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I politici italiani temono la diffusione della "febbre egiziana"

Di Marianne Arens
14 febbraio 2011

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Questo articolo è stato precedentemente pubblicato intedesco l'8 febbraio 2011 e in inglese il 9 febbraio 2011

Le rivolte in Tunisia ed Egitto stanno causando preoccupazione nella maggioranza quanto nell'opposizione. Entrambe temono che la "febbre egiziana" possa diffondersi anche in Italia.

Tradizionalmente, le relazioni economiche e geo-strategiche con i paesi del Maghreb e del Nord Africa sono da lungo tempo strette, in particolare con la Libia, ex colonia italiana, che fornisce gas e petrolio e controlla il flusso dei rifugiati provenienti dall'Africa. Ma l'Italia ha anche stretti rapporti con l'Egitto e la Tunisia, infatti è il partner economico più importante dell'Egitto e i suoi porti sono una via importante di trasbordo per petrolio greggio, prodotti petroliferi, cotone, tessuti, metalli e prodotti chimici per l'intera Europa.

Per giorni e giorni, i politici in Italia hanno tentato di minimizzare gli eventi in Egitto, nel tentativo di tenere lontano la classe lavoratrice italiana da tali eventi, per quanto possibile.

Il primo ministro Silvio Berlusconi e i suoi ministri lo hanno fatto in maniera piuttosto goffa. Nel corso della recente riunione UE a Bruxelles, Berlusconi ha lodato la "saggezza" di Hosni Mubarak, che egli considera come un garante fondamentale della stabilità in Nord Africa. "È stato sempre considerato l'uomo più saggio ed un punto di riferimento preciso per tutto il Medio Oriente" ha detto.

Alla domanda dei giornalisti se Mubarak dovrebbe dimettersi, Berlusconi ha detto "Non posso rispondere perche' c'è molta differenza tra cosa pensa un popolo di 80 milioni di egiziani e un milione o due milioni che sono in piazza".

Il ministro degli esteri, Franco Frattini, ha detto che augura al popolo egiziano una "transizione ordinata" verso una maggiore democrazia, ma ciò che è più importante è di "contrastare ogni fenomeno di violenza e anche di deriva islamista radicale". L'esercito deve garantire il ritorno alla pace, ha detto. "La stabilità dell'Egitto è fondamentale anche per l'economia e i commerci nel Mediterraneo e quindi con l'Europa". Se Mubarak si dimettesse domani, potrebbe scoppiare il caos, ha dichiarato Frattini.

Il ministro dell'Interno, il Leghista Roberto Maroni, di ritorno da una riunione dei ministri europei a Cracovia, in Polonia, ha dichiarato che le rivolte nel Maghreb potrebbero alimentare la minaccia del terrorismo in Europa. Membri di al-Qaeda potrebbero nascondersi in un nuovo flusso di rifugiati in Europa. "Abbiamo discusso della situazione calda dei paesi del nord Africa che comporta rischi rilevanti per l'Europa", ha detto Maroni. "Siamo molto preoccupati per ciò che sta avvenendo nei Paesi della sponda Sud del Mediterraneo". Mentre i ministri degli esteri hanno intrapreso iniziative diplomatiche, i ministri degli interni hanno "attivato i sistemi di allarme". La vigilanza è "altissima".

I politici dell'opposizione di centro-sinistra non sono meno preoccupati per una possibile diffusione delle rivolte. Stanno cercando di assicurare che la stabilità sia ripristinata al più presto in Egitto.

Il leader del Partito Democratico (PD), Pier-Luigi Bersani, dà particolare importanza al merito delle iniziative prese dall'UE, intese ad incentivare un trasferimento pacifico del potere. L'Italia dovrebbe svolgere un ruolo importante a questo proposito, Bersani ha detto, aggiungendo che l'Italia è il "paese che [è] geograficamente, storicamente, culturalmente più vocato a svolgere un ruolo in quell'area per e con l'UE. "Siamo i primi o i secondi partner commerciali di tutti quei paesi".

La stessa linea è adottata da Nichi Vendola, ex leader di Rifondazione Comunista e governatore della Puglia. Mentre i governi europei mascherano la loro stretta collaborazione con gli Stati Uniti, il regime di Mubarak e i leader dell'esercito egiziano dietro frasi come "transizione pacifica alla democrazia", il portavoce di Vendola, Gennaro Migliore fomenta illusioni nella UE dichiarando: "Chiediamo che l'Italia, assieme tutti i Paesi dell'Unione europea, esprima una ferma condanna della repressione in corso in Egitto e che operi concretamente in sostegno ad un rinnovamento democratico in linea con le legittime aspirazioni di quel popolo".

Nel frattempo, il portavoce degli Affari Esteri di Rifondazione Comunista, Fabio Amato, ha avvertito i suoi colleghi politici, "Senza una profonda e radicale messa in discussione delle politiche liberiste quelle mediorientali saranno solo le prime rivolte di una lunga serie. Che non è detto non possano attraversare il Mediterraneo e arrivare anche sulle nostre sponde".

La più grande paura che ossessiona i politici, più del terrorismo, è che i lavoratori italiani possano intraprendere la lotta di classe. Ciò includerebbe non solo il milione di nordafricani in Italia, tra i lavoratori più emarginati e sfruttati, ma tutta la classe lavoratrice.

L'Italia è uno dei paesi in cui le disparità di reddito sono cresciute notevolmente negli ultimi 10 anni come dimostra uno studio del 2008 dell'OCSE. Circa il 20 per cento delle famiglie italiane oggi vive al di sotto della soglia di povertà di € 500 al mese. Un giovane su quattro è disoccupato, e al sud uno su tre.

I politici, le banche e i rappresentanti della borghesia stanno palesemente spingendo verso "riforme" più liberiste per distruggere ciò che resta del welfare. Il costo della crisi finanziaria del 2008 e il gigantesco deficit dello stato che essa ha prodotto vengono scaricati sulla classe lavoratrice.

Il governo sta lavorando alacremente per realizzare nuove leggi a favore delle grandi imprese. A tal fine, Berlusconi vuole modificare l'articolo 41 della costituzione italiana. Questo articolo, frutto delle lotte della classe lavoratrice nel periodo post-bellico, afferma che l'economia si deve sviluppare solo in conformità con la sicurezza, la libertà e la dignità umana dei cittadini italiani.

Berlusconi propone di modificare questo articolo interamente nell'interesse della libera economia di mercato. Come dice lui, una "vera rivoluzione liberale vuol dire liberare l'Italia dalla mentalità statalista" e creare "zone a burocrazia zero".

I nuovi contratti Fiat a Torino e Napoli sono in questa direzione. Significano un enorme aumento dello sfruttamento, divieto di sciopero, e l'abolizione dei precedenti contratti di lavoro. I nuovi contratti sono stati accolti dal Governo e da Confindustria come un cambiamento storico nei rapporti di classe.

Un altro grande colpo del governo è la nuova legge sul "federalismo", che darà alle regioni maggiore autonomia finanziaria. La legge rappresenta un altro duro attacco ai diritti sociali, in particolare ai lavoratori nel sud Italia. La Lega Nord ne vuole l'attuazione, altrimenti chiederà nuove elezioni. Per lungo tempo, è stato l'obiettivo della Lega Nord quello di chiedere la separazione del più ricco nord dalle regioni povere del sud. Stanno cercando di ottenere questo obiettivo alla ricorrenza del 150esimo anniversario dell'unità d'Italia.

Dalla rottura con Gianfranco Fini, Berlusconi non ha più avuto una maggioranza stabile in parlamento. Come risultato, la nuova legge sul federalismo è stata respinta giovedì da una commissione parlamentare. Il governo l'ha comunque convertita in legge tramite decreto d'urgenza. Sabato, il capo dello Stato Giorgio Napolitano ha rifiutato di firmare la nuova legge e l'ha rispedita al Parlamento.

La scorsa settimana, in una lettera al Corriere della Sera, Berlusconi ha offerto di collaborare con l'opposizione sulla questione del "mostruoso deficit nazionale". Ha ricordato che "dal momento che il segretario del PD è stato in passato sensibile al tema delle liberalizzazioni, propongo a Bersani di agire insieme in Parlamento, in forme da concordare, per discutere senza pregiudizi ed esclusivismi un grande piano bipartisan per la crescita dell'economia italiana".

Bersani ha declinato l'offerta. Il PD sta raccogliendo 10 milioni di firme contro Berlusconi. Bersani è intenzionato a creare una "grande coalizione", ovvero un "Terzo Polo", che comprenda il democristiano Pier Ferdinando Casini, l'ex-democratico Francesco Rutelli e l'ex-fascista Gianfranco Fini. Questa formazione, appena rinominata "Nuovo Polo per l'Italia", è lo strumento attraverso il quale Fini vuole rimpiazzare Berlusconi.

Politicamente, una simile coalizione "destra-sinistra" che includa i democratici non si distinguerebbe dal precedente governo. Tuttavia sarebbe meno gravata da scandali sessuali e corruzione rispetto al governo Berlusconi, e quindi più in grado di imporre gli attacchi ai salari e al welfare richiesti dalle grandi imprese.

Non c'è un solo partito che rappresenta gli interessi della classe lavoratrice. Questo vuoto politico è esplosivo, soprattutto se posto in relazione alle continue proteste contro gli attacchi al welfare e contro il governo in generale.

Lo scorso 28 gennaio, i funzionari sindacali hanno indetto uno sciopero simbolico di otto ore da parte dei lavoratori Fiat in tutto il paese. Tuttavia, i lavoratori hanno zittito i rappresentanti della CGIL e del sindacato FIOM chiedendo la convocazione di uno sciopero generale. Lo scorso fine settimana, decine di migliaia hanno manifestato contro Berlusconi a Milano e Firenze. I manifestanti lo hanno paragonato a Mubarak e hanno chiesto le sue "dimissioni immediate". Importanti scrittori come Umberto Eco e Roberto Saviano hanno anch'essi partecipato alle proteste.

Con il giornalista Marco Travaglio e il comico Beppe Grillo, il giornalista Michele Santoro vuole stabilire un nuovo gruppo politico alla fine del mese e partecipare a nuove possibili elezioni. "L'attuale centro-sinistra, su questa battaglia cruciale", si legge nel suo comunicato, "ha sistematicamente alzato bandiera bianca, dunque non è in grado di rappresentarci".

Tali iniziative non vanno oltre la lotta contro il "Berlusconismo" e non offrono alcuna prospettiva per la classe lavoratrice. Tuttavia, esse dimostrano il fallimento totale della cosiddetta opposizione, in particolare del Partito Democratico, emerso 20 anni fa dalle ceneri dello stalinista Partito Comunista Italiano. Da allora, i Democratici sono stati due volte al governo sostenuti da Rifondazione Comunista, e ogni volta hanno implementato politiche di privatizzazioni e attacchi contro i lavoratori che come conseguenza hanno causato il ritorno di Berlusconi al potere.

È ora che la classe lavoratrice consapevolmente rompa con la politica borghese e nazionalista degli ex-stalinisti, dei sindacalisti, dei socialdemocratici e dei pablisti, e si riorganizzi sulla base di una prospettiva internazionale e socialista. Gli sviluppi rivoluzionari cominciati con le lotte nel Nord Africa stanno creando condizioni del tutto nuove anche in Italia.