito Moore, prolifico creatore di slogan d’effetto, coniò anche il motto «la popolazione inquina».

In una decina d’anni l’alleanza fu perfezionata e i vari Sierra Club, National Wildlife Federation, Worldwatch Institute, Natural Resources Defense Council, Environmental Action si unirono con i Population Crisis Committee, Population Reference Bureau, Planned Parenthood, Zero Population Growth per fare pressione sul Congresso USA affinché si attivasse onde «fermare la crescita» della popolazione mondiale.

Dai e dai, «sviluppo sostenibile», soprattutto del numero degli abitanti del pianeta, divenne un modo di dire corrente e indiscusso.

Nacque allora la Giornata della Terra, i cui sponsor e divulgatori sono uniti nell’indicare l’uomo come il vero nemico dell’habitat: c’è, per questo inquina. La «crescita incontrollata della popolazione» diventa la vera causa della «scomparsa delle foreste» dell’«erosione del suolo» della «desertificazione», della «sparizione di intere specie animali» e perfino del famoso «buco nell’ozono».

Abbiamo così il Worldwatch Institute che ogni anno pubblica il rapporto State of the World, zeppo di allarmi su calamità imminenti (sempre regolarmente smentite dai fatti) e causate indovinate da chi.

Piaccia o no, questo è ormai lo sfondo dato e non scalfibile sul quale si muovono le politiche ambientali internazionali, Protocollo di Kyoto compreso.

Il principio ispiratore della famosa Agenda 21 (approvata al Summit della Terra, la conferenza dell’Onu sull’ambiente a Rio de Janeiro nel 1992) e del recente Vertice di Copenhagen è sempre lo stesso: limitare «l’impatto» della presenza umana.

Cioè: freno allo sviluppo nei paesi ricchi e drastica riduzione delle nascite in quelli poveri.

Anche se la storia dimostra (e Cascioli insiste) che è vero l’esatto contrario: è la crisi demografica il vero pericolo.

Soprattutto per l’ambiente.

Il Giornale, 20 aprile 2010

Crociate: Il Papa e le crociate. Qualche "puntino sulle i"


Scusate per la lunghezza del post ma l'argomento merita....
Da Totus tuus

di Massimo Viglione

«Come cristiano, vorrei dire a questo punto: sì, nella storia anche in nome della fede cristiana si è fatto ricorso alla violenza. Lo riconosciamo, pieni di vergogna. Ma è assolutamente chiaro che questo è stato un utilizzo abusivo della fede cristiana, in evidente contrasto con la sua vera natura».

Queste sono le esatte parole che il Santo Padre Benedetto XVI ha pronunciato – nel suo discorso del 27 ottobre u.s. ad Assisi – riguardo il problema della violenza esercitata da cristiani in nome della fede. Le riportiamo con precisione perché tutti sappiamo perfettamente quanto giornali e massmedia siano abilissimi nell’adattare alle loro esigenze le parole e i concetti espressi dai pontefici e perché, anche questa volta, ciò è accaduto in maniera palese.

Ora, come si può notare, in realtà il papa le crociate neanche le nomina, e, soprattutto, non “chiede scusa”: parla di sentimento di vergogna (non è esattamente la stessa cosa…). Certamente però, condanna con fermezza l’uso della violenza da parte di cristiani. E siccome la Crociata era un “pellegrinaggio armato” fatto da cristiani che conduceva al combattimento contro gli infedeli, ergo la conseguenza apparirebbe essere quella della formale condanna della Crociata in sé a prescindere. Ma, è realmente così?

E, soprattutto, potrebbe essere così e in quali termini? Ora, senza entrare negli aspetti più specificamente teologici del problema, ma rimanendo in quelli più modestamente ma anche più appropriatamente storici, occorre fare alcune doverose precisazioni e riflessioni, che meriterebbero ben altro spazio e approfondimento, ma che per necessità ridurrò schematicamente:

1) Fin dai tempi della scuola, gli insegnanti di storia – almeno, quei pochi degni di questo nome – ci hanno ammaestrato sul fatto che l’errore più grande che può commettere uno storico, o anche un qualsiasi uomo che per qualsiasi ragione riflette sulla storia, è quello di giudicare gli uomini, le idee e gli eventi del passato con i criteri che vanno per la maggiore nel presente (e questo a prescindere dall’accettazione spesso e volentieri acritica degli stessi criteri presenti): come se un uomo del XXV secolo ci giudicasse a noi tutti in base alla vita quotidiana e alle esigenze e ideologie del suo tempo;

2) Le crociate (visto che si vuole parlare per forza di crociate) non furono una parentesi – più o meno lunga o breve, più o meno sentita e partecipata – della storia della Cristianità. Se la Prima Crociata è del 1096-1099, se i cristiani hanno tenuto piede militare nei Luoghi Santi per due secoli, in realtà spedizioni crociate sono state pensate, organizzate, e, a volte, anche effettuate, via terra e via mare, fino agli inizi del XVIII secolo. Questa plurisecolare guerra fra religioni non avveniva perché i cristiani erano brutti e cattivi e volevano trucidare tutti i musulmani, che erano buoni e indifesi; né perché i cristiani non avessero altro a cui pensare; né perché non avessero altre guerre interne in cui dare sfogo alla propria violenza innata.

In realtà, questa plurisecolare guerra inizia di gran lunga prima del 1096. Inizia 450 anni prima circa, e per 450 anni, occorre dirlo senza ombra di dubbio storico possibile, chi ha portato la guerra alla Cristianità è stato l’Islam nascente e trionfante. Sono stati i musulmani, vivente ancora Maometto, ha iniziare quella tutti noi conosciamo bene, la Jihad. Conquistarono prima l’Arabia, ancora in gran parte pagana, ma poi anche Gerusalemme e i Luoghi Santi, divenendo così i padroni del Santo Sepolcro; e quindi, dividendosi in due grandi tronconi militari, portarono la guerra a tutta la Cristianità come uno Tzunami incontenibile. Se verso oriente furono in parte bloccati – per il momento – dall’Impero Romano d’Oriente (che vivrà tutti i suoi ultimi secoli di vita combattendo e spegnendosi contro i musulmani), verso occidente travolsero per sempre tutta la Cristianità d’Africa, quindi la cristianità ispanica, e tentarono anche di invadere la Francia (battaglia di Poitiers, 732).

Dopodiché assalirono e occuparono la Sicilia e le grandi isole del Mediterraneo, e, nei secoli successivi, invasero varie zone dell’Italia, della Francia (fino a Lione), perfino della Svizzera. Montecassino venne distrutta, Roma assalita e le basiliche costantiniane di San Paolo e san Pietro date al fuoco (per tal ragione fu costruita la Città Leonina intorno a San Pietro da Papa Leone IV). Un enclave perenne di guerrieri musulmani stava a Castelvolturno, un’altra nella Sabina, e Roma viveva sotto continuo attacco e rischiò di cadere preda dell’Islam (come per altro il Profeta aveva, appunto, “profetizzato”), venendo salvata proprio dalla ripetuta azione militare di vari pontefici.

Per secoli l’Europa mediterranea ha subito le scorrerie dei pirati barbareschi (“mammaliturchi”, la celebre battuta del dialetto romano, nasceva da un tragico grido di terrore ripetuto chissà quante volte nel corso dei secoli): uomini uccisi, donne violate e portate negli harem, bambini rapiti e venduti come schiavi (nei secoli moderni, poi, con i turchi invece venivano fatti crescere musulmani e molti di loro divenivano giannizzeri). Per secoli i pellegrini in Terra Santa vennero massacrati, soprattutto con l’arrivo dei turchi selgiuchidi.

E, se con la fine della crociate si era giunti a una forma di “convivenza” armata con il mondo arabo, tutto precipitò di nuovo – e in maniera ancor più radicale – con l’arrivo dei turchi ottomani, che conquistarono ciò che rimaneva dell’Impero Bizantino nel XV secolo e da allora, fino agli inizi del XVIII secolo, puntarono a più riprese sull’Europa, conquistando gran parte dei Balcani, assediando Vienna per ben due volte, conquistando Cipro, Rodi, e portando l’assedio a Malta (dove vennero respinti dall’eroismo dei Cavalieri, guidati da Jean de la Vallette). Nel corso dei secoli, in mille anni (dal VII al XVIII secolo), quante cristiani vennero assassinati? Quante donne violate e deportate negli harem? Quante città distrutte, vite spezzate, anime costrette all’abiura religiosa? Chi potrà mai farne il conto? Chi potrà mai calcolare l’immenso dolore di questi mille anni?

3) Perché questo excursus storico? Perché occorre ragionare con serenità, ma anche con serietà, specie su argomenti così drammatici, e che hanno avuto luogo per più di dieci secoli. Se un fenomeno storico dura più di mille anni, esso non può essere considerato semplicemente un “errore” di qualcuno. Esso evidentemente è la chiave di volta per comprendere un’intera epoca millenaria. Nella fattispecie, uno scontro militare epocale fra due religioni sì, ma anche fra due concezioni del mondo e civiltà. Ognuna con i suoi pregi e difetti, che ora non ci interessa qui approfondire.

4) Ciò che invece è fondamentale chiarire, è il fatto che per cinque secoli prima delle crociate, e per altri quattro dopo le crociate (quelle “usuali”), la Cristianità è stata aggredita costantemente e brutalmente, prima dall’Islam arabico, poi da quello turcomanno. Come chiunque, onesto e serio, può capire, tutto ciò cambia radicalmente il significato dell’intero discorso: infatti, se una parte aggredisce l’altra per secoli, senza ragione che non sia la conquista e la volontà di conversione armata come peraltro imposto dalla propria religione, allora occorre stare molto attenti nel dare giudizi storici che possono essere tacciati di “faciloneria”.

Forse che i papi dei secoli altomedievali dovevano lasciar conquistare, saccheggiare e incendiare Roma dai musulmani, lasciare che questi violentassero le donne e rapissero i bambini, e, soprattutto, che imponessero l’Islam a tutti trasformando San Pietro in moschea (esattamente come avvenne secoli dopo con Maometto II per Santa Sofia a Costantinopoli)? Che doveva fare san Pio V nel 1571? Lasciare che la flotta turca occupasse Roma e distruggesse tutto o doveva provare a creare una lega militare di difesa contro l’assalto esterno, quella Lega Santa che trionfò a Lepanto 440 anni or sono salvando Roma, l’Italia, la Cristianità? Che doveva fare il beato Innocenzo XI dinanzi a 200.000 turchi in armi (più 300.000 al seguito) che assediavano Vienna, capitale del Sacro Romano Impero, nel 1683, mentre a Versailles il Re Sole ballava il minuetto appoggiando i turchi stessi? Doveva tranquillamente attendere il massacro di Vienna e l’arrivo dei turchi a Roma?

5) Potremmo fare tantissimi altri esempi, nel corso di questi mille anni, ma il concetto di fondo appare ora evidente: si chiama “legittima difesa”. Come si suole dire in maniera un po’ brutale ma molto incisiva… dinanzi a ciò, le chiacchiere stanno a zero. La legittima difesa non è un’opzione di vita (può esserlo solo nei confronti di se stessi: per esempio, un uomo si offre al martirio per non usare violenza verso chi vuole ucciderlo in nome della sua fede personale), è un dovere sociale. Qualsiasi governo, qualsiasi capo di Stato, chiunque abbia potere di esercitare l’autorità, anche militare, ha il dovere morale e sociale della difesa dei propri cittadini dall’attacco violento perpetrato da forze nemiche. Se poi queste forze nemiche attaccano senza giusta causa non solo per conquista (di soldi, territori, potere, donne, beni, ecc.) ma anche per imporre con la violenza la propria religione e il proprio stile di vita o ideologia, allora il dovere è ancora più grande, dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini. Se i papi, i re, i grandi principi e condottieri della Cristianità non avessero scelto liberamente di difendere in armi (cioè nell’unico modo in quei secoli possibile) i propri popoli, territori, averi, e, soprattutto, la propria fede, sarebbero stati dei traditori dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini. Del resto, tale affermazione è facilissimamente dimostrabile: che cosa direbbero, tutti coloro che sempre criticano la Chiesa per le crociate, se fosse avvenuto il contrario? Cioè se l’Islam fosse stato preesistente alla Cristianità, se questa fosse arrivata dopo e avesse aggredito militarmente senza ragione alcuna le terre e i popoli che già da secoli erano islamici al solo scopo di convertirli al Cristianesimo? Direbbero sicuramente che questa è la riprova che la religione cristiana è foriera di violenza e ha tutte le colpe. Appunto…

6) Rimane il discorso delle crociate, cioè di quei due secoli specifici (1096-1291: due secoli su dieci!) in cui effettivamente sono stati i cristiani ad attaccare e conquistare, per poi progressivamente perdere, i Luoghi Santi. Ebbene, occorre anche in questo caso fare delle precisazioni. Le crociate iniziarono come detto ben 5 secoli dopo il grande e continuo attacco portato dall’Islam alla Cristianità. Non è superfluo ricordare che i Luoghi Santi (e così tutta l’Africa mediterranea), prima della conquista islamica a metà VII secolo, erano cristiani, parte integrante dell’Impero Romano d’Oriente.

Per cinque secoli la Cristianità (sia d’Occidente che d’Oriente) ha subìto gli attacchi, le conquiste e le scorrerie islamiche. Ciò significa che, quando iniziarono le crociate, esse furono anzitutto una risposta militare a cinque secoli di imperialismo islamico. I cristiani contrattaccarono solo dopo cinque secoli per il semplice fatto che prima non ne avevano la forza.

Alla fine dell’XI secolo, per ragioni storiche che non è possibile qui approfondire, essi finalmente poterono reagire e riconquistarono Gerusalemme. Ciò significa che le crociate furono fatte con 3 scopi essenziali tutti legittimi: la riconquista cristiana dei Luoghi Santi (cioè di ciò che era cristiano prima dell’Islam e che appartiene idealmente a tutti i cristiani di tutti i tempi in quanto trattasi dei luoghi della Redenzione dell’umanità); la difesa della vita dei pellegrini; la risposta militare definitiva a cinque secoli di guerra subita (contrattaccare è legittimo quando si è aggrediti). Poi, come spesso accade, una volta lì, i crociati, anche per difendere ciò che avevano riconquistato, hanno dovuto cedere, a volte in maniera esagerata, all’uso ripetuto della violenza, finché comunque, va detto, i musulmani hanno riconquistato, sempre manu militari, tutti i territori crociati di Oltremare.

7) E qui occorre fare l’ultima importante riflessione. Se le crociate fossero state sbagliate in sé, cioè illegittime di principio, questo vorrebbe dire che decine di Papi hanno operato al servizio del male. Infatti, tutte le crociate, dalla prima all’ultima delle 7 ufficiali, ma anche tutte quelle pensate e in parte realizzate nei secoli successivi, sono state tutte fatte sotto autorizzazione pontificia. Anzi, ciò che faceva “crociata” una crociata, era la relativa bolla pontificia che comandava a tutti i sovrani e principi cristiani di prendere la Croce, di iniziare il relativo prelievo fiscale per poter pagare la spedizione, e prometteva la vita eterna a tutti coloro che sarebbero morti nella spedizione e la remissione dei peccati ai sopravvissuti.

Questo non è stato fatto da 3-4 papi un po’ “esaltati”, ma da decine e decine di pontefici, tra la fine dell’XI secolo fino alla fine del XVIII (l’ultima bolla di crociata è del 1776, il Gabinetto della Crociata è stato chiuso dalla Santa Sede nel 1917). La stragrande maggioranza dei pontefici ha emesso bolle di Crociata, ha lavorato incessantemente per organizzare spedizioni, molti di loro hanno scomunicato principi e re che non volevano partire, qualcuno è morto di crepacuore per il dispiacere delle conquiste degli infedeli e dei fallimenti dei cristiani. Tutti pazzi? Tutti eretici (il Papa eretico?)? Tutti traviati da sete di sangue? O tutti preoccupati di difendere la Fede, la Chiesa, la civiltà cristiane e le popolazioni europee?

Da notare, per inciso, che dopo la fine delle 7 crociate ufficiali, cioè dal XIV secolo in poi, tutte le spedizioni crociate pensate ed effettuate avevano come scopo concreto la difesa dell’Europa dai turchi, e non più (se non idealmente) la riconquista del Santo Sepolcro. Non solo: non è solo questione di Papi e di magistero pontificio. Tutti i più grandi santi e teologi medievali e moderni hanno legittimato la Crociata.

Il grande predicatore della Terza Crociata, fondatore ideale dell’Ordine dei Templari, è san Bernardo di Chiaravalle, Dottore della Chiesa e santo dell’amore mistico per antonomasia; san Tommaso d’Aquino, Dottore Angelico, e Doctor Humanitatis ancora proclamato da Papa Giovanni Paolo II, maestro assoluto della teologia cattolica, ha insegnato la legittimità delle crociate in quanto legittima difesa da un nemico ingiustamente aggressore. Santa Caterina da Siena, Patrona d’Italia, Co-Patrona d’Europa, e, soprattutto, Dottore della Chiesa, ha scritto sulla Crociata pagine meravigliose nelle sue lettere, e ha insistito, al di sopra di ogni altra cosa, con Papa Gregorio XI, perché proclamasse la Crociata. Papa san Pio V, il Papa di Lepanto, il beato Innocenzo XI, il Papa di Vienna, non erano creature assetate di sangue, furono difensori supremi della nostra civiltà e della libertà.

Mi permetto di ricordare che ancora agli inizi del secolo scorso, una santa carmelitana giovanissima nei suoi scritti diceva che avrebbe tanto voluto essere un crociato per dare la vita per la difesa della Chiesa dai suoi nemici: si chiamava Teresina del Bambin Gesù, Dottore della Chiesa Cattolica, proclamata tale da Giovanni Paolo II. E questo solo per fare alcuni esempi. Occorre stare attenti quando si condannano le crociate.

Non mi riferisco naturalmente ai nemici della Chiesa e della civiltà cristiana, agli atei, agnostici, relativisti vari. Mi riferisco agli “amici” sempre critici con noi stessi, mi riferisco ai semplici fedeli che possono ormai avere le idee confuse a riguardo. Se le nostre donne, madri, sorelle, figlie, mogli, oggi sono libere e libero è il loro pensiero e il loro volto, se tutti noi oggi abbiamo la libertà di pregare il nostro Dio pubblicamente, se usufruiamo dei pieni diritti civili, se possiamo conoscere la verità in tutti i suoi aspetti, se studiamo liberamente ciò che vogliamo studiare, se abbiamo il benessere (almeno, quello ne rimane oggi) che abbiamo, e così via, è perché nel corso di mille anni qualcuno è morto per loro e per noi. È perché decine e decine di Papi si sono preoccupati nel corso dei secoli di difendere la nostra fede e civiltà.

È perché dei santi hanno predicato tale difesa. È perché dei teologi l’hanno giustificata dinanzi a Dio e agli uomini. È perché centinaia di migliaia di cristiani, nel corso di secoli e secoli, hanno impugnato la spada e sono morti per la nostra libertà. Ma allora, come giudicare le parole del Santo Padre ad Assisi? Qui, per attenerci ai fatti, occorre ribadire ciò che abbiamo detto all’inizio: il Papa non parla di “Crociata” come concetto in sé. Il Papa evidentemente si riferiva a tutto quell’insieme di violenze inutili, superflue, gratuite, alcune obbrobriose, di cui nel corso di questi venti secoli si possono essere macchiati i cristiani, in tutte le occasioni, non solo nelle crociate. Gli spagnoli che hanno portato Cristo ai popoli amerindi compirono anche violenze. Vogliamo forse rinnegare i benefici (non solo religiosi, che sono fondamentali, ma anche civili, sociali e culturali) che tali popoli hanno ricevuto dalla cristianizzazione? Vorremmo forse che fossero rimasti pagani adoratori di demoni e sacrificatori di fanciulle quali erano prima di Colombo? Non penso che il Santo Padre voglia questo…

Occorre distinguere quindi tra il bene dell’Evangelizzazione e il male della violenza inutile e gratuita ad essa purtroppo a volte connessa. Occorre distinguere tra la legittima difesa da un nemico aggressore che per mille anni ha tentato di conquistarci e farci cambiare religione, dalle violenze inumane e gratuite commesse. Del resto, la Chiesa terrena, nella sua interezza, dai pontefici all’ultimo dei chierici, la Cristianità nella sua interezza, dai sovrani all’ultimo dei paggi, si può sbagliare per circa sette secoli? E, se ciò fosse possibile, allora chi ci assicurerebbe più che l’attuale pontefice, i suoi predecessori e successori, abbiano ragione? Un papa, due, tre, si possono sbagliare in materia che non sia di fede e morale (ma poi, siamo così sicuri che qui la fede non v’entri per nulla? Non esiste forse un magistero della Crociata?).

Ma decine e decine di pontefici per sette secoli? Siamo così sicuri che il Santo Padre ad Assisi abbia veramente chiesto scusa per le crociate? O si è limitato a dire esattamente ciò che ha detto? Qualcuno forse vorrebbe affermare che il diritto alla legittima difesa non esiste? Forse non ha pensato che secondo questo folle principio la Seconda Guerra Mondiale era illegittima, e occorreva farsi conquistare tranquillamente dal nazismo, non reagire vedendo la mostruosa fine che spettava agli ebrei, accettare la fine della propria libertà e indipendenza, ecc. ecc. Questo, sono sicuro che nessuno lo affermerebbe mai.

Più che giusto, ovviamente: e allora, lo stesso principio deve valere per la Cristianità aggredita. Oppure i cristiani sono i soli che non hanno diritto alla legittima difesa? Concludo ritornando al primo dei punti elencati: è molto facile parlare di pace e pacifismo, condannare le brutalità della guerra, ergersi a giudici dei passato, quando si è tranquilli, si usufruisce di grande libertà e si ha lo stomaco pieno.

Ogni grande evento della storia va contestualizzato evidentemente. Se per mille anni i cristiani hanno combattuto con l’Islam, se per secoli Papi, teologi, santi, Dottori della Chiesa, sovrani, militari, interi popoli, hanno predicato la crociata o preso direttamente le armi, non sarà stato forse perché… ce n’era bisogno? Non dobbiamo proprio a loro la nostra possibilità di criticarli pubblicamente? Siamo sicuri che tutti noi, così come siamo oggi, se per ventura ci fossimo trovati al loro posto, non ci saremmo comportati allo stesso modo? Non hanno loro il diritto di essere giudicati per quella che era la loro reale situazione e mentalità nei loro giorni? Loro non hanno fatto chiacchiere da bar o da salotto: sono morti a centinaia di migliaia per servire la Chiesa, la civiltà cristiana e la nostra libertà. Forse, prima di parlare, dovremmo ragionare con maggior profondità.

Forse, dovremmo leggere bene ciò che il Santo Padre esattamente dice (ri-sottolineo il fatto che parla giustamente di “vergogna” per le violenze, ma non chiede scusa per un qualsivoglia fenomeno storico preciso), non utilizzarlo per i nostri risentimenti ideologizzati. E se ogni tanto dicessimo una preghiera per chi è morto anche per noi, forse daremmo prova di maggior buon senso e civiltà. E concludo ponendo un’ultima questione: ma siamo proprio così sicuri che un giorno, magari neanche troppo lontano, non potremmo trovarci pure noi nella stessa situazione in cui si trovarono per mille anni i nostri antenati?

domenica 13 novembre 2011

Mons. Negri: Infallibilità e società anti-cattolica

Da Fatti sentire


Verità dogmatica della fede cattolica: quando, da Pastore e Maestro di tutti i cristiani, definisce dottrine in materia di fede e morale, il Papa è infallibile. Dottrina antichissima e solennemente definita nel Concilio Vaticano I.

Ma anche esigenza irrinunciabile per la verità della fede e della carità. E per la libertà della Chiesa.

L’infallibilità del Papa appartiene in modo singolarmente significativo alla struttura sacramentale ed organicamente ordinata con cui il Signore Gesù Cristo ha istituito la Sua Chiesa.

Secondo il dettato stesso della Costituzione Dogmatica “Pastor aeternus” del Concilio Vaticano I in cui è contenuta la solenne dichiarazione del magistero infallibile: “Ma ciò che il Signore Gesù Cristo, Principe dei pastori e Pastore supremo del gregge, ha istituito nella persona del beato Apostolo Pietro per la salvezza eterna e il perenne bene della Chiesa, deve necessariamente, per volontà dello stesso Cristo, durare per sempre nella Chiesa, che, fondata sulla pietra, resterà incrollabile fino alla fine dei secoli. Infatti nessuno dubita, anzi è noto a tutti i secoli, che il santo e beatissimo Pietro, principe e capo degli apostoli, colonna della fede e fondamento della Chiesa cattolica, ha ricevuto le chiavi del regno da nostro Signore Gesù Cristo, Salvatore e Redentore del genere umano: fino al presente e per sempre è lui che, nella persona dei suoi successori, ossia i vescovi della santa sede di Roma, da lui fondata e consacrata dal suo sangue, vive presiede e esercita il potere di giudicare”.

“Per cui chiunque succede a Pietro in questa cattedra, per istituzione dello stesso Cristo, riceve il primato di Pietro su tutta la chiesa. ‘Rimane, allora, ciò che ha disposto la verità, e il beato Pietro, conservando la granitica solidità che ha ricevuto, non ha lasciato la guida della Chiesa a lui affidata’ (S. Leone, Sermo III). Per questo motivo è sempre stato necessario che ogni chiesa, cioè i fedeli di ogni luogo, si volgesse alla Chiesa Romana, in forza della sua origine superiore, affinché in questa sede, da cui si diffondono su tutti i diritti della veneranda comunione, come membra unite nel capo, si unissero nella compagine di un solo corpo”.

L’autentica esperienza della Chiesa vive dunque nella realtà del popolo cristiano autorevolmente guidato dal successore dell’apostolo Pietro e dal collegio dei successori degli apostoli, uniti da vincoli di profonda obbedienza e comunione con il successore dell’apostolo Pietro: in questa unità e per questa unità la parola di Dio viene rettamente predicata ed autenticamente interpretata, i sacramenti validamente celebrati, la tradizione tramandata di generazione in generazione in modo dinamico e vitale, la comunione ecclesiale ritrova il suo autentico fondamento sacramentale e la missione nasce e rinasce come inderogabile compito di tutto il popolo cristiano.

Indubbiamente quindi la presenza e il magistero del Papa, nella storia bimillenaria della Chiesa, sono state concepite e vissute come la garanzia in ultima istanza per la verità della fede e l’autenticità della carità. Secondo il dettato del Concilio di Firenze: “Il vescovo di Roma è il vero vicario di Cristo, il capo di tutta la Chiesa, il padre ed il dottore di tutti i cristiani; a lui, nella persona del beato Pietro, è stato affidato dal Signore nostro Gesù Cristo il pieno potere di pascere, reggere e governare la chiesa universale”.

Avvento Tridentino nella parrocchia di S. Pancrazio ad Ancignano di Sandrigo (Vi)


Con molto piacere pubblichiamo quanto segue (con orario Ss. Messe e una chiara spiegazione teologica e liturgica della Forma Extraordinaria del Rito Romano), perché ci fa piacere dare comunicazione dell'impegno del sacerdote, che tempo fa (2009) si era impegnato a far nascere nella sua parrocchia la S. Messa Tradizionale (in un nostro post, la notizia)
Il Rev.do Parroco, don Rigon, è riuscito con l'aiuto di Dio, nel suo impegno. A distanza di anni, ecco proporre ai fedeli una preparazione al Santo Natale con la celebrazione domenicale del periodi di Avvento.

Parrocchia di San Pancrazio
Via Chiesa, 15 - 36066 Ancignano di Sandrigo (Vicenza)
tel. 0444659515

ADVENTUS DOMINI 2011 (inizia il 27 novembre)
Ss. Messe in latino, secondo la Forma Extraordinaria del Rito Romano
ogni Domenica di Avvento alle ore 17:00

27 novembre, Missa “AD TE LEVAVI”
4 dicembre, Missa “POPULUS SION”
11 dicembre, Missa “GAUDETE IN DOMINO”
18 dicembre, Missa “RORATE, CAELI”

Le Ss. Messe verranno celebrate al modo “letto”, con canti.
Saranno forniti i necessari sussidi per partecipare con maggior frutto al Santo Sacrificio.



Nel 2007 papa Benedetto XVI chiariva definitivamente che il “vecchio rito” della Messa non era mai stato abolito e che, quindi, non era impedita la sua celebrazione a quei sacerdoti che lo desiderassero come pure ai fedeli intenzionati a parteciparvi.
Nella sua profonda saggezza, frutto anche di studi approfonditi e di sensibilità pastorale, il Papa spiegava così la sua decisione, per molti inopportuna e persino pericolosa: “Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Messale Romano. Nella storia della liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura.
Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso
”.
La S. Messa celebrata nella forma che il Papa chiama “extraordinaria”, non si pone in alcun modo contro quell’altra che è, e rimane, “ordinaria” come dice ancora Benedetto XVI.
Sarebbe davvero anacronistico ritenere che la Messa ‘al modo antico’ possa sostituire quella che si celebra da oltre quarant’anni.
Il Papa non intende riportare indietro la Chiesa, cancellare il cammino che è stato fatto e annullare la riforma liturgica. Desidera semplicemente arricchire la preghiera cristiana recuperando più apertamente alcune dimensioni che il rito attualmente in uso certamente non ha dimenticate, ma che in quello precedente erano forse maggiormente sottolineate.
Attingendo alla forma exstraordinaria, i credenti possono percepire la vastità del Mistero che celebrano, ed esprimerlo poi anche nel rito più comunemente seguito nelle nostre chiese.
Vediamo insieme alcuni aspetti caratteristici della S. Messa celebrata al modo antico.
Il latino della Messa non costituisce comunque un grave ostacolo perché, con un po’ di esercizio.
Essa è conosciuta come “Messa in latino”, proprio perché in tutta la Liturgia, (eccezion fatta per le letture ed eventualmente qualche canto popolare) si usa tale lingua. Il latino esprime l’universalità della preghiera e la sua continuità attraverso il tempo (a partire dal IV secolo cristiano, infatti, il latino costituisce la lingua ufficiale del culto della Chiesa Cattolica Occidentale.
Il latino della Messa non costituisce comunque un grave ostacolo perché, con un po’ di esercizio abituale, lo si comprende facilmente
La posizione del sacerdote - Un’altra caratteristica del rito straordinario è data dal fatto che il sacerdote “volge le spalle ai fedeli”. Ciò si spiega perché, nell’antichità, la posizione della preghiera era preferibilmente “verso Oriente” (simbolo di Cristo “sole nascente”). [e "verso Dio", raffigurato sulla croce posizionata sopra all'altare, n.d.r.]
Anche quando poi si perse tale simbolismo, il sacerdote ha continuato, comunque, a rimanere rivolto verso Dio, alla testa di tutto un popolo che guarda continuamente all’Onnipotente Signore, come fonte della vita e della speranza. In questo modo di celebrare la Messa viene evidenziato particolarmente il ruolo del sacerdote, come “intercessore” davanti a Dio in favore di tutti i fedeli che gli sono affidati.
Nella sua persona Gesù Cristo stesso rinnova il sacrificio che ha compiuto una volta per tutte sul Calvario.
Ecco perché l’altare è come il colle sopra il quale fu impiantata la Croce del nostro Redentore e, proprio salendo quei pochi gradini, è come se il sacerdote fosse ai piedi di quella Croce con la quale Gesù ci ha dimostrato il suo amore indicibile.
Naturalmente l’altare è anche mensa, perché noi beneficiamo dei frutti della redenzione proprio comunicando al Corpo del Signore
.
Le regole che il sacerdote e i fedeli devono seguire nel Rito sono minuziosamente precisate nelle rubriche del Messale. Questa fissità serve a far comprendere che la Liturgia non ci appartiene, ma è il tesoro che la tradizione della Chiesa ci affida e che, sacerdote e fedeli, devono amministrare con somma cura e delicatezza.
La partecipazione del popolo è data dalle risposte al celebrante, dal canto, ma soprattutto dall’adesione interiore, di fede, al Sacrosanto Sacrificio dell’altare. E’ auspicabile, comunque, che i fedeli possano avere tra le mani qualche sussidio (meglio se sanno usare il Messalino completo) per comprendere le varie fasi del rito e le formule, anche quelle dette a voce bassa, pronunciate dal Sacerdote all’altare.
Il canto proprio della Liturgia romana è il “gregoriano” (dal nome del papa San Gregorio Magno, Sommo Pontefice dal 590 al 604), ma sono ammessi anche altri canti purchè consoni alla dignità e alla grandezza del rito.
Queste sono alcune delle caratteristiche della Messa Tradizionale, ma è soprattutto partecipandovi con una certa regolarità che si può imparare a conoscerla, ad amarla, a goderne i frutti di bene che essa produce nell’anima dei fedeli ben disposti.

***

La Chiesa di San Pancrazio in Ancignano di Sandrigo è, attualmente, l’unica della Diocesi di Vicenza in cui viene officiato l’antico rito della S. Messa.
Don Pierangelo ha ricevuto dal Vescovo Mons. Beniamino Pizziol l’incarico di seguire i fedeli che desiderano parteciparvi .
La S. Messa nella forma extraordinaria viene celebrata anche il mercoledì, alle ore 19.00.

Per informazioni sulle varie iniziative, per richieste di colloqui o per la S. Confessione, chiamare pure al n. 3391417101.
E-mail: parrocchia.ancignano@gmail.com

sabato 12 novembre 2011

CHIESA CATTOLICA: quei “maestri del dubbio” in cattedra nella diocesi di Cremona

Da Corrispondenza Romana:

Vito Mancuso nelle sue opere –come riportato da “L’Osservatore Romano” e da “Civiltà Cattolica”- nega o svuota di contenuti circa una dozzina di dogmi, dal peccato originale alla resurrezione di Cristo, dall’eternità dell’infermo alla salvezza che viene da Dio. In un articolo ha respinto anche il dogma della Creazione e la dottrina proposta dall’”Humanae Vitae” sulla contraccezione.

Eppure negli ultimi due anni è stato invitato a parlare nelle Diocesi di Prato, di Gorizia, di Catania… Gherardo Colombo ritiene che il bene in sé e la giustizia in sé semplicemente non esistano: ciascuno potrebbe farsene un’idea personalissima, quindi relativa. Quanto alla virtù, nemmeno da prendere in considerazione….

Eppure ha parlato agli studenti del Seminario di Nola, nelle Diocesi di Foligno e Locri-Gerace, al Centro Pastorale di Cremona… Massimo Cacciari ha spiegato, nel Duomo di Milano, quanto bello sia vivere senza fede e senza certezze.

Eppure, oltre ad essere professore ordinario presso l’Università Vita-Salute del San Raffaele di Milano-, ha parlato nelle Diocesi di Livorno, Terni-Narni-Amelia, e Caserta, dove ha addirittura inaugurato l’attività dell’Istituto di Scienze Religiose “S. Pietro”,… E così via, l’elenco potrebbe continuare, includendovi altri “maestri del dubbio metodico”, come Beppino Englaro, che in una parrocchia di Verona ha presentato il suo libro pro-eutanasia.

Per questo, purtroppo, non stupisce, sebbene sempre amareggi, apprendere che -come ci viene segnalato dai nostri lettori- il Meic-Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale della Diocesi di Lodi abbia invitato per il 7 novembre uno come il citato Vito Mancuso quale relatore per una serie di incontri pubblici.

Senza alcuna ombra di dubbio, tutti costoro rientrano a pieno titolo nella categoria dei “falsi profeti” individuata dalla Scrittura, lupi rapaci vestiti da pecore, da cui il testo sacro invita a guardarsi: “Dai loro frutti li riconoscerete” (Mt 7, 15-16), spiega. “Inganneranno molti; per il dilagare dell’iniquità, l’amore di molti si raffredderà. Ma chi persevererà sino alla fine, sarà salvato” (Mt 24, 11-13).

In effetti, in molti casi -complice il silenzio dei sacerdoti, per lo più presenti nella veste di moderatori, anche sui punti più delicati e sensibili- il pubblico, costituito in massima parte da cattolici comuni, supera le perplessità iniziali, ispirate dalla buona dottrina appresa sui banchi del catechismo, per giungere all’iniquo, scrosciante applauso finale.

Eppure, indipendentemente dalla gloria umana, “la loro condanna –assicura la Bibbia- è già da tempo all’opera e la loro rovina è in agguato” (2Pt 2,3). Il Catechismo della Chiesa Cattolica è molto chiaro contro chi tradisca o contribuisca a tradire la Verità, atto che, se “fatto pubblicamente, riveste una gravità particolare” (n. 2476), è un’“opera diabolica” (n. 2482), un’“offesa per indurre in errore” (n. 2483), “per sua natura condannabile” in quanto “profanazione della parola, mancanza in ordine alla giustizia ed alla carità”, ancora maggiore in caso di “conseguenze funeste per coloro che sono sviati dal vero” (n. 2485).

Ciò che stupisce non è, allora, che questi “maestri del dubbio” dicano quel che dicono: è, in un certo senso, il loro mestiere, la loro missione e cercano di portarla a termine nel migliore dei modi, ovunque ne sia data loro l’occasione. Ciò che davvero turba e sconcerta, piuttosto, è la remissiva accondiscendenza dei pastori d’anime, che –incuranti dei pericoli, cui espongono se stessi ed il gregge loro affidato- si portano il nemico in casa. Coi risultati, che –malauguratamente- sono sotto gli occhi di tutti. (M. F.)


Ciclo di conferenze alla "Misericordia" di Torino



ARCICONFRATERNITA DELLA MISERICORDIA
SOTTO IL TITOLO DI SAN GIOVANNI BATTISTA DECOLLATO
Fondata nel 1578

Programma delle Conferenze 2011-2012

"Sacrificium Eucharistiae: fons et culmen totius vitae christianae"
Teologia, storia e spiritualità della liturgia
eucaristica romana nell'Occidente cristiano

Lunedì 21 novembre 2011 ore 21.00

Il culto cristiano dalle origini a Gregorio Magno.
Plinio, Giustino, Ambrogio, Cirillo di Gerusalemme

Lunedì 20 febbraio 2011 ore 21.00

Struttura e storia del rito romano I.
Da Gregorio Magno fino al Concilio di Trento e a San Pio V.

Lunedì 19 marzo 2012 ore 21.00

Struttura e storia del rito romano II
dal "Movimento liturgico" fino alla Meditor Dei, alla Sacrosantum Concilium,
alla Mysterium Fidei di Paolo VI e al "Motu proprio" di Benedetto XVI.

Lunedì 23 aprile 2012 ore 21.00

Spiritualità cristiana ed Eucaristia nella riflessione teologica contemporanea.
Romano Guardini, Annibale Bugnini, Joseph Ratzinger.

Relatore delle conferenze: Professor Monsignor Renzo Savarino
Docente emerito di Storia della Chiesa presso la Facoltà Teologica di Torino.

Ss. Messe tridentine dei FFI a Roma, parrocchia di S. Maria di Nazareth

"Parrocchia di Santa Maria di Nazareth"
retta dai benemeriti Frati Francescani dell'Immacolata, FFI
Roma, via di Boccea 590
(sito ufficiale qui)

SANTE MESSA conventuale nella Forma Extraordinaria del Rito Romano

Ogni giorno alle ore 7.00

DOMENICA E FESTIVI alle ore 08:00

Sante Messe nel rito antico a Tolentino (MC)

Si rende noto che da Domenica 13 novembre 2011 -

nella Chiesa del Sacro Cuore di Tolentino ( detta "dei sacconi")

LA SANTA MESSA nella Forma Extraordinaria del Rito Romano

sarà celebrata sempre alle ore 18,00
Prima della S.Messa ci sarà la recita del Santo Rosario
Il Parroco Don Andrea Leonesi.

" Che cos'è la Messa" ? Amare considerazioni dopo un'intervista televisiva.

video

Qualche giorno fa una lettrice di MIL ha proposto la visione del video comparso su Gloria TV e da me qui allegato. Il filmato fa parte di un'inchiesta, spontanea e improvvisata, condotta da una giornalista di un’emittente televisiva che ha intervistato nel centro di Bologna alcuni cittadini ai quali ha rivolto un'unica domanda : che cos’è la Messa?
Dalle risposte degli intervistati io mi sarei aspettato qualcosa di più, soprattutto dai meno giovani, comunque vittime anch'essi della vuota retorica post conciliare, scaturisce il colpevole fallimento dei catechismi e dei metodi catechistici della CEI.
25 anni or sono mi recai per suonare, occasionalmente, in una popolosa parrocchia di una città marina ed ebbi modo di parlare con una sempre sorridente catechista, focolarina trentenne che mi riempì di retorica ecclesiologica “progressista” che sempre mi ha terrorizzato.
Alla mia domanda se nella parrocchia si cantasse qualcosa in canto gregoriano ed in latino … la focolarina e sempre sorridente catechista mi disse : “ No, no! Ma ci sono due adolescenti che manifestano queste stranezze… Sarà nostro compito farli cambiare”. Ebbi un brivido : erano gli anni in cui nei gulag i “catechisti comunisti" che cercavano di “ far cambiare idea” ( magari con minor focolarino sorriso) ai preti, ai vescovi e ai fedeli cristiani imprigionati a causa della fede. 25 anni fa, così come pure ora, mi son chiesto " a chi viene demandato l'importantissimo compito di catechizzare i giovani?" Permettemi un esempio musicale : la musica sacra mi sta particoalrmente a cuore ! Sono docente di Educazione Musicale in istituti statali ed ho sempre insegnato ai miei alunni, alle Superiori così come nella Scuola Media, un vasto repertorio in canto gregoriano offrendo pure un concerto natalizio. Sono giunto, fra l’altro, ad eseguire per intero, nella scuola media dove insegno dal 2001, il canto della tradizionale Novena di Natale con tutte le Antifone Maggiori, facendo cantare tutti : dai pakistani ai russi.
Nel paese si respirava una simpatica condivisione dell’iniziativa fino a quando sono subentrate delle ragazze, provenienti dall’ACR, che pur essendo mie ex alunne, nel frattempo erano state istruite dall’ACR per assumere il ruolo di “catechiste”.
Queste ragazze, che nel frattempo si erano "specializzate" nell'educazione catechistica dei ragazzi ACR, hanno incominciato a bollare il repertorio di musica sacra che insegnavo ai miei alunni con frasi tipo “ una lagna di vecchi” creando un forte scollamento mentale nei miei alunni che ha provocato il mio abbandono dell’iniziativa. Pur essendo la scuola ovviamente “laica” è stato troppo faticoso per me lottare all’interno ( con le colleghe che non amano la musica sacra) e all’esterno con le “catechiste” dell’ACR. ( Se poi assommiamo a queste mie personali battaglie anche la "lotta continua" per la musica sacra, degna di questo nome e per la celebrazione delle Sante Messe nel rito antico ...)
Nelle edizioni del 2008 e del 2009 ( ultimo concerto) le esecuzioni natalizie in canto gregoriano della mia scuola hanno avuto lo stesso titolo : “ Summorum Pontificum e la Musica Sacra tradizionale”.
Ho voluto “condividere” il video di Gloria TV sulla mia pagina Facebook .
Un amico, seminarista, quasi prete, ha commentato : “Va bè ma tanti di loro sono persone che non partecipano quasi mai alla Messa, anche se in alcune risposte ci può essere qualcosa di vero”.
Caro amico seminarista : mi capita spesso di chiedere ai miei ex alunni, che nell’estate hanno ricevuto il Sacramento della Cresima, cos’è la Messa e cos’è la Cresima… meglio dimenticare le loro risposte !
Difatti, sempre a commento del video, un altro amico , più realista, ha scritto : “ Niente di che meravigliarsi al giorno d'oggi. Purtroppo la colpa è della scarsa preparazione dei sacri ministri che,conseguentemente,non sanno trasmettere al Popolo Santo di Dio almeno quelle nozioni fondamentali della dottrina cattolica,sulle quali si fonda il nostro dirci ed essere cattolici. Il bello è che,a volte,ciò avviene perchè molti sacerdoti sono più impegnati nello giocare a dadi con gli scout anzicchè cimentarsi nella catechesi”.
Rivedo continuamente davanti a me il racconto disperato della povera catechista quarantenne di una grande cittadina costiera della mia regione che raggiunto dopo l’ora di dottrina il parroco, che stava tranquillamente a “provare” i canti con la chitarra e dopo aver buttato a terra il testo del catechismo ( CEI ) gli ha urlato : “ Io con questo non riesco a fare nulla! Me lo avete imposto e non va bene e tu lo sai!
Dopo la visione di questo sconvolgente video sento con vero sentimento di carità di dare un umile consiglio urgente ai vertici della Conferenza Episcopale Italiana: " trasferite subito gli esperti dei catechismi e dell'educazione della CEI traslandoli nelle scuole pubbliche e nelle aule di catechismo parrocchiali; fateli lasciare in fretta i comodi e caldi uffici che infondono una visione totalmente falsata dell'ambiente giovanile e parrocchiale !"
San Giovanni Bosco protegga i nostri giovani preservandoli anche dagli errori dei loro superficiali pastori !
A.C.


venerdì 11 novembre 2011

Lugano: stop della S. Sede a Mons. Grampa! Nessuna proroga "donec aliter provideatur."





cliccare sulle immagini per ingrandire e leggere


Come si apprende al sito Ticino on line, http://www.tio.ch/ si apprende che, secondo il Nunzio Apostolico per la Svizzera, le dimissioni del vescovo Piergiacomo Grampa (sito della diocesi di Lugano) saranno accettate con una certa rapidità dalla congregazione per i vescovi in Vaticano. Svanirebbe così la possibilità di un prolungamento del suo mandato. Grampa aveva rassegnato le dimissioni in seguito a raggiunti limiti di età (75 anni), imposti dal Codice di Diritto Canonico.
Si attende adesso la nomina del suo successore.
L'uscita di scena del Vescovo, comporterebbe, secondo i più informati, l'entrata in scena di Filippo Lombardi.

11.11.11. Il vero "cataclisma": l'assassinio della Cattedrale viene presentato a Reggio. E. La Curia cerca di replicare.

Sugli scempi alla Cattedrale di Reggio Emilia, si veda un nostro post.
Sul libro "Assassinio della Cattedrale" si veda qui.

Mons. Emilio Landini, vicario episcopale per le comunicazioni sociali, ha inviato a tutti i giornali provinciali cartacei e on line un comunicato ufficiale della Curia, che cerca di replicare alle giuste critiche mosse al Vescovo nel libro "Assassinio della Cattedrale".
Il Monsignore tenta un'inutile e vana difesa e "spiegazione" degli scempi inaccettabili e terribili inflitti alla Cattedrale (e ai fedeli) di Reggio Emilia (tra i più clamorosi: la rimozione dello storico altare maggiore, il posizionamento di una croce "artistica", lo spostamento fuori dal presbiterio della cattedra, la rimozione dei banchi per i fedeli dalla navata centrale!).
Le polemiche suscitate e le roventi critiche dell'autore, arch. Maccarini, son valse almeno a far fare alcuni -ma minimi - passi indietro alla Curia: "Al di là della pubblicazione, personalmente riconosco che inizialmente l’architetto ha dato un contributo, una sollecitazione a ripensare talune scelte presentate come definitive".
Un po' piccato il Monsignore ricorda una critica forte (e sicuramente provocatoria) mossa alla Curia, che si vede brucia davvero: quella di "eresia" cattoprotenstate rivolta al clero della cattedrale (e chi ha permesso questo "sventramento" della cattedrale emiliana).
Sicuramente fa ridere l'apologia episcopale finale, con cui il Vicario, forse vittima del suo ruolo, cerca di alzare uno scudo per difendere il Vescovo: "A Mons. Caprioli in Italia viene riconosciuta una particolare competenza nell’ambito teologico-liturgico. [ma davvero????? non sembrerebbe proprio, visto cosa ha permesso succedesse nella sua chiesa, n.d.r.]. A lui va riconosciuto anche il coraggio [noi lo chiameremmo "la colpa cosciente", n.d.r.] di avere apportato al progetto iniziale importanti varianti che privano di ogni fondamento le critiche più aspre. [quali, di grazia? n.d.r.]. Farebbe onore all’autore del volume un coraggioso gesto distensivo e “riparatore”, [ah sì? si chiede un gesto riparatore all'autore del libro che ha accusato le malefatte, e i responsabili di quelle si autoassolvono e si guardano bene dal compiere un passo indietro significativo? n.d.r.] per avere diffuso un’immagine deformata della Chiesa reggiana e per talune espressioni a dir poco irriguardose, contenute negli articoli di giornali o riviste nazionali parzialmente allegati in Appendice. [irriguardose son le opere indegne effettuate all'interno della cattedrale, dagli stessi preti autirizzandole e commissiandole, e non le parole di chi ha cercato di sensibilizzare i fedeli, e di stigmatizzare un'opera di sfacelo non solo architettonico ma anche liturgico-teologico dell'interno della chiesa, n.d.r.]

Trovate il testo integrale al seguente link, su "Reggio nel Web"

Qui, su "Il Giornale di Reggio" trovate un altro articolo sull'argomento.

Roberto

S. Messa a Ceccano

Domenica 13 novembre 2011 - alle ore 17:30
nella chiesa di San Nicola in Ceccano

SANTA MESSA nella Forma Extraordinaria del Rito Romano

celebrata da padre Maurizio Mallozzi O.F.M.
in suffragio particolare dell'anima del Prof. PIO FEDELE, nostro concittadino,
illustre docente universitario di Diritto Canonico, nato a Ceccano nel 1911 e morto nel 2004.

"Il canto gregoriano nel senso comune" di Giannicola D'Amico


Dal blog degli amici pugliesi http://ecclesia-mater.blogspot.com/2011/11/il-canto-gregoriano-nel-senso-comune.html propondo alla Vostra lettura un articolo del M° Giannicola D’Amico, Direttore della Schola Cantorum S. Cecilia di Monopoli; Autore del libro: Il canto gregoriano nel Magistero della chiesa, opportunamente recensito su MIL .
Ringrazio gli amici che cortesemente me lo hanno indicato . A.C.

“ Qualche sera fa, invitato a dire due parole circa il canto liturgico in occasione della presentazione a Monopoli dell’ultimo libro di don Bux, assistevo alla illustrazione dell’opinione del Vescovo diocesano, mons. Domenico Padovano, il quale non faceva mistero della sua contrarietà alle idee esposte nel libro.
Non entro nel merito di alcune questioni particolari sollevate dal Vescovo, cui risponderanno i liturgisti, ma vorrei soffermarmi sulle affermazioni del Presule circa il canto gregoriano, di cui ha detto “Una grande opera d’arte” ma ne ha negato l’utilità per via della lingua latina, quando esso fosse intonato, come avviene nelle nostre parrocchie, dalle “povere donne che non sanno nemmeno cosa cantano”.
Senza scomodare il rapporto corretto culto pubblico/devozioni private, il quale inerisce anche le questioni musicali (che qui è bene tralasciare, per brevità), bisogna dire con rincrescimento che il Vescovo, su questo punto, commette un errore che però, a sua discolpa, è oggigiorno frequente e comune.
E ciò sia detto col massimo rispetto per l'uomo e, soprattutto, per il ministero che esercita, verso il quale bisogna nutrire la più alta considerazione.
Nessuno al giorno d'oggi, soprattutto nel clero, si sogna di negare valore artistico al canto gregoriano, ma perlopiù gli si nega la sua natura liturgica primigenia e la sua stessa funzione ontologica, se non de jure (e ciò solo perché le fonti primarie del Magistero lo impediscono), almeno abbondantemente de facto.
Esso è, e resta, Parola di Dio cantata.
Ovvero: prima di essere un’opera d’arte è parte integrante e, in alcuni casi necessaria, della liturgia.
Si è totalmente capovolta la prospettiva esistente prima della riforma solesmense, quando il gregoriano – eseguito male o malissimo, trascritto anche peggio, non certo reputato al livello artistico della polifonia sacra o dello stile concertato ecclesiastico - era considerato cifra imprescindibile della liturgia e potente antemurale alle degenerazioni secolaristiche dei riti, veicolate perlopiù attraverso il canale della musica.
Tutto il lavoro esegetico compiuto in Europa sulle fonti del canto gregoriano, dagli anni Cinquanta del XIX sec., aveva ricostruito il volto vero del canto liturgico occidentale facendo recuperare allo sterminato repertorio quella facies estetica perduta nei secoli, senza cacciarlo dalla sua sedes materiae, ma anzi avvalorando l’idea che la Chiesa avesse sempre usato per “spiegare” la Parola di Dio e per rendere il culto nobile ed elevato, uno dei più stupefacenti, polimorfi e appropriati monumenti d’arte di tutti i tempi.
Oggi, dopo più di centocinquantanni di studi liturgici, paleografici, filologici, musicali, semiologici e semiografici, sortiti dall’opera di dom Prospero Gueranger (che non fu un musicista, ma un monaco e un eccelso liturgista) e dei suoi successori di Solesmes, per via di una erronea interpretazione delle disposizioni di quel Concilio Vaticano II che, nella Costituzione liturgica, invece, portò a coronamento le istanze solesmensi, auspicando ulteriori approfondimenti scientifici e più ampia diffusione pratica del gregoriano, assistiamo a questi evidenti sviamenti dovuti a quella che il S. Padre ha definito “ermeneutica della discontinuità”.
La normativa applicativa della Cost. Lit. Sacrosanctum Concilium non fa altro che ribadire questi concetti e anche documenti magisteriali in materia contigua chiarificano il tema.
Mons. Padovano ha ragione a dire che spesso il popolo, nel cantare latino e gregoriano poco o nulla “comprende”.
Ma è sufficiente questo per abolirlo?
Di questo passo si sopprimerebbe la Comunione perché i fedeli perlopiù, con le categorie della ragione o della cultura che hanno, non capiscono la transustanziazione delle SS. Specie.
Si dovrebbe pure abolire la Messa, o riservarla a quei pochi che ne comprendono la intima natura aldilà del semplice dato rituale o precettizio, e si dovrebbe infine mandare in soffitta la dottrina e la dogmatica: quanti riescono a padroneggiare con cognizione di causa l’inabitazione dello Spirito Santo, oppure la immacolata Concezione di Maria?
Ci sarà una ragione per cui la Chiese mantiene ed incrementa tutte queste cose: sono le stesse ragioni per cui il Magistero continua ad indicare nel canto gregoriano la principale voce cantata della liturgia, ovvero che la comprensione esclusiva mediante i sensi e la ragione in subiecta materia non è tutto per la salvezza delle anime, anzi, come canta il Tantum ergo, opportunamente citato dal Vescovo, sarà proprio che “Praestet fides supplementum sensuum defectui”.
Forse il pensiero recente di alimentare questa fede con “cibo” esclusivamente razionale ed ordinario, va rivisto: su queste basi nessuna cattedrale sarebbe stata edificata, nessun mosaico d’oro sarebbe stato composto, nessuna messa polifonica sarebbe stata musicata.
Eppure la Chiesa ha sempre apprezzato, favorito ed utilizzato tali strumenti di evangelizzazione: oggi, però, fa fatica a ri-appropriarsi di queste categorie, confidando in più “aggiornate” strategie pastorali e catechetiche, che quasi sempre relegano le arti liturgiche, o a messaggi pressoché extra-religiosi (le arti dello spazio) o a banalizzazioni che assecondino puramente il nostro povero quotidiano (la musica, arte del tempo).
Forse i motivi pastorali che presiedono al ragionamento di mons. Padovano, dovrebbero essere corroborati - sia detto senza critica al Vescovo che ha espresso la sua opinione liberamente e soprattutto in modo molto chiaro, e di ciò gli va dato pienamente atto - da una maggiore osservanza del Magistero, pontificio e conciliare, della Tradizione della Chiesa e delle norme che presiedono alla celebrazione dei riti.
Il fatto che la Chiesa discuta di ciò è un bene: è viva e non guarda alla limitatezza della sua condizione terrena e presente.
Mi sia permesso dire infine che un criterio strettamente musicale ci permette pure di preferire il semplice canto gregoriano – magari opportunamente accompagnato dall’organo, perché, ad onta dei puristi, anch’esso va inculturato alle realtà parrocchiali, senza pretendere di replicare ovunque la temperie sonora del coro monastico - ai canti che da alcuni decenni si sono gradualmente inseriti nelle nostre liturgie, sul cui livello artistico medio ci sarebbe molto da eccepire, sull’ortodossia dei cui testi a volte è meglio sorvolare, come parimenti sulla loro effettiva partecipabilità da parte di tutti i fedeli che finiscono, a volte, per comprendere poco o nulla egualmente, pur ascoltandoli in italiano (senza dire dei molti canti in inglese, spagnolo, ebraico che ormai saltabeccano qua e là al posto delle antifone).
Se si riacquisisce al senso comune ciò che la legge liturgica prevede e una splendida Tradizione ci ha consegnato, si potrà evitare di confinare il gregoriano nel pur benemerito limbo dei concerti e riportarlo a casa sua, ovvero a servizio e coronamento del Culto divino.
Sarà eseguito poco raffinatamente, come al contrario auspica mons. Padovano memore dell’esempio benedettino in diocesi, che ha giustamente citato, sarà poco compreso dal popolo, che sbaglierà desinenze e ornerà di portamenti le melodie, ma starà al posto suo e ciò non potrà che giovare all’ordine naturale delle cose!
Anche quando si celebra con il Messale di Paolo VI”.

L'Assoc. Cattolica "Tu es Petrus" premi i Cardinali Koch e De Giorgi

ASSOCIAZIONE CATTOLICA TU ES PETRUS
conferisce i
Premi Internazionali ‘Testimoni di Santità’ e ‘Veritas in Charitate’
agli Em.mi e Rev.mi Signori Cardinali,
Kurt Koch Presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani
e Salvatore De Giorgi Arcivescovo emerito di Palermo.
presso il

Santuario ‘Santa Maria della Speranza
di Battipaglia

il 19 Novembre 2011 ore 17:30

Presenzierammo Sua Em.za Rev.ma il Sig. Cardinale José Saraiva Martins.
Presidente Onorario di ‘Tu es Petrus’, e il fondatore dell’Associazione, Gianluca Barile.

Il programma ufficiale e l’elenco dei premiati.
Spiccano i nomi di luminari della Medicina e di Alte Autorità Civili e Militari
provenienti da tutta Italia
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Questi gli ambiti riconoscimenti che ogni anno l’Associazione Cattolica Internazionale ‘Tu es Petrus’ attribuisce alle personalità del mondo ecclesiastico che si sono particolarmente distinte per la loro fedeltà alla Chiesa e al Papa.
Nell’occasione, il Cardinale Koch terrà una Lectio Magistrali su: “L’impegno ecumenico di Benedetto XVI”, mentre i Cardinali De Giorgi e Saraiva Martins si soffermeranno, il primo, sulla Divina Misericordia nel Magistero del Beato Giovanni Paolo II e dell’attuale Pontefice e, il secondo, sull’Enciclica ‘Caritas in Veritate’.
Sono inoltre previste una relazione del Presidente Barile sulla Cattedra di Pietro e l’Infallibilità Pontificia, una di Padre Ezio Miceli dal titolo: ‘Ave Maria Spes Nostra’ ed una di Sante De Angelis, Presidente dell’Accademia Bonifaciana di Anagni, sulla figura di Papa Luciani.
A seguire, verrà conferita l’Onorificenza ‘Veritas in Charitate’ a numerose personalità della società civile, del mondo militare, delle Istituzioni, dell’imprenditoria e della Medicina.
Tra i premiati:
- il Prefetto Salvatore Festa, Responsabile dell’Ufficio di Coordinamento tra la Santa Sede e il Ministero dell’Interno;
- il Questore Pasquale Ciullo, Direttore del Servizio Sovrintendenti, Assistenti ed Agenti presso la Direzione centrale per le risorse umane del Ministero dell’Interno;
- il Dottor Ferdinando Rossi, Primo Dirigente della Polizia di Stato;
- il Professor Giuseppe Di Benedetto, Primario del Reparto di Cardiochirurgia dell’Ospedale ‘San Leonardo’ di Salerno;
- il Professor Felice Giuliante, Dirigente Medico della Struttura di Chirurgia Generale ed Epatobiliare del Policlinico ‘Agostino Gemelli’ di Roma;
- il Dottor Vincenzo Mallamaci, Presidente dell’Associazione ‘E ti porto in Africa’;
-la Dottoressa Adriana Esposito, Presidente dell’Associazione ‘Primavera’,
- l’intera Compagnia Carabinieri di Battipaglia, guidata dal Capitano Giuseppe Costa;
- la locale Tenenza della Guardia di Finanza.
Verrà infine sottoscritto un Gemellaggio tra l’Associazione ‘Tu es Petrus, nella persona del Presidente Barile, e l’Associazione ‘Giovanni Palatucci’, nella persona del Responsabile provinciale, il Vice Questore Antonio Pagano.
In mattinata, alle ore 09.30, i Cardinali Koch e De Giorgi si recheranno dapprima a Pagani, dove saranno accolti dal Vescovo di Nocera Inferiore-Sarno, S. Ecc.za Monsignor Giuseppe Giudice, e dai padri Redentoristi, per pregare sulla tomba di Sant’Alfonso Maria de’Liguori, e poi a Salerno, per rendere visita all’Arcivescovo, S. Ecc.za Monsignor Luigi Moretti, e pregare sulle tombe di San Matteo Apostolo e di San Gregorio VII.
Battipaglia, dunque, grazie all’impegno dell’Associazione ‘Tu es Petrus’, si conferma una Città d’eccellenza in campo religioso. Dal 2005 ad oggi, infatti, l’Associazione ha già ospitato, per il conferimento dei propri Premi, gli Em.mi Signori Cardinali: Raymond Leo Burke; Angelo Comastri; Crescenzio Sepe; Giovanni Lajolo; Renato Raffaele Martino; Clàudio Hummes; Dario Castrillòn Hoyos; Francis Arinze; Paul Poupard; Francesco Marchisano; Andrea Cordero Lanza di Montezemolo e, naturalmente, José Saraiva Martins.
Ne deriva che ai piedi di ‘Santa Maria della Speranza’, Patrona di Battipaglia, si siano fatti pellegrini, in appena sei anni, tanti di quei Cardinali, primi collaboratori del Papa, quanti difficilmente, nello stesso arco di tempo, si possano mettere insieme in luoghi di culto mariani ben più importanti e conosciuti. Un merito che non può non essere riconosciuto all’Associazione ‘Tu es Petrus’, le cui attività e finalità è possibile conoscere meglio consultando il sito Internet: http://www.tuespetrus.it/.