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Il credo di Giovanni Paolo II: le religioni non sono tutte uguali

di Rai Vaticano | 25 Ottobre, 2011

 

INTERVISTA AL CARDINALE ROGER ETCHEGARAY

Fu il cardinale più vicino a Giovanni Paolo II nell’Incontro Interreligioso di Assisi del 27 ottobre 1986  in qualità di presidente del Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace. Oggi ha 89 anni e ha un ricordo vivo  dello storico evento di cui fu regista.

 

Che cosa è stato per lei il 27 ottobre 1986?   
Quell’evento ha nutrito tutta la mia vita, perché il Papa mi aveva affidato il grande e delicato compito di organizzare l’Incontro Interreligioso di Assisi senza nessun riferimento a un evento simile del passato. C’era tutto da inventare, e non era facile.

Di che cosa era più preoccupato Giovanni Paolo II?
Di evitare il sincretismo religioso, cioè di arrivare a pensare che tutte le religioni sono uguali. Non bisogna poi dimenticare che era il tempo della guerra fredda. L’Europa era divisa dal muro di Berlino e  c’era anche la minaccia della guerra nucleare. Giovanni Paolo II è stato, prima di tutto, l’uomo del dialogo con il Signore.

La preghiera di Assisi è stata premiata quanto alla caduta dei muri, ma non sembra altrettanto quanto alle guerre, agli scontri interreligiosi, al martirio dei cristiani!
È vero. Sotto questo aspetto oggi stiamo peggio di venticinque anni fa. Però, avendo conosciuto durante la mia vita tante situazioni difficili nei vari continenti, posso dire che l’umanità, nonostante le sue sofferenze, ancora spera.

Dunque è valsa la pena fare l’Incontro di Assisi?
Sì, e oggi ancora di più. Benedetto XVI è sulla stessa linea del suo predecessore. Egli è convinto che senza la preghiera non si può raggiungere una pace durevole.

Però quel 27 ottobre di 25 anni fa Papa Ratzinger, che allora era Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ad Assisi non c’era!
Sì, e i giornalisti avevano molto sottolineato la sua assenza, ma posso dire che l’allora cardinale Ratzinger non era contrario all’Incontro, e lo so perché avevo parlato con lui di questo. Egli non sottovalutava alcuni rischi, ma non aveva una riserva di principio.

Rischi di sincretismo, poi superato dottrinalmente con la Dichiarazione “Dominus Jesus” da lui stesso firmata, purtroppo però non sradicati del tutto!
E’ vero, mi accorgo che alcuni ancora non capiscono, ma ho grande fiducia nella Chiesa di oggi e di domani.
 
Dello storico Incontro di Assisi di 25 anni fa che cosa le è rimasto più impresso?
Ricordo che alla fine di quella giornata, quando eravamo ospiti del Sacro Convento, il Papa parlava liberamente come con un fratello con i vari leader religiosi. Ad un certo punto è venuto da me e ha detto: “Stamane il tempo era un po’ grigio, ma alla fine della mattinata abbiamo visto un arcobaleno sopra la città. E’ stato il segno che Dio ha voluto darci della sua riconoscenza per questo evento audace.

È vero che quel giorno ha pianto?
Sì, è vero. Quando tutti i leader religiosi erano in piazza, e a causa del freddo si erano stretti come un corpo solo, alcuni giovani ebrei,  stringendo tra le mani una pianta di ulivo, hanno scavalcato le transenne e sono corsi ad abbracciare i musulmani. A quel punto ho pianto perché vedevo realizzarsi l’unità della famiglia umana.

Vito Magno

 

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Una nuova opportunità sanitaria per claustrofobici e obesi

di Rai Vaticano | 24 Ottobre, 2011

«Il cielo in una stanza» può essere anche il modo migliore per superare una serie di ritrosìe verso il ricorso all’esame di Risonanza Magnetica. Vedremo più avanti il perché di questa immagine che evoca note musicali famose, capaci di distogliere il rumore tipico di una RM. E’ indubbio, infatti, che uno dei fattori principali di riluttanza sia costituito dal numero considerevole di pazienti claustrofobici (tra i 5 e il 7 per cento della popolazione), spesso anche mal istruiti sulla reale dinamica dell’esame. E, in ogni caso, tenuti distanti da un’informazione tecnologica che nel settore ha portato a novità sostanziali e rassicuranti. Anche per un altro segmento di popolazione in forte crescita nel nostro Paese: quella degli obesi (più di 4 milioni di persone).

New entry nel panorama della Diagnostica per immagini è il rivoluzionario sistema di Risonanza Magnetica Siemens Magnetom Espreee (accreditato presso il Servizio Sanitario Nazionale), primo tomografo a risonanza magnetica aperta, ad alto campo, che permette di effettuare esami diagnostici con la più moderna tecnologia oggi esistente: essa – in funzione presso la «Nuova Villa Claudia» – è in grado di captare un segnale fino a quattro volte maggiore rispetto ai classici sistemi di Risonanza Magnetica aperta. Il risultato è quello di una situazione ad hoc per pazienti claustrofobici e obesi (il tunnel è largo ben 70 cm e consente lo studio di persone fino a 250 kg.). E la scenografia del Reparto – grazie a un quadro di luce ricavato sul controsoffitto, con l’effetto cromatico di un cielo – completa l’intento di ofrire al paziente un ambiente distensivo in generale, e decisivo per le categorie appena ricordate, riluttanti verso esami di questa natura patologicamente o per motivi di pura istintività, come nel caso della fascia di utenza pediatrica. Anch’essa fortemente interessata al tipo di esame in oggetto.

L’inaugurazione del nuovo reparto di Diagnostica per Immagini avverrà mercoledì 26 ottobre 2011 alle ore 18 in via Flaminia Nuova 280, a Roma, e sarà preceduta da una liturgia officiata da monsignor Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari.
 

Informazioni: 06 85354895
sito Internet:
www.nuovavillaclaudia.it
email: direzione@nuovavillaclaudia.it

 

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L’amore della mia vita

di Rai Vaticano | 24 Ottobre, 2011

Sono passati alcuni giorni ma mi ritorna in mente l’immagine della statua della Madonna distrutta dai manifestanti “indignados” o da infiltrati nella manifestazione. Chi sia stato non importa: qualcuno ha sentito il bisogno di distruggere un’immagine di Maria. A dir la verità la statua non era molto bella, si poteva anche pensare di distruggerla per farne una più dignitosa. Ma quel che conta è l’intenzione di eliminare l’icona della Vergine.

Appena l’ho vista, giacente per terra distrutta, ho provato soltanto un po’ di compassione per la stupidità umana. Ma quell’immagine mi tornava in mente. Mi ricordava quel racconto ottocentesco del figlio cattivo che assassina la madre, le strappa il cuore e  scappa. A un certo punto inciampa, cade e sente la voce di quel cuore che gli dice “ti sei fatto male figlio mio?”. Lasciamo stare il buon gusto di una novella del genere. Il significato ultimo resta: una madre è sempre una madre. E Maria è la madre per eccellenza e sento che il suo cuore palpita anche per l’indignato scemo che ha fatto quel gesto.

Poi mi è venuto in mente che anch’io nella mia vita ho fatto dispiacere la Madonna. Mi sono venute le lacrime agli occhi e mi sono visto come l’autore di quel gesto. Anch’io sono stato scemo, ancora più scemo dell’indignato. Per fortuna ho pensato che la Madonna non si indigna, Maria ci svela il volto materno di Dio e pensa al male che facciamo a noi stessi quando non pensiamo a Lei. E le ho detto: “Tu sei l’amore della mia vita”.

Pippo Corigliano

 

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Demografia, tutto da rifare

di Rai Vaticano | 23 Ottobre, 2011

Quand’ero giovane, c’erano in Italia due grandi temi che appassionavano, o almeno così sembrava, l’opinione pubblica: il divorzio e, sulla spinta del ’68, il controllo delle nascite. Un tema, quest’ultimo, che aveva visto scatenare intorno a Paolo VI, per la pubblicazione dell’enciclica Humanae Vitae appunto nel 1968, una ignobile campagna denigratoria, anche all’interno della stessa gerarchia.

In quegli anni, molti, cosiddetti intellettuali, sentenziavano dalle pagine di prestigiosi giornali, radio e tv (ancora non c’era internet) sull’importanza di una pianificazione familiare. Simbolo di questa nuova battaglia culturale divenne la “pillola”, vero toccasana, come si affermava, per la felicità coniugale. Avere dei rapporti intimi senza il fastidio di un figlio era il massimo che la moderna ricerca scientifica poteva offrire alla serenità della coppia.

Per giustificare tutto questo bisognava però anche cambiare la natura della famiglia, almeno come fino ad allora era stata concepita. Si cominciò quindi a parlare del valore morale delle cosiddette “famiglie allargate” – di lì a poco sarebbe arrivato anche da noi il divorzio - biasimando le famiglie numerose, considerate quanto di più retrogrado potesse esistere per una moderna società. Sicuramente, era lo slogan, sarebbe stato preferibile avere pochi bambini, meglio se uno, per poterli accudire e renderli felici, piuttosto che averne tanti, con la difficoltà di farli crescere in maniera sana. Dunque, meno figli uguale più benessere e libertà per tutti, specialmente per la donna. Con questo assioma si è arrivati, ovviamente, a giustificare la legge sull’aborto.

Altro argomento molto gettonato, riguardava in modo simile la popolazione che cresceva vertiginosamente. Arriverà un tempo, così si profetizzava, che non saremo più in grado, come società civile, di dare lavoro e servizi a tutti: si lasciava intendere, come in un vecchio adagio popolare, che “meno siamo e più mangiamo”. Una nazione con pochi cittadini, si prendeva ad esempio la Norvegia o Svezia, era molto più ricca e con servizi migliori che non la nostra retrograda Italia con cinquanta milioni, allora, di abitanti.

Oggi, dopo quasi quarant’anni, ci si accorge che questi concetti demografici sono quanto di più sbagliato possa esistere, sia da un punto di vista sociale sia economico. Ci si è accorti che la popolazione invecchia e che il controllo delle nascite, anche nei Paesi in via di sviluppo, ha ottenuto il risultato di produrre l’assenza di un vero ricambio generazionale. La popolazione invecchia, gli over 65 e 80 anni saranno, fra meno di quarant’anni, quasi la metà della popolazione e ciò e previsto anche per molti Paesi europei, con il problema, solo per citarne uno, delle pensioni: chi le pagherà?

La Cina, la locomotiva economica del mondo, nel 2050 conterà un quarto della popolazione oltre i 65 anni, la Russia più di un quinto e in Giappone, il Paese più vecchio al mondo, nel 2050 gli over 65 saranno addirittura il 36.5%. Susan Yoshihara, del “Catholic family and human rights Institute” di New York ha rivisto, in maniera allarmante, la situazione odierna contro le previsione di appena due anni fa elaborate dalle Nazioni Unite sulla crescita di popolazione nel mondo. Un’analisi, per  togliere ogni ipotesi confessionale, confermata anche da una ricerca dell’Asian Development Bank, secondo cui, tra l’altro, il successo economico della Cina “alimentato dal dividendo demografico” conoscerà nel prossimo futuro seri problemi.

“Anche usando le proiezioni sulla fertilità, altamente ottimistiche, le previsioni Onu presentano un mondo molto più grigio di quello previsto nel 2009” scrive la ricercatrice. “Il fatto che nel report del 2011 le proiezioni di invecchiamento per la metà del secolo siano più severe di quelle di un anno fa, è reso più drammatico dalla corcostanza che quest’anno i demografi dell’Onu hanno deciso di basarsi su un tasso di fertilità di 2.1 bambini per donna, per cui oltre il livello di rimpiazzamento, per ogni Paese al mondo. In precedenza si basavano sul tasso di 1.85 bambini per donna, al di sotto della soglia di rimpiazzamento” (fonte Asia News).

Insomma dopo un lungo viaggio ideologico durato quarant’anni attraverso demografia, dopo il quale si è affermato che siamo troppi, che la Terra non è in grado di sostenerci tutti, che una popolazione numerosa inquina troppo e altre amenità del genere, scopriamo che non è vero nulla! La popolazione della Terra invecchia, in maniera esponenziale, non c’è, particolarmente nei Paesi di alta industrializzazione, un rinnovamento delle genrazioni più giovani, con il risultato di avere le nazioni e le loro economie totalmente sguarnite ed alla mercé di Paesi più giovani.

Forse è giunto il momento di credere di più nella famiglia e nei figli, vera provvidenza della società. Non tanto perché lo dice la Chiesa, ma per il buon senso. Merce, purtroppo, molto rara tra gli intellettuali di oggi.

Antonello Cannarozzo

 

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Don Luigi Guanella e l’opera della Provvidenza

di Rai Vaticano | 22 Ottobre, 2011

La Provvidenza divina conosce gli enigmi del mondo, sa che cosa c’è nel cuore dell’uomo e che cosa gli riserva l’avvenire. La Provvidenza divina esiste. E sceglie i più umili, i più poveri, i più abbandonati. Spesso si serve di braccia amorose di fratelli, di cuori generosi pronti a spendersi nel nome di Dio, che è sempre Padre provvidente e buono. E fu così che la sera del 5 aprile del 1886, mentre il cielo si tingeva di scuro, una piccola barca con poche masserizie, due suore e alcune orfanelle salpò dall’imbarcadero di Pianello Lario per raggiungere Como. Un prete montanaro gettava il primo granellino di senapa di una grande opera: quel prete era Luigi Guanella e l’opera era la Casa della divina Provvidenza, che poi diventerà la Casa Madre delle due Congregazioni, quella femminile e quella maschile, da lui fondate, le Figlie di S. Maria della Provvidenza e i Servi della Carità.

Solo un visionario, ma un visionario profondamente innamorato di Dio, poteva credere a un inizio così povero per la sua attività apostolica che a taluni poteva sembrare pazzia. Ma di questi pazzi di Dio è fatta la storia della Chiesa cattolica dalle origini fino ad oggi, e don Guanella – che questo mese di ottobre sale alla gloria degli altari come santo – si inserisce in questo fiume sotterraneo e glorioso che innerva il mondo sotto ogni cielo e latitudine.

Nevicava quel giorno che venne alla luce, il 19 dicembre 1842, a Fraciscio di Campodolcino in Val San Giacomo (Sondrio). In quella conca alpina trascorse l’infanzia fino all’età di dodici anni, quando ottenne un posto gratuito nel collegio Gallio di Como, per poi proseguire gli studi nei seminari diocesani (1854-1866). Ogni volta che tornava al suo paese per le vacanze autunnali il giovane seminarista si immergeva nella povertà delle valli alpine, passava il suo tempo libero a interessarsi dei bambini e degli anziani e ammalati del paese. Fu ordinato sacerdote il 26 maggio 1866.

Entrò con entusiasmo nella vita pastorale in Valchiavenna (Prosto, 1866 e Savogno, 1867-1875) e, dopo un triennio salesiano, fu di nuovo in parrocchia in Valtellina (Traona, 1878-1881), per pochi mesi a Olmo e infine a Pianello Lario (Como, 1881-1890). Fin dagli inizi a Savogno rivelò i suoi interessi pastorali: l’istruzione dei ragazzi e degli adulti, l’elevazione religiosa, morale e sociale dei suoi parrocchiani, con la difesa del popolo dagli assalti del liberalismo e con l’attenzione privilegiata ai più poveri. Non disdegnava interventi battaglieri, quando si vedeva ingiustamente frenato o contraddetto dalle autorità civili nel suo ministero, così che venne presto segnato fra i soggetti pericolosi (“legge dei sospetti”). Nel frattempo a Savogno approfondiva la conoscenza di don Bosco e dell’opera del Cottolengo; invitò don Bosco ad aprire un collegio in valle, ma non potendo realizzare il progetto, don Guanella ottenne di andare da lui per un certo periodo.

Richiamato in diocesi dal Vescovo, aprì in Traona un collegio di tipo salesiano, ma anche qui venne ostacolato. Le autorità politiche non vedevano di buon occhio l’iniziativa benefica e consideravano don Guanella “un prete sovversivo venuto in Valtellina dalla scuola di don Bosco con l’idea di popolare la valle di preti, frati e monache”. Così gli fu imposto di chiudere il collegio. Fu mandato per un po’ di tempo ad Olmo, una delle parrocchie più isolate della diocesi dove si pensava che potesse dare meno noia. Successivamente a Pianello poté dedicarsi all’attività di assistenza ai poveri, rilevando l’Ospizio fondato dal predecessore don Carlo Coppini, con alcune orsoline che organizzò in congregazione religiosa (Figlie di S. Maria della Provvidenza) e con queste avviò la Casa della Divina Provvidenza in Como (1886), con la collaborazione di suor Marcellina Bosatta e della sorella, la Beata Chiara.

“L’ora della misericordia”, come la chiamava don Guanella, era finalmente scoccata. La Casa ebbe subito un rapido sviluppo, allargando l’assistenza dal ramo femminile a quello maschile (congregazione dei Servi della Carità), benedetta e sostenuta dal Vescovo B. Andrea Ferrari. E l’opera si estese ben presto anche fuori città: nelle province di Milano (1891), Pavia, Sondrio, Rovigo, Roma (1903), a Cosenza e altrove, in Svizzera e negli Stati Uniti d’America (1912), sotto la protezione e l’amicizia di S. Pio X.

Uomo di Dio, cittadino del mondo, educatore appassionato: queste sono le tre caratteristiche principali di don Luigi Guanella. Il suo carisma potremmo riassumerlo nell’annuncio – che in lui si fa profonda convinzione – della paternità di Dio. Dio è padre ed è un Padre per tutti, che non dimentica mai né emargina i suoi figli, specie i più poveri e abbandonati. “Chi dona al povero, presta a Dio e riceve da Dio”, soleva dire don Luigi Guanella. Da qui la sua scelta di carità a favore degli ultimi. Don Guanella conferì dignità umana ai disabili, ai malati psichici, agli infermi cronici, dando fiducia, offrendo lavoro, evitando trattamenti disumani e umiliazioni, abbracciando iniziative precorritrici sia sul piano pedagogico che medico. Il prete montanaro fonda colonie rurali, dà lavoro ai disabili per riscattarli, manda pure le sue suore a lavorare. Dotato di intelligenza pratica, non teorizza, procede per intuizioni, agendo sotto la spinta delle urgenze, con spirito mistico e profetico, frutto del suo amore ingegnoso per Dio e per gli uomini, che sono creati “a Sua immagine”.

E così le sue case si organizzano in strutture a misura d’uomo, con uno spirito di famiglia, e adattano un proprio metodo preventivo (cf. Regolamento dei Servi della Carità, l905), completamente affidate alla paternità di Dio. Uno stile di semplicità, tolleranza, misericordia e speranza gioiosa, perchè tutti insieme possano sentirsi parte della grande famiglia di Dio: una fraternità di stima e di comunione, uniti intorno a Cristo, Fratello maggiore, che si lascia guidare dalla Madre della divina Provvidenza: Maria, la prima educatrice del Figlio, è data come colei che forma, educa e conduce al Padre.

Nel 1903 Don Guanella sceglie di radicarsi a Roma, dove è il cuore della cristianità. Sede del Papa, verso cui il nostro santo nutre un amore particolare, da lui definito la “stella polare del nostro viaggio” sulla terra. È una scelta di universalità, perché stare a Roma significa per don Guanella abbracciare il mondo intero, e farsi compagno di viaggio degli uomini, quelli di ieri e quelli di oggi. Per lui infatti valeva prima di ogni altra cosa l’esserci, la priorità della relazione, l’essere cioè padre, fratello e madre, familiare di ciascuno perchè poi ciascuno sentisse nella sua vita l’amore di Dio, generare speranza e promuovere la dignità di ogni persona.

Don Luigi Guanella morì a Como il 24 ottobre 1915. Proclamato Beato da Paolo VI il 25 ottobre 1964, da Benedetto XVI solennemente dichiarato santo il 23 ottobre 2011. Il suo corpo è venerato nel Santuario del S. Cuore in Como. I suoi figli spirituali sono in numerose parti del mondo, come granelli di senapa per diffondere e far crescere la “buona novella” vissuta e incarnata oltre un secolo fa dal loro santo fondatore: quella di un Dio che è padre amorevole di tutte le sue creature, ma in modo speciale di quelle che nella famiglia umana sono gli “scarti”, ovvero i più piccoli e i più deboli, su cui la Provvidenza si china ogni giorno allo spuntar del sole.

Maria Di Lorenzo

 

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Beato!

di Rai Vaticano | 21 Ottobre, 2011

 Rai Uno e Rai Vaticano presentano

“BEATO!”

Sabato 22 ottobre ore 17,45 su Rai Uno

 

Il 22 ottobre il calendario festeggia per la prima volta il beato Giovanni Paolo II. La coincidenza non è casuale. Se le leggi della Chiesa prevedono che la festa liturgica di beati e santi canonizzati sia fissata il giorno della loro morte – la loro “nascita al Cielo” – per Giovanni Paolo II è stata fatta  un’eccezione, scegliendo appunto la data del 22 ottobre poiché in quel giorno del 1978 il Papa polacco ha celebrato la sua messa di inizio pontificato: un evento che resta impresso nella storia non solo religiosa dell’Occidente e del mondo.

Proprio in questa data così significativa, Rai Uno propone uno speciale realizzato da Rai Vaticano in cui viene narrata, all’interno delle vicende che hanno condotto alla sua beatificazione, l’emozione che la testimonianza di “Wojtyla il grande” ha donato a una moltitudine di persone di ogni cultura e religione.

La veglia del Circo Massimo con decine di migliaia di fedeli nella notte del primo maggio; il loro trasferimento, in una sorta di pellegrinaggio dentro la Città Eterna, fino a via della Conciliazione e piazza San Pietro. L’attesa notturna, tra i canti, il sonno e la preghiera; la giornata della cerimonia di beatificazione. La salita agli altari di Giovanni Paolo II viene raccontata seguendo passo passo con le telecamere il popolo che ha partecipato all’evento. I protagonisti delle immagini e del racconto sono proprio loro: uomini e donne di tutte le età, religiosi e laici, credenti e non credenti che sono voluti accorrere a celebrare la figura di un Papa il quale ha investito la storia personale di ciascuno, entrando nel cuore e nell’anima non solo della Chiesa ma dello stesso popolo di Dio.

Lo stesso popolo lo ha voluto “Santo subito” e ha poi risposto con infinito entusiasmo nel momento in cui Giovanni Paolo II è stato beatificato dalla sua Chiesa. “Chi ha conosciuto la gioia dell’incontro con Cristo non può tenerla chiusa dentro di sé, ma deve irradiarla”, amava dire il Papa polacco. La moltitudine che in “Beato!” viene ripresa e descritta, sembra aver profondamente appreso il suo messaggio.

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Lui e Dio

di Rai Vaticano | 19 Ottobre, 2011

A meno che tu non ritenga di essere San Tommaso d’Aquino, Blaise Pascal o Eugenio Scalfari, è piuttosto improbabile che ti venga in mente di scrivere un libro intitolandolo “Io e Dio”. Puoi farlo, però, se partecipando pressoché a tutti i programmi televisivi che in fondo piacciono alla gente che piace, tu riesci ad assumere un’espressione sufficientemente umile e contrita, in un certo senso modesta, quasi addolorata, schiva e meditabonda, con il faccino un pochino sofferente, alternando il ditino lievemente alzato allo sguardo abbassato, come per chiedere scusa di possedere e dunque di poter offrire a noi tutti una sequela di verità senz’altro da applauso. E puoi farlo, soprattutto, se nella scritta in sovrimpressione accanto al tuo nome compare l’inequivocabile Qualifica: Teologo. In tal caso, in studio e a casa calerà il silenzio più assoluto, nell’attesa di apprendere il verbo, teologico e rivoluzionario al tempo stesso. Con un solo angosciante dubbio, a dire il vero: parlerà Dio o parlerà Io?

“Insomma, ragazzi: sono Teologo, Io, e in sovrappiù molto adulto e sinceramente democratico. Anche se in realtà non lo sono, chiamatemi pure cattolico: non mi dispiacerà. E mi trovo qui per voi, per informarvi sul vostro Destino: Dio, la Chiesa, la Verità sono tutte intollerabili anticaglie. Contano soltanto l’Anima e la Coscienza, che sono mie ma anche vostre: infatti sono democratiche pure loro. E l’Anima, ma soprattutto la Coscienza, mi dicono che la situazione è drammatica, anzi tragica. La gerarchia ci soffoca, il potere ci aliena, l’autorità è autoritaria, le catene incatenano e i rappresentanti, invece, non ci rappresentano”. Sopraffatti da una tale massa di dirompenti e incontestabilmente originali analisi politico-culturali ammannite dal Teologo, siamo costretti a ricorrere alla cruciale domanda, che tra l’altro si poneva già all’inizio del secolo scorso quel tizio dei soviet: “Che fare?”. Niente paura, c’è il Teologo.

Ci parlerà forse egli della Fede, della Speranza e della Carità? Solleverà questioni metafisiche e ci delizierà con affascinanti speculazioni? Si richiamerà per caso ad Agostino di Ippona o alla prova ontologica di Anselmo d’Aosta? No, preferisce parlare di Lele Mora. E da lì, sempre armato della consueta postura corrucciata, torna a insistere: “Ehi ragazzi, ma non vi accorgete a che punto siamo arrivati? Non leggete Ezio Mauro e Barbara Spinelli? L’Anima e la Morale sono perdute e, in verità in verità vi dico, qui è tutto un magna-magna”.

Titoli di coda, la trasmissione si conclude e il Teologo può ora guadagnare il meritato riposo; sempre che, sulle orme del celebre semiologo del Dams che bacchetta il Papa, non preferisca invece trascorrere la notte insonne dedicandosi alla lettura di Kant. Anche noi, sfiancati da tanta teologia, andiamo a dormire. Ma prima apriamo il Vangelo, perché ci pare di ricordare che Gesù amasse i pubblicani, le prostitute e i peccatori e detestasse i farisei e gli ipocriti. Con discreto piacere verifichiamo ancora una volta che è proprio così. Ora possiamo finalmente prendere sonno, ma non prima di aver adottato un fermo proposito: nel prevedibilissimo caso in cui dovessimo nuovamente scorgere il Teologo in tv, cambieremo distrattamente canale.

Rodolfo Lorenzoni

 

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Pellegrini della Verità, pellegrini della Pace

di Rai Vaticano | 19 Ottobre, 2011

E’ stata presentata alla Sala Stampa del Vaticano la novità della Giornata interreligiosa che Benedetto XVI ha convocato ad Assisi, a venticinque anni da quella voluta da Giovanni Paolo II il 27 ottobre 1986 : “L’enfasi si è posta sul pellegrinaggio anziché sulla preghiera insieme”, così ha sottolineato il cardinale Peter Turkuson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, all’inizio della conferenza stampa. “Benedetto XVI desidera porre l’esperienza di Assisi 2011 sotto la cifra del pellegrinaggio, che implica ascesi, purificazione, assunzione di un impegno comunitario da parte di uomini religiosi e di buona volontà per offrire il proprio particolare contributo per la costruzione di un mondo migliore . Riconoscendo la necessita’ di crescere nel dialogo e nella stima reciproca. C’é bisogno – ha continuato il cardinale – di dire no a qualsiasi strumentalizzazione della religione. La pace ha bisogno della veritaà sulle persone, sugli Stati, sulle religioni stesse, sulle corrispondenti culture, in cui spesso si annidano elementi non conformi alla verità sull’uomo e divengono ostacolo allo sviluppo integrale dei popoli e della pace. Ancora oggi, come venticinque anni fa, il mondo ha bisogno di pace. Tutti i popoli in marcia da diversi punti della terra, per riunirsi in un’unica famiglia. Il mondo ha bisogno che gli uomini e le donne sensibili ai valori religiosi, che gli uomini non credenti , ma amanti del bene, ritrovino il giusto modo di camminare insieme”.

Tra i  relatori  erano presenti anche monsignor Toso, segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, monsignor Pier Luigi Celata , segretario del Pontificio Consiglio per il dialogo Interreligioso, don Andrea Palmieri, incaricato Sezione orientale del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. E una delle novità di questo pellegrinaggio e cammino di pace, voluta espressamente da Benedetto XVI, è la presenza di alcuni non credenti e agnostici , segnalati dal Pontificio Consiglio della Cultura: “Non si tratta – ha affermato il sottosegretario di questo dicastero, monsignor Melchor José Sanchez de Toca y Alameda – di una delegazione, a differenza degli altri ospiti, sia di altre Chiese e comunità cristiane, sia di altre confessioni religiose. Questi quattro invitati sono stati scelti pensando ad una certa rappresentanza linguistica o culturale occidentale (Europa, America, Australia), dove la non credenza è un fenomeno importante, mentre in altri continenti come l’Asia e l’Africa è relativamente marginale. Abbiamo creato una tavola rotonda con questi non credenti, prima del pellegrinaggio, in collaborazione con l’Università Roma Tre nell’ambito delle attività del Cortile dei Gentili, nella quale parleranno della loro presenza ad un’incontro interreligioso e del dialogo tra credenti e non credenti, così come è visto dal loro punto di vista. Questo incontro , aperto al pubblico,  avrà luogo nel rettorato di Roma Tre mercoledi 26 ottobre alle 16, e vi  parteciperà anche il Cardinale Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. Il giorno dopo la giornata di Assisi , saranno poi ricevuti dal Papa all’udienza nel Palazzo Apostolico e poi saranno  invitati a pranzo dal Segretario di Stato”.

La Giornata di Assisi 2011 sarà preceduta, il giorno 26 ottobre, al posto della consueta udienza del mercoledi, da una liturgia della Parola, presieduta a Roma in piazza San Pietro da Benedetto XVI alle ore  10.30. Oltre a tutti i pellegrini parteciperà anche la Diocesi di Roma , che si stringera’ con la sua varietà di movimenti e di associazioni in preghiera con il Papa. Il 27 ottobre tutte le delegazioni partiranno da Roma in treno verso Assisi con il Santo Padre. Straordinaria la partecipazione: i paesi del mondo rappresentati sono piu’ di 50, 176 sono gli esponenti di diverse tradizioni religiose non cristiane e non ebraiche. Sono attese quattro personalità in rappresentanza delle Religioni tradizionali dell’Africa, dell’America e dell’India e il rappresentante della tradizione religiosa indiana partecipa per la prima volta alla Giornata di Assisi. Dai paesi arabi e mediorientali e dai paesi occidentali sono attesi 48 musulmani. Tutte le delegazioni partiranno da Roma e saranno  in treno insieme al Santo Padre. Rallenteranno il loro camino a Terni, Spoleto e Foligno, permettendo cosi’ alla Chiese locali di partecipare all’evento.

All’arrivo ad Assisi tutti si recheranno presso la Basilica di Santa Maria degli Angeli, dove avrà luogo un momento di commemorazione dei precedenti incontri. Interveranno esponenti di alcune delegazioni presenti e anche il Santo Padre prenderà la parola. Seguirà un pranzo frugale e sarà poi lasciato un tempo di silenzio nelle trecento camere messe a disposizione dall’organizzazione per la riflessione di ciascuno e per la preghiera personale. Nel pomeriggio, tutti i presenti, parteciperanno ad un cammino che si snoderà verso la Basilica di San Francesco, con cui si intende simboleggiare il cammino di ogni essere umano nella ricerca  assidua della verità e nella costruzione fattiva della giustizia e della pace.  Al termine verrà accesa una lampada simbolo di questa ricerca comune. Questa ultima parte dell’evento sara’ in diretta su Rai Uno.

Antonia Pillosio

 

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La Bibbia giorno e notte: online il Libro di Sofonia

di ferdinando.tarsitani | 17 Ottobre, 2011

Il Libro di Sofonia è online. Il filmato è disponibile nel nostro spazio video, all’interno della sezione La Bibbia giorno e notte ( www.raivaticano.rai.it  >  “GUARDA I VIDEO” ). Per scaricare i libri occorre collegarsi con la sezione video (anche attraverso la striscia di filmati pubblicata nella parte alta della pagina di questo blog) ed entrare all’interno della sottosezione PODCAST. A questo punto bisogna cliccare sul video desiderato, che apparirà in alto. Contemporaneamente sulla destra  comparirà una striscia di icone, tra le quali una freccia che indica verso il basso. Cliccando su questo link e seguendo le istruzioni è possibile scaricare il video:

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Lascia fare a Dio!

di Rai Vaticano | 17 Ottobre, 2011

Successore degli apostoli e per questo pastore degli uomini, inverando tra loro l’amore per Dio e l’amore ai fratelli. Nato ad Alcamo (Trapani) 52 anni fa, eletto vescovo di Acireale (Catania) lo scorso 26 luglio, mons. Antonino Raspanti ha fatto ingresso in diocesi il 1° ottobre, suscitando entusiasmo e speranze. Come ogni ministro di Cristo, deve parlare al mondo delle cose di Dio, e far udire a Dio la voce degli uomini. Segno visibile dell’unità della sua Chiesa, a lui toccherà essere maestro della fede e annunciatore della Parola; santificatore del popolo cristiano attraverso la centralità della liturgia; padre e pastore della diocesi, esercitando il governo pastorale in spirito di servizio e vigilanza.

Nello stemma episcopale di mons. Raspanti – che come motto ha ripreso da San Francesco di Sales “Humilitas ac dulcedo” (umiltà e dolcezza) – sono compendiate la sua storia personale e la tensione ideale del vescovo. Nella parte superiore figurano tre anelli che si intersecano e una stella: la Trinità divina e Maria, modello della Chiesa. Nella parte inferiore, invece, accanto a uno sguardo al passato – l’aquila d’oro che regge il vangelo, simbolo della Facoltà teologica di Sicilia intitolata a San Giovanni Evangelista, di cui mons. Raspanti è stato alunno, docente e preside –, v’è un pensiero al futuro: i faraglioni, emblema della città di Acireale.

La sua nuova diocesi lo ha accolto con un vessillo: “Camminiamo insieme”, donandogli un pastorale decorato con l’immagine di Cristo buon pastore. Prima di benedire nuovamente i fedeli dal balcone dell’episcopio al termine della cerimonia di insediamento, mons. Raspanti ha confidato: “Sono emozionato di vedere tutti voi dall’alto, e capisco come il Signore e la Vergine Maria ci vedono da ancora più in alto, da lassù, ma la distanza dei cieli non è affatto distanza dei cuori, perché l’amore ci unisce”. Mantenendo sempre accesa la lampada della fede perché tutti vivano sospinti come vele dal vento dello Spirito, il vescovo, ‘voce’ che trasmette il ‘Verbo’, aiuterà ciascuno a entrare nel mistero di luce del cuore di Dio. In quest’intervista al blog di Rai Vaticano, mons. Raspanti racconta l’emozione dei suoi primi giorni da vescovo.

Eccellenza, cosa vi siete detti con il Santo Padre nell’incontro coi vescovi di recente nomina il 15 settembre a Castel Gandolfo?
Ho subito detto al Papa che non ero ancora stato ordinato. Lui con un dolce sorriso mi ha rivolto i suoi auguri e la sua benedizione. In quella circostanza ci ha indirizzato un bellissimo discorso sul tema della fraternità tra i pastori, concentrandosi poi sulla figura del vescovo quale uomo di comunione che aiuta tutti i figli della propria Chiesa a compiere ciò che il Signore chiede loro, a realizzare la propria identità e i propri talenti, facilitando la comunione tra la diversità dei carismi.

Il 1° ottobre lei è stato consacrato vescovo nella cattedrale di Acireale, entrando nella pienezza del sacerdozio. La liturgia dell’ordinazione episcopale ha inizio con il canto del “Veni Creator”. Quale forza dello Spirito Santo l’ha pervasa?
È qualcosa che opera e ti trasforma nel tempo. Io – forse è un segno dello Spirito che viene – ho una grande volontà di dedizione a questa Chiesa che il Signore mi ha affidato. Mi sono sentito rafforzare, avverto costantemente dentro me la voglia di dedicarmi ai sacerdoti, alle persone, ai giovani.

Il suo è un cognome al plurale. Lei è stato, tra gli altri incarichi, parroco, docente e preside; ora è pastore. Come definisce queste varie fasi nelle quali si è articolata la sua vita?
Avendo fatto esperienza nel mondo accademico, in parrocchia, nella presidenza di una facoltà, ho potuto sviluppare tanti aspetti, sia della mia personalità che della vita pastorale. Preparato da diversi punti di vista, adesso è come se mi sentissi più completo, più pronto, più predisposto per un ministero che mi appare poliedrico, sebbene io debba servire strettamente l’unità nella diversità dei carismi di questa Chiesa.

Quale slancio intende imprimere al suo ministero? Quali le sue priorità?
Vorrei dare a ciascuno la possibilità di rispondere al meglio alla chiamata del Signore nella sua vita, assicurandogli la conduzione materna della Chiesa. Una certa priorità andrà ai sacerdoti, che condividono con me l’onere della guida di questa diocesi. Privilegiare loro, che incontrano direttamente i fedeli, mi da la possibilità di raggiungere veramente tutti, per il ministero dell’unità.

Di che cosa ha veramente sete, secondo lei, il cuore dell’uomo?
Dell’Assoluto, della Verità, del Bene, di ciò che è Bello: quelle cose che ogni uomo ha sempre ammirato. Penso che l’animo umano gioisca profondamente quando può incontrarsi con il Vero, con il Bello, e lo cerchi in tutti i modi.

Nel suo discorso al termine dell’ordinazione, lei si è definito “testimone di una tensione drammatica, alimentata dal rifiuto o anche dall’oblio di Dio, propri dell’uomo contemporaneo”, parlando poi di “aria secolarizzata che oggi tutto pervade”, in “una società frammentata e ferita, intrisa di secolarismo”. Con San Luca le domando: “Il figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”.
Sì. Non credo che questo secolarismo riuscirà a sterminare la sete d’assoluto dell’uomo. La risposta di fede cristiana vede in Gesù di Nazareth quell’assoluto fatto carne. Io stesso mi sento destinatario gioioso della manifestazione di Gesù risorto. Il secolarismo è parte di un processo di morte, ma Gesù ha vinto per sempre questa morte, si manifesta e il suo volto continuerà a dissetare e cibare il cuore di ogni uomo. Naturalmente la lotta è reale: il secolarismo, come ogni altra tentazione della cultura umana, combatterà Cristo cercando di abbatterlo. Noi dobbiamo essere testimoni della fedeltà di Cristo, della sua voglia definitiva di assumere su di sé il destino stesso dell’uomo e portarlo nel cuore della Trinità, con la sua Ascensione e poi con la discesa dello Spirito.

Cosa augura a questa Chiesa particolare di Acireale e cosa sogna per la Chiesa universale?
Acireale la conosco ancora poco. Essendo tuttavia un uomo del meridione d’Italia, in generale le augurerei che potesse avere uno scatto in avanti, essere veramente libera da pregiudizi e da strutture oppressive, da lacci e catene che a volte legano il meridione, in termini di difficoltà di sviluppo e di scoraggiamenti che ne conseguono, di sacche lente e pigre nella convivenza civile. Lo auguro alla mia Chiesa perché insieme a tutto il meridione, guardando a Gesù risorto, possa risorgere, camminare nella luce, farsi liberare da Cristo Verità che libera. La Chiesa universale si trova in una fase decisiva, per il trapasso culturale e generazionale in atto in Occidente. Il cristianesimo da una parte sembra al tramonto e, se così fosse, gli auguro di essere invece all’alba di una nuova epoca in cui possa rifulgere in maniera nuova. In altri continenti, dove sembra anzi in crescita, spero che il sole di Cristo, attraverso la Chiesa, illumini davvero il cuore dell’uomo.

Lei ha un profilo su Facebook: è anche questo un modo per rispondere all’invito di Gesù “Predicatelo sui tetti”?
Certo, è uno dei luoghi in cui l’uomo pensa, vive, crea una cultura e comunica. Inevitabilmente diventa un ambiente da vivere insieme all’uomo di oggi e nel quale portare il Vangelo. Se non si abitano questi luoghi, come si fa ad auspicare che siano attraversati dalla luce di Cristo risorto?

Un suo pensiero ai giovani?
Che guardino alla Chiesa e ai suoi uomini, istituzione tante volte poco sopportata o evitata, con più fiducia e speranza esplicita, nonostante le sue rughe.

C’è una scontentezza diffusa perché manca Dio?
Sì, ma è alquanto delicato accorgersi che se qui ed ora si è scontenti, scoraggiati, o peggio ancora in situazione di crisi assoluta, v’è un diretto collegamento con l’oblio di Dio, e di conseguenza la necessità di lasciarsi illuminare da Cristo. Molti lo pensano, ma nel concreto v’è una drammatica incapacità di risalire all’origine di tale scontentezza, di chiamare per nome questo senso d’inutilità o la frustrazione che colpisce tanti giovani, ma non solo.

La crisi oggi ha molti volti: crisi economica, crisi dei valori, crisi esistenziale dell’uomo: è ancora possibile sperare? Quali le ragioni?
Certo che è possibile, la vita è qualcosa di straordinario che dal suo interno si rilancia quando sembra maggiormente sconfitta. Forse l’Italia è in una fase di poca speranza, e la sua crisi demografica dice incapacità di guardare in avanti. Chi di noi oggi ha un’età matura non vede il futuro e non lo sa additare con passione ai giovani, per farli appassionare. È possibile sperare, ma con una fatica immensa, mentre occorre un’enorme generosità d’animo. Bisogna lottare e seminare, come dice il Salmo: il contadino deve privarsi del seme di cui potrebbe nutrirsi, nell’attesa che porti frutto. La crisi chiede oggi alla nostra generazione di aprire di più la borsa, per tirar fuori idee, forze residue, risorse economiche, al fine di seminare generosamente per il futuro e le prossime generazioni.

La cultura ha un ruolo nel rilancio della società, o è disancorata dai problemi dell’uomo?
È un dibattito secolare. La cultura ha una grandissima funzione nella società: è compito degli intellettuali e di chi fa opinione articolare con maggiore chiarezza, nel pensiero e nella vita quotidiana, la necessità di un rilancio, di aprire uno spazio per i giovani e per il futuro.

Come si svolge la sua giornata, quali i suoi impegni? Può dedicarsi ai suoi hobby?
La mia giornata trascorre tra i tempi di preghiera e meditazione personale, udienze e incontri con sacerdoti, persone, organismi e gruppi della diocesi, visite alle parrocchie e ad ambienti culturali o d’altro genere dove vengo invitato. Sono proprio gli inizi e questa fase conoscitiva è frenetica. Gli hobby ho dovuto tralasciarli. Mi piacerebbe qualche partita a calcetto, ma non riesco.

Un pensiero che l’accompagna e le dà forza in quest’inizio di ministero?
“Lascia fare a Dio”. È Cristo il pastore che regge il suo popolo, io devo solo seguire lui che apre la strada.

Luca Caruso

 

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