Serviranno in tutto sei settimane, a partire dal 17 agosto, per cancellare 37 anni di colonizzazione ebraica nella Striscia di Gaza: questo in poche parole il piano di Sharon che ha come obbiettivo garantire una maggiore sicurezza politica, economica e demografica per Israele.
Il territorio, già egiziano, fu conquistato durante la guerra dei sei giorni. Il governo di Gerusalemme è ora convinto: "In nessun accordo futuro con i palestinesi è più prevedibile alcuna presenza ebraica a Gaza".
In concreto il piano delinea, in 4 fasi, il ritiro dai 21 insediamenti di Gaza, in cui vivono circa 8.000 coloni, e da quattro nel nord della Cisgiordania dove vivono in totale poco più di 700 persone.
La prima fase, da realizzarsi molto probabilmente a partire dal 15 agosto, prevede il ritiro da tre insediamenti di Gaza: Netzarim (60 famiglie), Morag (36) e Kfar Darom (85).
La seconda fase prevede un ritiro da quattro colonie cisgiordane: Ganim (36 famiglie), Kadim (26), Homesh (42) e Sa-nur (10), nella zona di Jenin.
La terza fase prevede il ritiro da una quindicina di colonie ebraiche del sud della striscia di Gaza di cui le piu' importanti sono Bedolah (31 famiglie), Atzmona (100), Gadid (56), Gan-Or (52), Ganei Tal (75), Neve' Dekalim (513), Netzer Hazani (75), Pat-Sadeh (19), Katif (65), Rafiah Yam (22) e Shalin (10).
La quarta fase prevede lo sgombero delle ultime tre colonie nel Nord della striscia di Gaza, Alei Sinai (85 famiglie), Nisanit (280) e Dougit (17).
Le colonie di Gaza occupano 54 chilometri quadrati sui 370 complessivi della Striscia, lunga 45 km e profonda dai 6 ai 10 km. Circa 1.130.000 palestinesi abitano nella Striscia che ha una delle più alte densità di popolazione nel mondo (2.350 abitanti per kmq), con un tasso di crescita demografica del 6,6%. In Cisgiordania invece, in un'area di 2.346 chilometri quadrati in cui vivono 2,3 milioni di palestinesi, gli insediamenti occupano una superficie di 380 chilometri quadrati con una popolazione di coloni di 230.000 persone.
La geometria dell’occupazione è la seguente: tre colonie ebraiche (Nisanit, Alain Sinai e Dugit) si trovano nel nord della Striscia; a ridosso della città di Gaza c'è l'insediamento di Netzarim, costituito da una sessantina di famiglie di ebrei e considerato dagli automobilisti palestinesi che le passano vicino una provocazione quotidiana.
Tre colonie ebraiche si trovano nel nord della Striscia: sono quelle di Nisanit, Alain Sinai e Dugit, quest'ultima progettata come villaggio turistico e costruita nel 1990.
Più a sud si trova un'altra colonia isolata: quella di Kfar Darom, la cui popolazione è cresciuta negli ultimi anni del 52%, situata vicino al campo profughi palestinese di Deir al Balah. Infine a sud c'è un'area di insediamenti ebraici, quella di Gush Katif, la più numerosa per abitanti, che si estende fino alla frontiera della striscia con l'Egitto e che conta 16 colonie.
In seguito agli accordi di Oslo del 1993, l'Autorità palestinese esercita la sua sovranità su circa il 65% del territorio di Gaza. La parte restante è occupata da insediamenti ebraici disseminati da nord a sud e la cui sicurezza è affidata ad una divisione dell'esercito israeliano. La maggioranza dei coloni è dedita alla coltura in serra d'agrumi e fiori, esportati principalmente in Europa. Secondo dati ufficiali palestinesi, più della metà dei palestinesi che abitano nella Striscia di Gaza vivono sotto la soglia di povertà e il 45% della popolazione attiva è disoccupata.
Per quanto riguarda le risorse idriche Gaza può fare affidamento solo alle scarse precipitazioni invernali, essendo l’area priva di corsi d’acqua permanenti. Il dato diventa ancora più allarmante se si vanno ad analizzare i consumi: la domanda di acqua si attesta intorno ai 110mcm, più del doppio delle risorse idriche disponibili. Il che significa che tali quantità sono ottenute attraverso la sovraestrazione delle falde acquifere che alla lunga ha portato ad un aumento delle infiltrazioni corrosive di acqua marina. La quantità d’acqua disponibile pro capite, tenendo conto le perdite dei condotti, è di soli 88 litri giornalieri. Ma è il dato qualitativo quello più preoccupante: il grado di salinità dell’acqua è variabile tra i 400 e i 1.500ppm di cloruro. La disparità con i coloni israeliani è enorme: i settlers hanno accesso a 584 litri di acqua al giorno, una quantità 7 volte superiore rispetto a quella dei palestinesi.
Gli indennizzi per i coloni, le infrastrutture e i futuri collegamenti tra Israele e Gaza e tra questa e la Cisgiordania
Per i coloni che accettano il piano sono previsti forti indennizzi. Il gabinetto per la Sicurezza di Israele ha infatti approvato lo scorso settembre uno stanziamento tra i 550 e i 670 milioni di dollari
prevedendo però un'ampia variazione della spesa possibile dal momento che il finanziamento riguarderà un periodo di due anni fiscali, e la spesa finale effettiva dipenderà dal numero dei coloni che accetterà di trasferirsi volontariamente.
Coloro che non si trasferiranno entro il termine stabilito non perderanno automaticamente diritto al rimborso, a meno che non oppongano una resistenza attiva. In questo caso (i coloni che resistono) verranno perseguiti per occupazione abusiva e perderanno il diritto a qualsiasi beneficio economico.
Più o meno ogni famiglia di coloni ebrei riceverà un risarcimento dal governo tra i 200.000 e i 400.000 dollari, di cui un terzo sarà versato in anticipo. La somma accordata a ogni famiglia dipenderà dal numero di anni trascorsi nella loro enclave, dal numero dei componenti del nucleo familiare e sarà proporzionale al maggiore costo degli alloggi nelle città israeliane. I coloni che lasceranno gli insediamenti volontariamente otterranno ulteriori benefici come sgravi fiscali e sussidi per l'affitto ovunque decideranno di trasferirsi.
Le case lasciate dai coloni in partenza saranno rase al suolo perché l’Anp vuole costruire al loro posto dei condomini. Il ministro dell'Anp per l'Edilizia residenziale e i lavori pubblici, Mohammed Shtayyeh, ha infatti dichiarato che le abitazioni dei coloni “non sono utili per dare alloggio ai palestinesi” perché “le case degli israeliani sono bungalow, villette, seconde case e strutture turistiche che non sono utili per far fronte all'emergenza alloggi".
Una conferma in tal senso è giunta dal Segretario di stato americano Condoleezza Rice. Nella sua ultima visita in Medio Oriente (giugno 2005) il capo della diplomazia americana ha annunciato che le 1.200 case dei coloni saranno demolite per lasciare spazio a progetti edilizi più consoni alle necessità della sovraffollata striscia di Gaza. Secondo la stampa israeliana, i detriti potrebbero essere utilizzati per gettare le fondamenta di un nuovo porto commerciale a Gaza.
Anche gli accampamenti militari saranno distrutti. Centinaia di tombe saranno rimosse e i resti saranno sepolti in territorio israeliano con una nuova cerimonia funebre. Le infrastrutture relative alle reti idriche, elettriche, fognarie e di telecomunicazione saranno mantenute e, in accordo con le disposizioni correnti, Israele continuerà a fornire ai palestinesi energia elettrica, acqua, gas e petrolio a pieno prezzo.
Lo Stato d’Israele ha fatto sapere che continuerà a riconosce “l’importanza dell’attività delle organizzazioni umanitarie internazionali e di altre organizzazioni coinvolte nello sviluppo civile che assistono la popolazione palestinese”. Pertanto “Israele coordinerà le disposizioni con queste organizzazioni, in modo da facilitare le loro attività”. Nel lungo termine, e al fine di incoraggiare l’indipendenza economica palestinese, “lo Stato d’Israele intende ridurre il numero di lavoratori palestinesi che entrano in Israele, fino a farlo cessare completamente”.
Ma una separazione totale e unilaterale tra Israele e la Striscia di Gaza, soprattutto sotto l'aspetto economico, dopo il ritiro dello Stato ebraico da questa regione, è impossibile. Ad esserne convinto è il coordinatore delle attività di Israele nei Territori palestinesi, il generale Yusef Machleb, che ha raccomandato al governo israeliano di permettere a 15.000 manovali pendolari palestinesi di Gaza di lavorare in Israele per i prossimi tre anni. In un rapporto inviato a Sharon Machleb propone inoltre di continuare l'erogazione di elettricità alla Striscia, di trasferire ai palestinesi 400 ettari di serre erette dai coloni in questo territorio, di trasformare l'insediamento di Neve Dekalim in un villaggio di vacanze per i palestinesi e di rilanciare le attività nei parchi industriali di Erez e Karni. Le raccomandazioni di Machleb sono sostenute anche dalla Banca Mondiale e dal suo ex direttore James Wolfensohn, ora rappresentante speciale del “Quartetto” per l' assistenza economica alla Striscia di Gaza dopo il ritiro di Israele.
Per il momento Israele e Autorità Palestinese hanno raggiunto un accordo per la creazione, dopo il ritiro, di un corridoio di sicurezza tra Gaza e la Cisgiordania. I dettagli dell’intesa non sono ancora stati resi noti ma sembra che in una prima fase le forze di sicurezza israeliane scorteranno i convogli di automobili palestinesi in transito tra le due aree; mentre in una seconda fase si procederebbe alla costruzione di un collegamento ferroviario.
Il tratto unirebbe il valico di Erez, nel nord della Striscia di Gaza e Tarqumiya, alle porte di Hebron, nel sud della Cisgiordania. Secondo la Banca Mondiale, il costo totale si aggira intorno ai 175 milioni di dollari e richiederà tre anni di lavoro.
by Maurizio Debanne